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Venire a patti con la paura – Report della sessione plenaria del Convegno SOPSI 2015

Secondo Ledoux le emozioni sono funzioni biologiche del cervello e vanno distinte dalla loro cognizione che è mediata da sistemi distinti, ma interagenti.

Di Giuseppina Di Carlo

Pubblicato il 31 Mar. 2015

Quando parliamo di emozioni possiamo intendere diverse cose: risposte fisiologiche che nel corso del tempo si sono evolute per la lotta alla sopravvivenza, elaborazioni della mente sulla base di quanto il cervello percepisce dalla realtà interna o esterna, sentimenti che influenzano il pensiero e producono determinati comportamenti.

Per il direttore del “Center for Neural Science” della NYU, pioniere nello studio dei processi neurali che portano alle emozioni, le emozioni sono funzioni biologiche del cervello e vanno distinte dalla loro cognizione che è mediata da sistemi distinti, ma interagenti.

Lo studio delle vie neurali responsabili del condizionamento alla paura ha grosse implicazioni sul trattamento di disturbi mentali come le fobie, il disturbo d’Attacchi di Panico, il PTDS. Ledoux spiega come il punto di partenza nei suoi studi siano state le ricerche sulla memoria emotiva derivate dalla sperimentazione sugli animali.

I mammiferi, infatti, di fronte agli stressor, hanno risposte fisiologiche molto simili come il freezing, l’aumento della pressione arteriosa e del battito cardiaco, l’analgesia e il rilascio di cortisolo. Queste risposte provengono dall’ attivazione dell’amigdala che, di fronte a uno stimolo condizionato, invia segnali ad aree come il talamo, l’ippocampo e diverse zone della corteccia. Grazie all’ attivazione congiunta di queste aree è possibile la risposta e l’esperienza di paura.

I percorsi che portano alla risposta o all’ emozione conscia sono diversi: uno top down e uno bottom up. La paura in quest’ottica corrisponde sia ad una risposta di evitamento e di difesa da un pericolo imminente, che un sentimento.

Mentre la risposta di paura è sempre conseguente a uno stimolo condizionato, il sentimento della paura, invece, può essere suscitato anche da stimoli non specifici legati a funzioni come la memoria semantica o episodica, l’attenzione, il monitoraggio che scaturiscono da un percorso cerebrale meno immediato, dove l’amigdala è la tappa finale del percorso neurale e il segnale minaccioso viene analizzato in dettaglio, usando informazioni
provenienti anche da altre parti del cervello.

Si tende a confondere emozioni e sentimenti, spiega LeDoux: le emozioni sono funzioni biologiche che si sono evolute per permettere agli animali di sopravvivere in un ambiente ostile e di riprodursi; i sentimenti invece sono il prodotto della coscienza e derivano dallo sviluppo negli esseri umani della neocorteccia.

Il sentimento della paura è un’ etichetta soggettiva che l’uomo attribuisce all’ emozione. Occorre perciò evitare di parlare di sentimenti, che sono impossibili da studiare oggettivamente, conclude il neuroscienziato, e concentrarsi sulle emozioni e sulla loro base biologica, i cui circuiti neurali sono tangibili quanto quelli dei meccanismi sensoriali.

L’apporto delle neuroscienze ha implicazioni anche sul trattamento farmacologico; questo spiegherebbe perché gli ansiolitici blocchino le risposte fisiologiche associate alla paura in maniera efficace, ma non sono altrettanto efficaci quando si parla di modificare le cognizioni relative a questa emozione. Poiché sono controllate da altri circuiti difensivi, l’intervento dovrebbe essere di altro tipo, ad esempio psicoterapeutico.

 

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