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Come parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino – Recensione

Il libro costituisce una guida pratica su come confrontarsi coi bambini e propone degli esercizi di immedesimazione coi più piccoli per comprendersi meglio.

Di Serena Mancioppi

Pubblicato il 02 Feb. 2015

Il cuore del metodo sta nel considerare i propri figli come degli interlocutori affidabili dei loro sentimenti e della loro esperienza interna, che deve essere sempre rispettata e validata.

Quando per la prima volta sentii parlare di questo libro da mia sorella, parigina di adozione e madre di 3 figli, era così entusiasta che mi precipitai a comprarlo nella versione inglese, fino a qualche mese fa l’unica reperibile qui in Italia.

“Non hai idea, io e le mie amiche ci scambiamo consigli su come applicare il metodo, e funziona! Se glielo dici in un certo modo fanno quello che vuoi!”

La bibbia dei genitori, così titola la copertina, è “Come parlare ai bambini perchè ti ascoltino e come ascoltarli perchè ti parlino” di Adele Faber e Elaine Mazlish, laureate in arte drammatica e allieve fedeli dello psicologo infantile Haim Ginott. Da più di 10 anni impegnate nel campo della comunicazione figli/genitori, hanno scritto versioni precedenti di questo testo (Liberated Parents/ Liberated Children) in cui sono raccolte le testimonianze dei genitori che hanno partecipato ai loro seminari in cui insegnano nuove ed efficaci modalità comunicative da utilizzare con i propri figli. Questa ultima versione ha il merito di essere una sintesi delle esperienze di formazione precedenti in cui il lettore/genitore viene guidato passo passo alle esercitazioni pratiche di ascolto, auto-osservazione e comunicazione efficace.

Il cuore del metodo sta nel considerare i propri figli come degli interlocutori affidabili dei loro sentimenti e della loro esperienza interna, che deve essere sempre rispettata e validata. Più facile a dirsi che a farsi. E ce ne accorgiamo subito, non appena le autrici ci invitano a esercitarci all’ascolto di ciò che, in modo abbastanza automatico, rispondiamo ai nostri figli ogni volta che ci parlano di loro, di ciò che provano, pensano, vivono, vogliono. Non appena riusciamo a “sentirci” ci accorgiamo subito che invece che ascoltare ci affanniamo – a fin di bene ovviamente – a dare consigli, a impartire ordini, regole, a ridefinire ciò che loro dicono di provare per indurli a fare, o addirittura a provare, quello che noi pensiamo sia più giusto per loro, meno dannoso o doloroso, in un meccanismo di squalifica dell’altro che inevitabilmente porta ai suoi noti frutti: una comunicazione difficile, fatta di capricci, comportamenti oppositivi, scontento reciproco.

Gli esercizi di immedesimazione, in cui veniamo costretti ad ascoltarci e a immaginarci ricevere la stessa risposta che abbiamo appena dato a nostro figlio, sono il primo passo verso la redenzione! Come mi sarei sentito se…? Come si è sentito lui o lei? Cosa gli sto dicendo e perchè? Impariamo presto a morderci la lingua e a tacere, sostituendo silenzi carichi di interesse – ooh… Mmm.. aaha.. – a consigli e ammonimenti, per scoprire che così facendo lasciamo lo spazio necessario affinché l’esperienza interna dei bambini possa essere definita e accolta e le emozioni penose vissute a fondo e superate. Impariamo a fidarci delle risorse che ciascuno ha, anche un bambino piccolo, per affrontare non solo il proprio mondo interno, fatto di emozioni non sempre piacevoli, ma anche le difficoltà del mondo esterno, i litigi con i compagni, le delusioni, le arrabbiature, la frustrazione imposta dallo scoprire di avere dei limiti e dal dover rispettare dei limiti. Se riusciamo ad esserci, ad ascoltarli silenziosamente, con rispetto ed empatia, troveranno il più delle volte da soli la chiave per superare le difficoltà.

Nel capitolo dedicato all’autonomia ci accorgiamo quante cose inutili ci affanniamo a fare al posto dei nostri figli, spesso inseguendo più il nostro bisogno di sentirci indispensabili che il loro bisogno di dipendere da noi. La conquista dell’autonomia, invece, passa attraverso la possibilità di fare un passo indietro e lasciarli fare, piccole scelte e azioni quotidiane che li facciano sentire responsabili di ciò che li riguarda da vicino. Veniamo invitati a cambiare prospettiva: non è l’aiuto costante, il continuo regalargli la nostra esperienza di vita, il fornire consigli e risposte sagge, la protezione, che li farà crescere, ma il lasciare che sperimentino, mostrando rispetto per le loro difficoltà senza però mai privarli della speranza di poter raggiungere i traguardi che sognano. Attenzione, niente di tutto ciò è pura filosofia, ogni sezione prevede degli obiettivi e gli esercizi per raggiungerli ed è arricchita da un’ utilissima parte in cui vengono date risposte a dubbi e perplessità dei genitori che hanno partecipato ai seminari sul metodo.

La parte più gettonata è sicuramente quella relativa alla collaborazione: in poche parole, come far sì che rispettino regole, limiti e sopratutto che facciano ciò che gli chiediamo di fare? E come farlo senza ricorrere alle punizioni? Ancora una volta l’esercizio a poche e “semplici” abilità è la chiave del cambiamento. Descrivere il problema, dare informazioni, essere brevi e concisi, usare dei promemoria scritti e non mistificare ciò che proviamo. Queste le abilità da usare ogni volta che desideriamo cercare la collaborazione con i nostri figli. Anche qui l’apprendimento passa attraverso l’autosservazione di cosa abitualmente facciamo nelle situazioni che ci sembrano più problematiche. Il minimo comune denominatore delle abilità utili alla collaborazione è il riuscire, ancora una volta, a trasmettere la stima che abbiamo nella capacità dell’altro di occuparsi in modo competente di un problema o di un compito, ma anche di essere sensibile ai bisogni degli altri. Descrivere un problema per esempio, invece che accusare l’altro di esserne la causa, aiuta a concentrarsi su ciò che deve essere affrontato e dà ai bambini la possibilità di dire loro stessi cosa è necessario che facciano.
Ma veniamo alle punizioni. Davvero si può farne a meno? E come? Innanzitutto le autrici ci mettono in guardia con le parole di Ginott:

“Le punizioni non possono funzionare perché il bambino invece che sentirsi dispiaciuto per ciò che ha fatto e pensare a come rimediare si perde in fantasie di vendetta”.

In altre parole, punendolo lo portiamo lontano dal problema stesso e dalla elaborazione interiore del comportamento sbagliato. E allora che si fa? Si usa una comunicazione chiara su ciò che ci aspettiamo da lui, ma senza accuse, lo si coinvolge nella soluzione, gli si dà la possibilità di scegliere tra più alternative accettabili, gli si dà la possibilità di riparare e, se necessario, si lascia che sperimenti le conseguenze del suo comportamento…e se il problema persiste? significa che dobbiamo unire le forze, le nostre e quelle di nostro figlio, per comprendere meglio insieme cosa impedisce la collaborazione e impegnarci in un dialogo vero in cui i punti di vista e i bisogni di entrambi possano essere messi nero su bianco nella ricerca di soluzioni accettabili per entrambi.
Questo automaticamente rinforza la loro autostima, invece che mortificarla facendo leva sull’errore commesso e sulla colpa: un bambino che oggi sbaglia e a cui viene data la possibilità di riparare e comprendere l’errore sarà un adulto che non si perderà d’animo di fronte alle difficoltà e agli insuccessi, che penserà “dove ho sbagliato” e non “in cosa sono sbagliato”.

La parte che ho più apprezzato, perché scardina una modalità comunicativa largamente condivisa come positiva, è quella relativa alla lode. Le autrici propongono di sostituire i classici apprezzamenti – ma che bravo!, ma che bello!, per intenderci – con la lode descrittiva. Quando un bambino fa qualcosa che ci piace o di cui sembra contento e soddisfatto abituiamoci a descrivere ciò che vediamo e ciò che proviamo, magari trovando una parola che sintetizzi la qualità che sta esprimendo con quel comportamento e pian piano sarà il bambino stesso a imparare quali sono i suoi punti di forza. La lode descrittiva, cioè, ha il merito di lasciare che sia il bambino a lodare sé stesso e libera l’adulto dal ruolo di giudice superiore che lodando può anche indurre aspettative, dubbi e ansia da prestazione.

Insomma nessuna ricetta magica ma una guida pratica, frutto di anni di esperienza nel campo della formazione con i genitori, che ci porta per mano, se davvero lo desideriamo, a cambiare qualcosa. Il lavoro di autosservazione e di decentramento ci obbliga inoltre, in modo più o meno consapevole, a fare i conti con quelli che sono stati i nostri modelli educativi, con i genitori che siamo diventati, ma anche con i genitori che abbiamo avuto, con il complesso meccanismo di identificazioni proiettive che inevitabilmente ci ritroviamo ad agire nella relazione con i nostri figli (e non solo!). Immedesimarci in nostro figlio significa anche ridiventare il bambino che siamo stati e avere l’occasione di riflettere, con un cuore e una mente finalmente adulti, sull’educazione che abbiamo ricevuto e questo ci permette di scegliere più consapevolmente che tipo di relazione educativa desideriamo oggi costruire con i nostri figli.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Faber, A., Mazlish, E. (2014). Come parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino. Mondadori: Milano.  ACQUISTA ONLINE
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Serena Mancioppi
Serena Mancioppi

Psicologa Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Cognitivo-Evoluzionista

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