Giovanni Mansueto, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI
Il Disturbo da Gioco d’Azzardo (Gambling Disorder) è un comportamento di gioco problematico persistente e ricorrente caratterizzato da: bisogno di giocare d’azzardo con quantità crescenti di denaro al fine di raggiungere lo stato di eccitazione desiderata, elevati livelli di irritabilità associati a tentativi di interruzione del gioco, incapacità di ridurre o controllare l’attuazione di tale condotta, nonché compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale e lavorativo (APA, 2013).
Il gambling può configurarsi come condizione clinica primaria oppure come quadro clinico secondario a disturbi psichiatrici (Johansson, Grant, Kim, Odlaug & Go¨testam, 2009) o neurologici tra cui la Malattia di Parkinson (MP) (Santangelo, Barone, Trojano, & Vitale, 2013).
Studi prospettici stimano tassi di prevalenza del Disturbo da Gioco d’Azzardo in popolazione di pazienti con MP tra 2-7%, sebbene, si ritiene sia una sottostima della reale portata del fenomeno dovuta alla presenza di bias metodologici nonché ad uno scarso insight di pazienti parkinsoniani rispetto alle conseguenze sociali dei loro comportamenti (Santangelo et al., 2013).
Quali siano i possibili processi alla base dell’associazione “Gambling-Parkinson” è oggetto di uno stimolante e controverso dibattito tra gli esperti del settore.
Uno primo aspetto che accomuna gambling e Parkinson è rappresentato dalla condivisione del medesimo processo patofisiologico, ovvero la presenza, in entrambi i quadri clinici, di un’alterazione nella regolazione della dopamina (Santangelo et al., 2013). In funzione di ciò nella malattia di Parkinson, generalmente, il gambling è considerato un effetto secondario della terapia dopaminergica (Voon et al., 2006; Weintraub et al., 2006; 2010).
Tuttavia, dato che solo una minima parte di pazienti trattati con dopamina agonisti (DA) presentano sintomi legati al gambling o ad altre forme di disturbo di controllo degli impulsi, la terapia dopaminergica potrebbe rappresentare un trigger per l’esacerbazione di sintomi non motori, tra cui il gambling, in pazienti con specifici fattori di vulnerabilità (Santangelo et al.,2013), piuttosto che esserne l’unica determinante. Diverse evidenze sembrano dar forza a questa ipotesi.
Secondo recenti studi, l’insorgenza di comportamenti legati al gioco patologico in pazienti parkinsoniani in trattamento DA è frequentemente associato con fattori di rischio gambling-specifici simili a quelli riportati nella popolazione generale, ovvero, tratti di personalità quali la ricerca di novità (novelity seeking) e l’impulsività (Santangelo et al.,2013).
Ulteriori fattori di vulnerabilità, nei pazienti parkinsoniani, per l’insorgenza di comportamenti di gioco patologico sono rappresentati dal genere (maschi), la giovane età di insorgenza del Parkinson, presenza di storia familiare o personale di problemi di gioco, uso di alcool e abuso di sostanze [Lim, Evans & Miyasaki, 2008; Weintraub, 2009; Gallagher et al., 2007].
Inoltre, la Malattia di Parkinson appare caratterizzata dai medesimi correlati cognitivi riscontrati nei giocatori patologici, in particolare bassi livelli di decision making (Santangelo et al., 2013), ossia i pazienti parkinsoniani con gioco patologico sono caratterizzati da una scarsa capacità di decision-making e ridotta flessibilità cognitiva rispetto a pazienti parkinsoniani non gambler. Nonostante l’esigua quantità di studi sui correlati cognitivi legati al gioco nei pazienti parkinsoniani, si ipotizza che deficit cognitivi e alterazioni a livello fronto-striatale e del circuito limbico possano contribuire all’esordio e mantenimento di comportamenti compulsivi e perseveranti tra cui il Gambling (van den Heuvel et al., 2010).
Un’ulteriore difficoltà nel tentativo di chiarire la relazione tra gambling e Parkinson, è rappresentata dalla frequente comorbilità della malattia di Parkinson con disturbi d’ansia e dell’umore (Cosci, Fava & Sonino, 2015) i quali rappresentano, a loro volta, potenti trigger per il disturbo da gioco d’azzardo (Raylu & Oei, 2002; Johansson et al., 2009; Mansueto et al., 2015).
Infine, studi sulla suscettibilità genetica per il gambling nei pazienti con malattia di Parkinson ipotizzano una possibile associazione del gambling con il gene DRD3 (Santangelo et al., 2013). D’altra parte tali studi sono limitati e tendenzialmente eseguiti su campioni con bassa numerosità.
In conclusione, l’ipotesi che il gambling nella Malattia di Parkinson sia unicamente uno dei possibili effetti secondari della terapia dopaminergica rappresenta una posizione semplicistica che offre pochi spazi di intervento clinico. Diversamente è più utile e funzionale alla pratica clinica considerare il gambling, nell’ambito della malattia di Parkison, come il risultato di una complessa interazione tra terapia dopaminergica e specifici fattori di vulnerabilità quali tratti di personalità, comorbilità psichiatrica, uso di sostanze, deficit cognitivi, familiarità, fattori genetici.
Alla luce di ciò, a livello clinico, diventerebbe essenziale in contesti di neurologia prevedere uno scrupoloso screening che tenga conto anche dei suddetti fattori di vulnerabilità al fine di:
(a) favorire un’agile identificazione precoce di pazienti maggiormente vulnerabili all’insorgenza di sintomi gambling-correlati;
(b) adeguata pianificazione della terapia dopaminigerica;
(c) pianificazione di intervento di supporto psicologico.
Alcuni dei suddetti fattori di vulnerabilità, tra cui personalità, disturbi dell’umore/ansia, deficit cognitivi, rappresentano un terreno fertile per interventi di psicoterapia cognitiva nel Parkinson, aprendo lo scenario verso nuove e possibili modalità di gestione della malattia di Parkinson rappresentato da una potenziale sinergia tra terapia dopaminergica e Psicoterapia Cognitiva.
Tuttavia ulteriori studi sono necessari per chiarire la complessa relazione tra Gambling e Malattia di Parkinson, sia in merito ai possibili nessi eziologici nonché per un maggiore approfondimento degli aspetti clinici e comportamentali.
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Gambling: credenze metacognitive e comorbidità psichiatrica
BIBLIOGRAFIA:
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