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Il ruolo della paura nei disturbi d’ansia

La percezione di uno stimolo spaventoso genera l'attivazione automatica dell'amigdala e questo spiegherebbe alcuni fenomeni come l'ipervigilanza e l'ansia.

Di Stefania Prevete

Pubblicato il 30 Apr. 2015

Aggiornato il 09 Gen. 2017 13:04

 

Una possibile spiegazione di alcuni fenomeni legati all’‪‎ansia‬, quali per esempio l’ipervigilanza‬, ‪e l’‎iperallarme‬, potrebbe essere legata all’attivazione automatica dell’amigdala, in seguito alla percezione di uno stimolo spaventoso.

Mediante la percezione visiva identifichiamo ed assegniamo significati agli oggetti nello spazio ed è in base ad essi che reagiamo. La percezione della paura consente una risposta adattiva a situazioni di minaccia, attraverso una reazione automatica d’attacco/fuga, attivando una specifica area cerebrale: l’amigdala. Una lesione di quest’area determina una diminuzione della capacità di riconoscere la paura mentre una sua stimolazione, negli esseri umani, porta a sperimentare ansia e paura (Bear, et al.2005).

Una possibile spiegazione di alcuni fenomeni legati all’‪‎ansia‬, quali per esempio l’ipervigilanza‬, ‪e l’‎iperallarme‬, potrebbe dunque essere legata all’attivazione automatica dell’amigdala, in seguito alla percezione di uno stimolo spaventoso. È questa la conclusione a cui sono arrivati alcuni studiosi ed, ancora più interessante, è il fatto che la percezione dello stimolo non debba essere obbligatoriamente consapevole.

Nello studio di Whalen e colleghi (1998), infatti, i partecipanti percepivano espressioni facciali in assenza di conoscenza esplicita. Venivano loro presentate delle espressioni di ‪paura‬ e felicità sovrapposte ad espressioni neutre, che dunque le mascheravano, impedendo così la percezione consapevole delle emozioni sottostanti. Mentre le espressioni facciali venivano proiettate su uno schermo, si registravano i segnali di attivazione cerebrale, mediante risonanza magnetica funzionale. Al termine della presentazione degli stimoli veniva poi chiesto ai partecipanti di descrivere qualsiasi aspetto dei volti presentati; commentare le espressioni emotive dei volti; e se avessero visto o meno qualche espressione di felicità o qualche volto spaventato.

I risultati dello studio dimostrarono che, nonostante i partecipanti dichiaravano di non aver percepito le espressioni facciali della paura in modo esplicito, si verificava comunque in essi un’attivazione dell’amigdala. Questa parte del ‪cervello‬, dunque, risultava essere implicata anche nel monitoraggio di stimoli emotivi inconsapevoli. Inoltre, il livello di attivazione dell’amigdala era influenzato in modo differenziale dalla valenza emotiva degli stimoli: l’intensità del segnale aumentava per gli stimoli di paura e decresceva per quelli di felicità.

Dunque entrambe le espressioni, paura e felicità, forniscono informazioni sul potenziale di minaccia in un dato ambiente, e incidono differentemente sul livello di attività dell’amigdala.

Tali risultati sarebbero in linea con l’ipotesi che considera le prime risposte agli stimoli affettivi, automatiche; esse non richiederebbero pertanto consapevolezza. L’attivazione dell’amigdala, dunque, potrebbe rappresentare il substrato neurobiologico del primo step, automatico, dell’elaborazione degli stimoli emotivi. Da tale step il processo potrebbe evolvere verso un’analisi più differenziata, da cui emergerebbe la distinzione tra le varie emozioni.

Per Whalen e colleghi (1998), dunque, l’amigdala potrebbe giocare un ruolo principale nei fenomeni clinici che si osservano nei disturbi d’ansia. Infatti, in questi soggetti, l’attivazione di quest’area cerebrale potrebbe commettere errori nel processare le informazioni a livello implicito e dare origine a fenomeni tipici quali: ipervigilanza, iperallarme e mancata abituazione agli stimoli.

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