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La comunicazione terapeutica: gli strumenti e le strategie per renderla efficace

La comunicazione è sempre inserita in una relazione ed esistono delle strategie per renderla efficace tra cui essere concreti e porsi nell'ottica dell'altro

Di Vincenzo Amendolagine

Pubblicato il 23 Lug. 2015

La comunicazione connota le relazioni fra gli esseri umani. Il bisogno di comunicare è frutto, secondo Habermas, dell’agire sociale. In esso, un posto di rilievo lo occupa l’interazione fra curante e curato, che si concretizza nella comunicazione terapeutica. Esistono strumenti – strategie che la implementano e la rendono più efficace.

Intelligenze multiple, agire relazionale e pragmatica della comunicazione umana

Ogni essere umano è caratterizzato dal possesso di intelligenze multiple (Gardner, 1994). Fra queste, si trova l’intelligenza interpersonale, ovvero quella dimensione cognitiva che nel rapporto con l’alterità si impianta e si ipertrofizza. La comunicazione connota le relazioni fra gli esseri umani. Secondo Habermas (1997) il bisogno di comunicare nasce dal fatto che l’agire umano è sempre frutto di una coordinazione sociale, cioè si comunica per direzionare l’agire, conseguenza di interazioni sociali (agire comunicativo o relazionale).

La pragmatica della comunicazione umana, attraverso gli assiomi che governano il comunicare, ha stabilito che l’uomo non può non comunicare, anche il silenzio che si instaura in una relazione è frequentemente il prodotto di un’intenzionalità comunicativa. In altri termini, il silenzio trasmette il desiderio di non comunicare (Watzlawick, Beavin e Jackson, 1971, pag.41). D’altra parte, l’uomo parla continuamente. Lo fa esternando le sue parole ad un interlocutore, lo fa con se stesso attraverso il self – talk o linguaggio interiore. In entrambe le situazioni, dal punto di vista neuroscientifico, sono attivati gli stessi meccanismi neuronali, come dimostra una recente ricerca (Magrassi et al., 2015).

La teoria dell’informazione

Nell’ambito della teoria dell’informazione, il comunicare è il risultato di una relazione che si instaura fra emittente e ricevente. In pratica, l’emittente invia delle informazioni al ricevente, attraverso un canale (aria, ecc.). Laddove queste informazioni sono espresse in un codice conosciuto da entrambi diventano dei messaggi, che hanno la capacità di influire sui partecipanti alla comunicazione. [blockquote style=”1″]Quanto maggiore è la condivisione di codici (linguistico, affettivo, cognitivo) tanto maggiore è la possibilità di una comprensione del messaggio e di una risposta adeguata[/blockquote] (de Mennato, 1998, pag. 98).

Mappa cognitiva, sistema di significazione, identità culturale

Ogni persona percepisce la realtà in base alla mappa cognitiva che possiede. È proprio questo sistema di significazione che orienta la comunicazione, attraverso un’attenzione selettiva per quello che si sta ascoltando, per quello che dice l’interlocutore. In altre parole, è la mappa cognitiva che interviene nella selezione e nell’elaborazione dell’informazione. La mappa concettuale costituisce l’identità culturale dell’individuo. Solitamente <i soggetti…comunicano con minore tasso di fraintendimento nel momento in cui riconoscono reciprocamente l’appartenenza alla stessa identità culturale> (de Mennato, op. cit., pag. 99).

Comunicazione, relazione e contesto

La comunicazione fra gli esseri umani è sempre inserita nell’ambito di una relazione ed è proprio questo aspetto relazionale che la contraddistingue e la ipoteca, come affermato dal secondo assioma della pragmatica della comunicazione umana (Watzlawick, Beavin e Jackson, op. cit., pag. 44). In altre parole, laddove ci si sente a proprio agio nel rapporto con l’altro, la comunicazione diventa fluida, cosa che non succede in una situazione di disagio. In pratica,

[blockquote style=”1″]ogni atto comunicativo…non è comprensibile al di fuori del proprio contesto e della sequenza di atti comunicativi all’interno dei quali si colloca[/blockquote] (de Mennato, op. cit., pag. 101).

Le nostre conversazioni, il più delle volte, hanno come argomento principale noi stessi e il nostro mondo. È un modo per consolidare i legami sociali, attraverso la condivisione delle soggettività. Sembra che parlare di sé obbedisca ad un bisogno primordiale dell’essere umano. Infatti, una ricerca compiuta da Tamir e Mitchell della Harvard University ha dimostrato che quasi la metà delle nostre conversazioni ha per oggetto i vissuti relazionali, sia quelli che sperimentiamo nel rapporto con noi stessi che con l’alterità. I ricercatori paragonano questo bisogno, alla luce delle attivazioni cerebrali prodotte, al bisogno di mangiare. Di fatto, entrambi i bisogni incrementano l’attività del sistema dopaminergico mesolimbico (Tamir e Mitchell, 2012).

L’implementazione della comunicazione terapeutica

Alla luce dei costrutti delineati, la comunicazione terapeutica ha il paradigma fondante nella relazione che si instaura fra curante e curato. In altri termini, è proprio questa interazione che ipoteca al positivo o al negativo il comunicare. La comunicazione terapeutica si implementa attraverso alcuni strumenti e strategie, quali:
– l’essere il più concreti possibile per evitare fraintendimenti;
– mettersi sempre nell’ottica di comunicare con piuttosto che contro;
– “considerare ogni interlocutore degno di una storia che non possiamo conoscere se non è lui a narrarla” (de Mennato, op. cit., pag. 103);
– debellare ogni analfabetismo emozionale, ovvero essere coscienti delle emozioni provate e di quanto esse influiscono sui processi comunicativi (Contini, 1997).
– saper superare il proprio egocentrismo cognitivo/affettivo, ossia “decentrarsi” sull’altro per capire il suo messaggio (de Mennato, op. cit., pag. 106);
– implementare le abilità empatiche, cioè quelle competenze che ci permettono di “sentire il mondo personale” del nostro interlocutore, con l’obiettivo di capire il suo valore e il significato (Rogers, 1970, pag. 57).

 

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Vincenzo Amendolagine
Vincenzo Amendolagine

Medico, psicoterapeuta psicopedagogista. Insegna come Professore a contratto presso la Facoltà/Scuola di Medicina dell’Università di Bari Aldo Moro.

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