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Le emozioni & la percezione dei colori: il (mancato) colore della tristezza

Uno studio ha dimostrato come la tristezza generi una difficoltà nel riconoscimento dei colori dell'asse cromatico giallo-blu - Neuropsicologia

Di Chiara Manfredi

Pubblicato il 05 Ott. 2015

Aggiornato il 01 Mar. 2016 16:32

Da un recente studio dell’Università di Rochester (Thorstenson, Pazda & Elliot, 2015) sembra che lo stato emotivo giochi veramente un ruolo importante nella percezione dei colori.

Tante volte è capitato di sentire nelle narrazioni di pazienti depressi espressioni come “vedo tutto nero”, “non riesco a vedere la luce in fondo al tunnel”, che rimarcano la difficoltà ad assumere una visione alternativa della situazione, un po’ più positiva o anche solo un po’ meno disastrosa. Ecco, può darsi che queste espressioni siano metaforiche solo fino a un certo punto.

Da un recente studio dell’Università di Rochester (Thorstenson, Pazda & Elliot, 2015) sembra che lo stato emotivo giochi veramente un ruolo importante nella percezione dei colori. I ricercatori hanno condotto due studi separati, prima manipolando lo stato emotivo dei partecipanti e successivamente testando le loro capacità di distinguere i colori.

Nel primo esperimento, 129 soggetti appartenenti alla popolazione generale sono stati assegnati in modo casuale a due gruppi: a metà dei partecipanti è stato mostrato un filmato divertente, all’ altra metà un filmato triste. In seguito, tutti i soggetti hanno eseguito un compito di identificazione cromatica. Infine, tutti i soggetti hanno compilato autonomamente un questionario sullo stato emotivo evocato dal filmato.

I risultati hanno mostrato che i soggetti che avevano visionato il filmato triste riportavano punteggi significativamente peggiori nel compito di riconoscimento di colori per quanto riguarda l’asse cromatico blu-giallo rispetto a quelli che avevano visionato il filmato divertente. Per confrontare i risultati con una condizione neutra, in un secondo studio i ricercatori hanno eliminato il filmato divertente e inserito una condizione di controllo, in cui i soggetti prima del compito di riconoscimento cromatico guardavano una sorta di salvaschermo senza connotazione emotiva. I risultati hanno replicato quanto emerso nel primo studio, confermando così una maggiore difficoltà a identificare i colori nell’asse blu-giallo per i soggetti che erano stati sottoposti alla visione del filmato triste.

I meccanismi neurali con cui la tristezza incide sulla capacità di distinguere i colori partono da processi di basso ordine: la tristezza porta a un rallentamento generale e ad una diminuzione dell’arousal, il che a sua volta limita la contrazione pupillare che consente alla luce di colpire la retina (Bradley, Miccoli, Escrig, & Lang, 2008; Harrison, Singer, Rotshtein, Dolan, & Critchley, 2006). In secondo luogo, la tristezza è associata a una diminuzione di dopamina, che contribuisce a peggiorare il funzionamento della retina (Bodis-Wollner, 1990; Tebartz van Elst, Greenlee, Foley, & Lücking, 1997).

Interessante però: i risultati degli studi riportati mostrano che in entrambi gli esperimenti le difficoltà di riconoscimento interessavano solo l’asse blu-giallo, escludendo quindi il potere causale sia della diminuzione di dopamina che della limitata contrazione pupillare, che in questo caso avrebbero portato a una difficoltà di riconoscimento anche per l’asse cromatico rosso-verde. Sembra quindi che l’induzione di uno stato emotivo abbia portato a difficoltà di identificazione di alcuni colori, sulla linea di precedenti studi che avevano mostrato per esempio come la rabbia aumentasse la propensione delle persone a vedere rosso in stimoli ambigui (Fetterman, Robinson, Gordon, and Elliot, 2011).

Le conseguenze di questa alterazione non si limitano solo a un errore di percezione. Precedenti studi, infatti, hanno individuato come i colori non abbiano solo una funzione estetica, ma influenzino il modo in cui ci sentiamo, cosa pensiamo e come ci comportiamo. Per esempio, negli anni è stato visto come il colore rosso sia in grado di aumentare l’attrazione per chi lo indossa (Re, Whitehead, Xiao, & Perrett, 2011), di ridurre il consumo di cibo (Genschow, Reutner, & Wänke, 2012) e di peggiorare le prestazioni in compiti cognitivi (Elliot, Maier, Moller, Friedman, & Meinhardt, 2007). È evidente quindi che se lo stato emotivo influenza il modo in cui le persone percepiscono il mondo esterno, questo a sua volta può influenzare l’umore, i pensieri e i comportamenti, in un circolo vizioso che contribuisce a ostacolare il benessere psicologico.

 

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Chiara Manfredi
Chiara Manfredi

Teaching Instructor presso Sigmund Freud University Milano, Ricercatrice per Studi Cognitivi.

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