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Dare e ricevere aiuto: opinioni diverse tra marito e moglie

Secondo un nuovo studio se per le mogli ricevere sostegno dal marito è positivo, per i mariti ricevere supporto dalle mogli sembra essere frustrante.

Di Zeno Regazzoni

Pubblicato il 17 Nov. 2015

Aggiornato il 14 Dic. 2015 11:11

 

Se per le mogli ricevere aiuto e sostegno dal marito costituisce un’esperienza molto positiva, per i mariti ricevere supporto dalle mogli è frustrante, soprattutto perché rischierebbero così di apparire deboli e poco competenti.

Dalle ricerche degli ultimi trent’anni, è ampiamente emerso come vi sia uno stretto legame tra la propria salute, fisica ed emotiva, e la qualità del proprio matrimonio. La relazione con il coniuge – non c’è bisogno di dirlo – è spesso così importante per noi da divenire decisiva sulla qualità della nostra vita.

Il matrimonio, dunque, può costituirsi sia come fattore protettivo, in quanto fonte di supporto fattuale e psicologico, sia come fattore di rischio, in quanto determinante causa di stress e di sofferenza. La maggior parte degli studi compiuti in passato, però, si è spesso limitata a misurare le correlazioni tra vari costrutti psicologici e il matrimonio, intendendo quest’ultimo come un concetto unitario e indissolubile, dimenticandosi che il matrimonio è innanzitutto una relazione tra due persone e, in quanto tale, viene costruita, percepita e vissuta in due modi diversi: la qualità di tale relazione, dunque, può venir adeguatamente rilevata solo se si raccolgono le esperienze di entrambe le persone che la costituiscono.

E’ quello che ha pensato di fare Deborah Carr, sociologa della Rutgers University, che in un recente studio apparso sul Journal of Gerontology: Social Sciences ha focalizzato la propria attenzione su emozioni quali ansia, tristezza e frustrazione, scoprendo che per mariti e mogli hanno origini e significati ben diversi.

Nel corso della ricerca sono state intervistate 722 coppie di persone con più 60 anni e sposate in media da 40 anni, al fine di comprendere gli effetti che la relazione matrimoniale ed il comportamento del coniuge hanno sul proprio stress e le proprie emozioni negative. Più nello specifico, ciascun partecipante ha descritto – attraverso la compilazione giornaliera di un diario – la disponibilità del partner ad ascoltarlo e sostenerlo di fronte ai propri problemi, la qualità dell’empatia e della comprensione offerte dal partner, la quantità e l’intensità dei litigi tra coniugi, il modo in cui si sentiva dopo tali litigi ed il modo in cui aveva reagito il partner.

I risultati hanno espresso differenze tra mariti e mogli piuttosto significative. Innanzitutto, ci tiene a sottolineare Deborah Carr:

i mariti sono stati molto meno inclini delle mogli a spendere tempo e parole a proposito dei propri problemi matrimoniali: spesso, infatti, gli uomini non vogliono esprimere le proprie emozioni vulnerabili; le donne, al contrario, ricavano molto conforto dall’esprimere emozioni come ansia o tristezza.

Le prime differenze sono emerse a proposito dello stress relazionale: se i mariti hanno affermato di reagire di fronte a tale stress provando unicamente un po’ di frustrazione, le mogli hanno dichiarato di provare non solo frustrazione, ma anche ansia e tristezza. In generale, un effetto così considerevole nelle donne può esser legato al fatto che, come dimostrano precedenti ricerche, queste percepiscano lo stress relazionale molto più intensamente degli uomini.

In aggiunta, bisogna considerare che quasi tutti i partecipanti hanno più di 60 anni e provengono dunque da una società in cui la moglie è considerata, e si sente, particolarmente responsabile del mantenimento del clima emotivo all’interno del matrimonio: infatti, la buona qualità del matrimonio nella cultura del pre-Sessantotto poggiava tutta sulla spalle della donna, ed è dunque comprensibile il fatto che un qualsiasi problema di natura relazionale abbia un’influenza assai maggior sul benessere emotivo della moglie, piuttosto che su quello del marito.

A proposito del supporto offerto al coniuge, le differenze tra partner divengono ancor più evidenti con le parole di Deborah Carr:

se offrire sostegno e supporto al marito rende le mogli più felici e sicure di sé, i mariti invece provano solo frustrazione nel dare il proprio aiuto alla moglie.

Ora, se da un lato è prevedibile che la moglie over 60 che si prende cura del marito si senta più felice e riconosciuta nel proprio ruolo, in virtù dei valori culturali di riferimento a cui abbiamo appena accennato, dall’altro risulta meno intuitiva l’insorgenza di frustrazione nel marito che aiuta la propria compagnia. E’ possibile che tale frustrazione derivi dal modo in cui la moglie può reagire ai propri problemi, magari intrappolandosi in una spietato criticismo che non risparmia né se stessa né il marito accorso in suo aiuto. Oppure è possibile – più verosimilmente – che il marito che offre il proprio tempo alla moglie in difficoltà provi frustrazione perché preferirebbe impiegare questo tempo in attività per lui più rilevanti: recenti studi sul cosiddetto soffocamento matrimoniale, in effetti, pongono l’accento su come anche le relazioni più supportive tra coniugi possano minare il benessere e l’autonomia di uno dei due partner se deprivano questi della possibilità di raggiungere i propri obiettivi, siano essi lavorativi, sociali o di semplice intrattenimento.

Infine, anche riguardo al supporto ricevuto dal coniuge si possono osservare pattern pressoché opposti tra uomini e donne. Se per le mogli ricevere aiuto e sostegno dal marito costituisce un’esperienza molto positiva, per i mariti ricevere supporto dalle mogli è frustrante, soprattutto perché rischiano così di apparire deboli e poco competenti. E’ possibile, nuovamente, che tale dato possa trovare spiegazione solo se inserito nel contesto sociale e culturale pre-Sessantotto, contesto nel quale i partecipanti sono cresciuti e sono diventati adulti. Nella famiglia a forte stampo patriarcale, infatti, i ruoli tra marito e moglie erano molto più distinti e definiti rispetto ad oggi: la moglie era responsabile della casa e dei figli e doveva tenere in piedi da sola il matrimonio, sopportando e assorbendo tutte le eventuali difficoltà emotivo-relazionali, mentre il marito era responsabile del sostentamento di tutta la famiglia, e della ricerca e mantenimento di un lavoro che fosse in grado di garantirlo. Il marito doveva essere forte e non c’era spazio, né doveva essercene, per esprimere le proprie paure e preoccupazioni di fronte alla moglie; e la moglie, d’altro canto, non doveva richieder sostegno emotivo al marito, rischiando così di distoglierlo dalle sue occupazioni e di aumentare le sue preoccupazioni.

Alla luce di questi valori culturali di riferimento, dunque, risulta comprensibile perché l’uomo anziano, oggi, provi frustrazione sia nel dare che nel ricevere aiuto dalla moglie. Perché entrambe le attività, per i motivi citati, gli impediscono di mantenere quel senso di una competenza e autonomia prettamente maschile che per troppo tempo è stata considerata meramente pragmatica e che solo oggi sta acquistando sempre di più una valenza che è anche, e soprattutto, emotiva e relazionale.

 

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