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La trasmissione intergenerazionale dell’ansia

Il genitore trasmette al figlio l’ansia o è il temperamento del bambino a scatenare l’apprensione genitoriale? Gli studi in materia cercano una risposta. %%page%%

Di Susanna Martina

Pubblicato il 17 Set. 2015

Aggiornato il 04 Ott. 2019 13:19

Susanna Martina – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi

Il genitore ansioso trasmette al proprio figlio l’ansia? Gli studi in materia di trasmissione intergenerazionale dell’ansia cercano di rispondere a questa e ad altre domande.

Disturbi d’ansia: alto impatto psico-socio-economico

L’idea che i disturbi d’ansia siano tra i più comuni e diffusi disturbi mentali all’interno della popolazione è ormai ampiamente condivisa dalla maggior parte degli studi epidemiologici sul tema. Da quanto emerge, infatti, la loro prevalenza si aggira attorno al 25% nella popolazione normale, si sviluppano precocemente, in media intorno agli 11 anni, sono più frequenti nelle donne, tendono a cronicizzarsi nel tempo e per tutti questi motivi hanno elevati costi socio-economici. Sono infatti causa di difficoltà in svariati ambiti: da quello sociale, a quello familiare, educativo e lavorativo, costituendo essi stessi un fattore di rischio per lo sviluppo di ulteriori disturbi come ad esempio la depressione o l’abuso di sostanze (Creswell & Waite, 2015). È perciò fondamentale che i ricercatori mantengano alto l’interesse nei confronti di questi disturbi, in modo da individuare trattamenti sempre più precoci ed efficaci che possano ridurne l’elevato impatto psico-socio-economico.

I disturbi d’ansia sono solitamente caratterizzati da una grande eterogeneità di sintomi tra cui ad esempio eccessive preoccupazioni, forte paura, nervosismo, insonnia, difficoltà di digestione, tensione muscolare, tachicardia, sensazione di soffocamento, panico; tale sintomatologia ha pertanto diverse implicazioni a livello cardiovascolare, respiratorio, gastrointestinale e nervoso, arrivando a compromettere notevolmente, nei casi più gravi, il funzionamento psicofisico generale dell’individuo. Gli effetti di tale compromissione si ripercuotono inoltre anche in altri ambiti della vita della persona, mettendo a rischio il suo più generale adattamento all’ambiente ed alla società.

Disturbo d’ansia generalizzato, ansia da separazione, disturbo di panico, agorafobia, fobia sociale sono infatti solo alcuni dei disturbi d’ansia più diffusi e riconosciuti come limitanti o comunque interferenti con l’apprendimento, la socializzazione, la vita sentimentale, le performance scolastiche, le ambizioni personali e/o gli scopi di vita dell’individuo. Come può un amministratore delegato soffrire di fobia sociale? O un chirurgo operare se ha la fobia del sangue? Può un operatore ecologico soffrire di agorafobia? Per tutte queste ragioni è fondamentale riuscire ad individuare non solo i fattori scatenanti, ma anche i fattori che contribuiscono al mantenimento ed alla cronicizzazione di questa specifica categoria di disturbi. Essendo un argomento molto vasto e complesso, in quest’articolo ci si focalizzerà prevalentemente sull’approfondimento delle conoscenze e delle implicazioni in materia di trasmissione intergenerazionale dell’ansia. Infatti avere una più chiara idea dei principali meccanismi e fattori coinvolti nello sviluppo e nella trasmissione della sintomatologia ansiosa tra genitori e figli, può aiutare a comprendere meglio le potenzialità di interventi precoci per il trattamento o la prevenzione dei disturbi d’ansia.

Trasmissione intergenerazionale dell’ansia

Una delle più interessanti conquiste della ricerca sul tema è la scoperta che i disturbi d’ansia ricorrono all’interno delle famiglie (Turner et al. 1987; Beidel & Turner, 1997; Merikangas et al. 1999; Eley et al. 2002). Trattandosi però di un fenomeno particolarmente complesso, la comprensione dei meccanismi implicati risulta ancora parziale e a volte contraddittoria: alcuni studi hanno infatti affermato che i bambini dei genitori affetti da disturbi d’ansia hanno sette volte più probabilità di sviluppare a loro volta un disturbo d’ansia rispetto a bambini di genitori non affetti da tale psicopatologia (Turner et al. 1987; Merikangas, et al. 1998), altri studi hanno invece sottolineato che sono i genitori dei bambini ansiosi ad essere a rischio di sviluppare essi stessi un disturbo d’ansia rispetto ai genitori dei bambini sani (Last et al. 1991; Cooper et al. 2006). Pertanto, quanto conta la genetica nel passaggio intergenerazionale di un disturbo d’ansia tra genitore e figlio? E se fosse più una questione ambientale, quali fattori hanno maggior peso? Ma, soprattutto, è il genitore ansioso che trasmette al proprio figlio l’ansia o è il temperamento ansioso del bambino a scatenare l’apprensione del genitore? Gli studi in materia di trasmissione intergenerazionale dell’ansia hanno cercato e cercano tuttora di rispondere a tutte queste domande.

Un recente contributo sul tema è stato dato da Eley e colleghi (2015) sull’American Journal of Psychiatry. Lo studio ha coinvolto 387 famiglie di gemelli monozigoti e 489 famiglie di gemelli eterozigoti insieme ai loro rispettivi partner e ad uno dei loro figli adolescenti. Le famiglie sono state valutate con diversi strumenti tarati specificamente per rilevare i diversi aspetti della sintomatologia ansiosa. I dati ottenuti hanno confermato il contributo della genetica per quanto riguarda la presenza di sintomatologia ansiosa tra gemelli omozigoti, mentre non hanno rilevato un effetto genetico altrettanto significativo rispetto alla trasmissione intergenerazionale dell’ansia tra genitori e figli. Questi risultati hanno perciò avvalorato l’ipotesi che i figli non abbiano tanto ereditato l’ansia dai propri genitori quanto più che l’abbiano sviluppata a partire da altri meccanismi quali ad esempio le esperienze di apprendimento successive. I risultati dell’esperimento sono perciò rimasti in linea con il modello attualmente più condiviso sulla trasmissione intergenerazionale dell’ansia per cui, seppure l’ereditarietà genetica contribuisca a predisporre l’individuo in termini di vulnerabilità alla sintomatologia (Robinson et al. 1992; Stein et al. 2002), il peso dei fattori ambientali sembra essere maggiormente significativo.

Trasmissione intergenerazionale dell’ansia: fattori e meccanismi implicati

Molte ricerche hanno approfondito quali fattori ambientali sono prevalentemente coinvolti nella trasmissione intergenerazionale dell’ansia e tra questi i più studiati sono il legame di attaccamento genitori-figli, il funzionamento e la struttura familiare, lo stile educativo e comportamentale del genitore ed infine le credenze e le attribuzioni genitoriali. In particolare, riguardo l’attaccamento, è ormai certo che un legame di tipo insicuro nei genitori e nei bambini sia prevalentemente associato all’ansia infantile e che la percezione di controllo, il senso di autonomia ed il senso di competenza personale siano importanti mediatori nell’associazione tra fattori familiari e disturbi d’ansia (Rapee, 2001; Barlow, 2004). Tuttavia restano ancora da chiarire alcuni specifici meccanismi attraverso cui l’attaccamento contribuisce alla trasmissione intergenerazionale dei disturbi ansia, in particolare il diverso contributo dell’attaccamento materno rispetto a quello paterno nello sviluppo di specifiche forme d’ansia infantile. Alcune ricerche suggeriscono infatti l’ipotesi che il legame di attaccamento paterno possa giocare un ruolo prevalente rispetto a quello materno nello sviluppo dell’ansia sociale (Lamb, 1980; Bogels & Phares, 2008).

Per quanto riguarda il funzionamento e la struttura familiare, si può affermare che la qualità del rapporto di coppia tra i genitori ed in particolare la loro capacità di supportarsi a vicenda, influenzano direttamente la qualità del rapporto che ciascun genitore instaura poi con il proprio figlio e che questo si ripercuote sul figlio in termini di maggior senso di sicurezza acquisito; tale senso di sicurezza costituisce uno dei principali fattori protettivi per lo sviluppo di future psicopatologie nel bambino (Lamb, 1980; Amato & Rezac, 1994; Brunelli et. al 1995). Ma quali aspetti del funzionamento e della struttura familiare sono specifici per l’ansia nei bambini? Alcune ricerche hanno effettivamente riscontrato un’associazione specifica tra qualità della relazione di coppia tra i genitori ed ansia nei figli (McHale & Rasmussen, 1998) tuttavia i risultati sono ancora limitati. In relazione all’ansia infantile sono stati inoltre studiati aspetti della struttura familiare come l’ordine di nascita, la numerosità della famiglia ed il rapporto con i fratelli. Purtroppo, anche in questo caso, i risultati ottenuti sono limitati e a tratti discordanti e di conseguenza non permettono una chiara comprensione del fenomeno. In particolare, ad esempio, secondo alcuni studi sarebbero i figli unici ed i primogeniti maggiormente a rischio di sviluppare timidezza ed ansietà (Zimbardo, 1977) per le alte aspettative di successo riposte in loro dai genitori, mentre secondo altri studi sarebbero i fratelli minori quelli più a rischio in quanto potenzialmente più esposti a situazioni di prepotenza e dominanza negativa da parte dei fratelli maggiori (Dunn et al, 1994). Anche l’associazione tra disturbi d’ansia e grandezza della famiglia non è ben definita, infatti in alcuni casi una famiglia numerosa costituisce un fattore protettivo dalle conseguenze negative di relazioni conflittuali tra i genitori, mentre in altri casi costituisce un aggravante a causa dell’atmosfera potenzialmente più caotica e conflittuale (Bogels & Brechman-Toussaint, 2006). Perciò, ad oggi, la specifica associazione tra funzionamento e struttura familiare ed ansia infantile resta ancora da chiarire; tuttavia si può affermare che, in generale, una scarsa qualità del rapporto di coppia tra i genitori, uno scarso supporto reciproco tra i genitori, conflittualità intrafamiliare ed un generale malfunzionamento intrafamiliare sono fattori significativi nello sviluppo e mantenimento dell’ansia.

Per quanto riguarda gli stili educativi ed i comportamenti genitoriali, la letteratura ha ormai fornito sufficienti evidenze per confermare come stili e comportamenti genitoriali ipercontrollanti e rifiutanti siano principalmente responsabili dello sviluppo e del mantenimento dell’ansia nei bambini. Lo stile educativo definito parental over-control è caratterizzato da un’eccessiva regolazione e/o limitazione dell’autonomia del bambino nelle attività e nelle routine quotidiane, con un alto livello di vigilanza ed intrusività. Questo tipo di atteggiamento genitoriale tende a limitare notevolmente lo sviluppo del bambino in termini di autonomia ed indipendenza, e contribuisce ad infondergli uno scarso senso di autoefficacia oltre che a un senso di insicurezza e di incontrollabilità del mondo esterno. Anche uno stile genitoriale caratterizzato da parental negativity, ovvero da mancanza di calore e approvazione, contribuisce a creare nel bambino idee negative e distorte sul mondo, su di sé e sul futuro (Krohne, 1990; Krohne & Hock, 1991). Le ricerche hanno inoltre evidenziato come i genitori affetti da disturbi d’ansia adottino maggiormente stili educativi e comportamenti intrusivi, iperprotettivi e ipercontrollanti rispetto ai genitori sani, contribuendo in larga parte a sviluppare e mantenere l’ansia nei propri figli. Inoltre, come accennato precedentemente riguardo al legame di attaccamento, anche in questo caso madre e padre sembrano giocare ruoli distinti, in particolare sembra che lo stile relazionale ed il comportamento dei padri sia specificamente associato al livello di ansia sociale nei bambini (Bogels & Perotti, 2011).

Ma cosa porta il genitore ad agire in un certo modo? In questo senso fattori cognitivi come credenze ed attribuzioni genitoriali hanno un ruolo fondamentale nella trasmissione intergenerazionale dell’ansia: da una parte influenzano direttamente il comportamento manifesto del genitore, dall’altra influiscono indirettamente sull’adozione di stili relazionali più o meno efficaci (Bogels & Brechman-Toussaint, 2006). Attraverso un apprendimento di tipo vicario, definito parental modelling, il bambino, osservando direttamente le risposte comportamentali dell’adulto, apprende il suo stesso modello di risposta e tende poi a riutilizzarlo in simili situazioni future. È chiaro quindi come un genitore ansioso, che tende a reagire alle situazioni in modo eccessivamente apprensivo e spaventato, passi al proprio figlio un modello di risposta comportamentale simile, favorendo in quest’ultimo lo sviluppo e/o il rinforzo di tratti ansiosi (Askew et al., 2008).

Altre categorie di credenze e attribuzioni genitoriali condizionano invece indirettamente lo stile educativo adottato dal genitore. In particolare, la percezione che il genitore ha del temperamento o del comportamento del proprio bambino, condiziona fortemente le aspettative del genitore stesso e di conseguenza influenza lo stile relazionale da lui successivamente adottato (Bogels & Brechman-Toussaint, 2006). In questo senso esiste quindi una reciprocità tra temperamento infantile e risposta genitoriale: un bambino con un temperamento caratterizzato da alti livelli di arousal ed emotività contribuisce a creare nel genitore aspettative relazionali che influenzano necessariamente il modo in cui il genitore si comporta; tale comportamento influenza a sua volta la risposta emotiva del bambino e così via in un rapporto di reciproca influenza (Bogels & Brechman-Toussaint, 2006). Sembra che a mediare questa relazione contribuisca anche il senso di controllo e di efficacia percepita del genitore in situazioni di care-giving. Alcune ricerche hanno infatti dimostrato che genitori affetti da disturbi d’ansia, con aspettative negative sulle reazioni del proprio bambino e con scarso senso di autoefficacia in situazioni di care-giving si comportano con maggior intrusività, iperprotezione, ansietà e controllo (Creswell et al. 2010; Creswell et al. 2013) Altre ricerche hanno infine posto l’attenzione su una particolare modalità di pensiero definita negative interpretation bias, ovvero la tendenza ad interpretare negativamente situazioni ambigue, ritenendola anch’essa responsabile dello sviluppo e del mantenimento dei disturbi d’ansia nei figli (Podina et al. 2013).

Conclusioni

L’idea che i disturbi d’ansia siano disturbi ad alta prevalenza e che abbiano un grave impatto psicologico, sociale ed economico è ormai consolidata. Uno degli aspetti più interessanti di questa eterogenea categoria di disturbi è il fatto che ricorrano frequentemente tra le generazioni. Numerosi studi hanno infatti identificato i fattori ed i meccanismi specificamente coinvolti nella trasmissione intergenerazionale dell’ansia. Attualmente, il modello più condiviso afferma che il contributo maggiore allo sviluppo e mantenimento dell’ansia tra generazioni è dato da fattori di tipo ambientale come il legame di attaccamento, il funzionamento e la struttura familiare, lo stile educativo e comportamentale del genitore e le credenze e le attribuzioni genitoriali.

La complessità dei risultati ottenuti in materia, sembra inoltre suggerire che il rapporto tra ansia genitoriale ed infantile sia biunivoco e di reciproca influenza: come un genitore ansioso, guidato dalle proprie credenze e attribuzioni, influenza le risposte cognitive e comportamentali del proprio figlio trasmettendogli la propria ansia, altrettanto un figlio con un particolare temperamento può influenzare negativamente la risposta comportamentale del genitore, rinforzando un circolo vizioso difficile da interrompere. Tra i meccanisimi chiave identificati nella trasmissione intergenerazionale dell’ansia, il parental modelling assume un ruolo privilegiato in quanto è responsabile dell’apprendimento vicario delle risposte ansiogene nei bambini attraverso l’osservazione dei genitori.

Giocano inoltre un ruolo chiave anche le cognizioni e le attribuzioni dei genitori, che, se distorte, tendono ad influire negativamente sulle strategie educative da loro adottate. Sembra infine che, avendo padri e madri diversi ruoli nell’educazione dei figli, questi contribuiscano diversamente alla trasmissione dei disturbi d’ansia, e in particolare sembra che il contributo paterno sia predominante nella trasmissione dell’ansia sociale.

 

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