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Cancellare i pensieri non voluti può essere controproducente

La ricerca dice che generalmente l’annullamento dei pensieri non funziona, ma comporta un aumento dell'intensità o della ripetitività del pensiero

Di Alina Dohotaru

Pubblicato il 19 Mar. 2015

Aggiornato il 21 Mar. 2016 10:46

 

La ricerca dice che nella maggior parte dei casi l’annullamento dei pensieri non funziona, ma comporta un aumento dell’intensità o della ripetitività del pensiero.

Capita con una certa frequenza che i pensieri negativi ed invasivi che vogliamo bloccare ritornano tassativamente alla mente come i peperoni. E se vogliamo portare il paragone fino alla fine, tornano indietro forse proprio perché non digeriti, non masticati, ma inghiottiti per interi come una medicina amara che pensiamo ci curi.

Come mai la nostra mente, di cui spesso ci fidiamo più di qualsiasi altra istanza psichica, è così ribelle da non darci retta quando le chiediamo di sbarazzarci da questi ospiti non desiderati nella nostra testa? Come mai invece di mandarli via li invita più spesso? 

Pensiamo e ripensiamo ad uno sbaglio che abbiamo fatto, ad un problema economico, a qualcosa di cui abbiamo paura. E ci viene spontaneo dirci che quella cosa ce la dobbiamo togliere dalla mente. A voi è mai funzionato?  La ricerca dice che nella maggior parte dei casi l’annullamento dei pensieri non funziona, ma comporta un aumento dell’intensità o della ripetitività del pensiero.

Ci sono varie teorie che spiegano gli effetti paradossali della soppressione dei pensieri:

– l’associazione ai distrattori: durante la soppressione dei pensieri non voluti le persone si distraggono in maniera non focalizzata con stimoli che trovano nei dintorni (il muro, gli oggetti, ecc). Durante questo processo, si creerebbero delle associazioni tra i pensieri “proibiti” e i vari distrattori, per cui successivamente gli stessi stimoli diventano una sorta di promemoria per i pensieri da cui volevamo fuggire;

– il ritorno dei pensieri soppressi potrebbe essere dovuto alla motivazione a portare a termine un compito incompiuto, come spiegato dall’effetto Zeigarnic (nell’esperimento di Zeigarnic, confermato da studi successivi, i pensieri associati ad un compito non terminato rimangono attivi nel sistema cognitivo della persona, tanto che i più predisposti a ricordare un compito dell’esperimento se non lo avevano completato  per via di una interruzione).

– la teoria dei processi ironici di Wegner: sostiene che la soppressione dei pensieri suppone due meccanismi: un processo intenzionale che cerca i pensieri diversi da quelli non desiderati e un processo ironico di monitoraggio inconscio e cerca contenuti mentali che sono opposti all’obiettivo conscio di rimuovere quei pensieri. Più che ironia la possiamo chiamare sarcasmo, anche se alla base di questa vigilanza c’è un compito costruttivo: in primo luogo mi distraggo pensando intenzionalmente a qualcos’altro; in secondo luogo, e qui arriva l’ironia, la mia mente inizia un processo di monitoraggio inconscio per verificare se si sta ancora pensando alla cosa che non dovrei pensare, per verificare se il processo cosciente funziona o no. In altre parole, la parte inconscia allerta la parte conscia del bisogno di rinnovare la distrazione quando la consapevolezza dei pensieri non voluti diventa imminente.

– le metacognizioni: le aspettative, le credenze o i giudizi sulla propria mente possono influenzare l’efficacia della soppressione dei pensieri, come per esempio la credenza che alcuni pensieri sono controllabili e altri no, oppure che alcuni sono difficili da controllare. Queste credenze sono frutto delle esperienze lungo lo sviluppo: così può essere che l’esperienza di successo o di fallimento in alcuni casi possa aver creato una propensione a ripetere quelle esperienze, per poi diventare cognizioni intrusive, come nel caso della depressione, delle ossessioni o delle fobie.

Gli studiosi hanno individuato comunque alcuni fattori che possono influenzare il successo o il fallimento del processo di soppressione dei pensieri: le informazioni con una valenza emozionale sono più difficili da cancellare; è più facile sopprimere un pensiero in condizioni naturali rispetto a condizioni sperimentali in laboratorio; le differenze individuali e la presenza o meno di patologie.

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BIBLIOGRAFIA:

  • Wenzlaff, R. M., Wegner, D. M. (2000). Thought Suppression. Annual Revue of Psychology, 51, 59–91.
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