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14 Giugno: Giornata mondiale del donatore di sangue – I fattori che influenzano la motivazione a donare sangue

Diversi studi hanno indagato i fattori che motivano le persone a donare sangue, tra cui l'effetto Ringelmann e la norma di reciprocità - Psicologia

Di Giada Costantini

Pubblicato il 12 Giu. 2015

Dal 2004 il 14 giugno viene festeggiata la Giornata mondiale del donatore di sangue proclamata dalla Organizzazione mondiale della sanità. Questa data è stata scelta in quanto giorno di nascita di Karl Landsteiner, scopritore dei gruppi sanguigni e coscopritore del fattore Rhesus. 

Come ogni comportamento umano, la donazione mette in movimento e dinamizza pensieri, emozioni ed affetti: nel dono del sangue, rispetto al ciclo normale del dare-ricevere-ricambiare (che è l’esperienza di dono maggiormente sperimentata) il sangue non è ricevuto da una persona conosciuta, non è restituito (o lo è in piccola misura) e in ogni caso non lo si dona perché sia contraccambiato. Inoltre, l’atto della donazione del sangue, con le sue implicazioni di realtà (il prelievo), fisiologiche e simboliche (il sangue, cioè la vita che in parte esce da noi) e il contesto in cui avviene, può determinare una dinamica e una complessità di emozioni e pensieri che, in certi casi, travalicano e quasi neutralizzano l’intenzionalità razionale (“dono il sangue per il bene altrui”). Ciò può determinare stati di tensione e, a volte, di ansia o di paura.

Sono diversi gli studi che indagano i fattori che sembrano contribuire all’intenzione a donare sangue (cfr. Aturni, 2009).
Un fattore che potrebbe influire negativamente sulla motivazione è quello che in psicologia sociale viene definito l’effetto Ringelmann: in compiti comuni, dove il contributo del singolo non è identificabile, si alimenta una diffusione di responsabilità che porta ad un minore impegno del singolo nello sforzo collettivo. Questo potrebbe spiegare il pensiero comune del “tanto c’è chi ci pensa” in base al quale ciascun individuo, facendo affidamento sull’impegno degli altri, riduce il proprio sforzo manifestando quella che viene definita pigrizia sociale.

Pilavin e Callero (1991) hanno sottolineato come la conoscenza personale sulla necessità di raccogliere sangue sembra influire sulla scelta di donare: le persone che riferiscono di avere (esse stesse o loro consanguinei) ricevuto sangue sono più propense a diventare donatori rispetto a coloro che non lo hanno mai ricevuto. Ricevere qualcosa, infatti, ci pone all’interno di quella che è stata definita norma di reciprocità (Gouldner, 1960) che ci fa sentire in dovere di restituire, a nostra volta, ciò che abbiamo precedentemente ricevuto.

L’importanza attribuita dalla famiglia alla donazione e le aspettative percepite dagli altri significativi rispetto all’assunzione di quel comportamento, invece, possono essere ricondotte ad alcuni studi (ad esempio gli studi di Lee, Pilivian, e Call Vaughn, 1999) dove si evidenzia come i neo donatori abbiano spesso un famigliare donatore.

Un altro importante fattore individuato sono le norme personali, intese come valori personali che guidano il comportamento. In uno studio (Lee, Pilivian, e Call Vaughn, 1999) si mostra come le norme personali siano predette dalle aspettative percepite degli altri significativi e, a loro volta, siano predittive dell’intenzione a donare. Tuttavia, se questa variabile influenza l’intenzione a donare effettivamente, il continuum di questo impegno nel tempo sembrerebbe essere determinato dall’identità di ruolo e dalle esperienze precedenti (Lee, Piliavin e Call, 1999): con l’aumentare del numero di donazioni effettuate sembra emergere una identità di ruolo che guida i comportamenti, orientando le scelte future verso la volontà di continuare a donare; altre ricerche hanno sottolineato come l’intenzione ad agire un comportamento sia mediata dal ricordo positivo associato a quel comportamento, evidenziando come il ricordo delle emozioni sperimentate durante la donazione di sangue, insieme all’attitudine a donare, sia predittore dell’intenzione a donare ancora (Breckler, e Wiggings 1989; Piliavin, et al. 1982).

Godin e collaboratori (2005) mostrano come sentimenti di obbligo morale e il controllo percepito siano maggiormente predittivi dell’intenzione a donare nei donatori fidelizzati, mentre l’atteggiamento verso la donazione sembra essere il maggior predittore per coloro che non hanno mai donato. Il ricordo delle prime esperienze di donazione, infatti, influenza l’intenzione a donare, specialmente se esiste un contrasto emozionale tra il ricordo dell’ansia sperimentata prima della donazione e le emozioni positive sperimentate dopo la donazione.

Questo contrasto, secondo Piliavin e colleghi (1982), rinforzerebbe il comportamento di donazione incrementando l’intenzione a donare nuovamente.
In Italia, è il CIVIS (coordinamento interassociativo volontari italiani del sangue), fondato a Perugia nel 1995, che riunisce le quattro principali associazioni e federazioni di donatori di sangue volontari operanti sull’intero territorio nazionale: AVIS, FIDAS, Fratres e donatori di sangue della CRI.

Le strutture associative che si occupano di donazione di sangue rivestono un ruolo importante e peculiare che può incidere sull’effettivo mantenimento di questo gesto da parte sia dei neodonatori sia dei donatori fidelizzati. Tuttavia la donazione di sangue, pur essendo un atto personalmente scelto, deriva da una costellazione di variabili personali, familiari ed organizzative che necessitano di essere approfondite e studiate nella loro globalità al fine di arrivare alla creazione di strategie di reclutamento e di fidelizzazione che portino alla soddisfazione totale del bisogno di scorte di sangue.

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