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Developmental Psychopathology: origini storiche e prospettive

Si tratta di una disciplina scientifica che studia l’interazione tra aspetti biologici, psicologici, sociali e ambientali nello sviluppo normale e anormale

Di Redazione

Pubblicato il 04 Nov. 2014

Armando Biamonte

La Psicopatologia dello Sviluppo è una disciplina scientifica il cui scopo è quello di chiarire come l’interazione tra gli aspetti biologici, psicologici, sociali e ambientali possa determinare lo sviluppo normale e anormale durante tutta la vita, e muovendosi proprio sul confine di interazione tra normale e patologico, attraverso questo costante confronto, fornisce il quadro teorico di riferimento per la prevenzione e l’intervento dei disturbi psicopatologici.

Con il termine “Developmental Psychopathology” si identifica una disciplina scientifica che ha origine negli Stati Uniti e che possiamo provare a tradurre in italiano con il termine “Psicopatologia dello Sviluppo”, un termine che in realtà in Italia viene utilizzato in modo più ampio, ma che identifica un ambito di studi ben preciso che si sta diffondendo nel resto dell’Europa e ormai anche in Italia.

La Psicopatologia dello Sviluppo è una disciplina scientifica il cui scopo è quello di chiarire come l’interazione tra gli aspetti biologici, psicologici, sociali e ambientali possa determinare lo sviluppo normale e anormale durante tutta la vita, e muovendosi proprio sul confine di interazione tra normale e patologico, attraverso questo costante confronto, fornisce il quadro teorico di riferimento per la prevenzione e l’intervento dei disturbi psicopatologici.

Per la Psicopatologia dello Sviluppo l’interazione tra fattori di rischio e fattori di protezione può influenzare il processo evolutivo. Per esempio, se vari fattori di rischio si sono dimostrati estremamente dannosi per il funzionamento normale, interagendo tra di loro e moltiplicandosi, sarà altrettanto importante considerare sia i fattori di protezione, che possono influire sull’azione degli stessi fattori di rischio, che l’interazione tra i fattori di rischio e i fattori protettivi, in quanto processi simili sono alla base di disturbi anche diversi.

La psicopatologia dello sviluppo ha il merito di aver integrato gli approcci teorici derivanti da diverse discipline, che troppo spesso sono tenute in considerazione solo se isolate tra di loro, come la Psicologia Clinica, la Psichiatria e la Psicopatologia, promuovendo così un nuovo sapere scientifico e un netto progresso delle nostre conoscenze.

La psicopatologia dello sviluppo sostiene che per ogni singolo individuo esista un percorso di sviluppo specifico, e di conseguenza ogni esperienza traumatica avrà degli effetti specifici che dipenderanno dalla vulnerabilità e dalla resilienza della persona: semplicemente, la psicopatologia dello sviluppo sottolinea l’importanza di una valutazione dell’individuo e dell’unicità del suo percorso evolutivo, in quanto considera tutti i disturbi psicopatologici in generale non come una malattia, ma come un esito evolutivo proprio della storia di quell’individuo.

In quest’ottica la psicopatologia può considerarsi come l’espressione di un fallimento della capacità di adattamento al proprio ambiente e nella regolazione dei compiti evolutivi, ma anche come un processo esteso nel tempo.

Un importante aspetto del paradigma della psicopatologia dello sviluppo è rappresentato dalla prospettiva relazionale dell’adattamento. Infatti, secondo questa prospettiva, quando sono presenti disturbi psicologici, è molto probabile che siano presenti anche dei disturbi relazionali.

La rivoluzione che la psicopatologia dello sviluppo comporta nello studio delle relazioni sta nel fatto che più che considerare i disturbi relazionali come fattori di rischio, li considera come veri e propri precursori della psicopatologia individuale.

In questo ambito teorico la ricerca ha preso avvio dalla teoria dell’attaccamento di Bowlby che rappresenta il pilastro concettuale, attraverso il quale la psicopatologia dello sviluppo sottolinea come i problemi evolutivi non possano essere considerati solo come problemi del bambino ma dovranno essere sempre considerati come problemi della relazione tra un bambino e le caratteristiche del proprio ambiente che non fornisce al bambino la necessaria esperienza di regolazione per adattarsi al contesto.

Esiste un’associazione tra una grave patologia della personalità e un’esperienza infantile di maltrattamenti e violenza: se i bambini sono maltrattati, ma hanno la possibilità di sperimentare una relazione d’attaccamento significativa che fornisce la capacità di elaborare l’evento traumatico, questi saranno in grado di elaborare positivamente la loro esperienza e l’abuso non sfocerà in un disturbo grave della personalità, al contrario dei soggetti con una relazione di attaccamento disfunzionale, che hanno minori probabilità di superare l’esperienza dell’abuso e maggiori probabilità di sviluppare una psicopatologia.

Le perturbazioni relazionali, soprattutto nelle primissime fasi dello sviluppo, possono indicare una condizione evolutiva a rischio in cui si verificano in modo ripetitivo interazioni incoerenti e insensibili, che, nel caso perdurassero potrebbero evolvere verso una psicopatologia individuale o relazionale.

Nell’ambito di questo inquadramento teorico si è voluto approfondire come viene trattata una classe di disturbi ancora molto controversa come quella dei disturbi dello spettro autistico, sui quali manca ancora l’accordo non solo sulle cause, ma anche sulle terapie. Approfondire come questo nuovo approccio affronti il disturbo autistico, risulta interessante per evidenziare cosa può offrire di nuovo nel campo delle psicopatologie in generale.

La psicopatologia dello sviluppo riesce a fornire una visione molto ampia e articolata dei disturbi psicopatologici, come, appunto, i disturbi dello spettro autistico, che per eccellenza rappresentano la disfunzione del sistema relazionale, ma sottolinea come bambini con una stessa diagnosi possano presentare enormi differenze tra loro, così come bambini con diagnosi diverse possano presentare profili molto simili.

Per esempio, un bambino può ricevere una diagnosi di autismo perché presenta delle difficoltà nel relazionarsi con gli altri, quando in realtà i suoi problemi specifici riguardano la difficoltà nell’elaborare le informazioni verbali e una iper-reattività ai suoni acuti. Di conseguenza, le parole di chi gli sta intorno potrebbero diventare confuse e aggressive provocando un disagio emozionale contro cui il bambino potrebbe mettere in pratica un meccanismo di difesa che lo porta ad isolarsi.

Detto ciò, le prospettive evolutive, sottolineano come la sindrome autistica rispecchi una sequenza generale, delle tappe, evidenziando cioè le manifestazioni sintomatologiche che emergono nelle diverse fasi dello sviluppo.

Questo approccio potrebbe essere interpretato come un tentativo di generalizzare le stesse manifestazioni sintomatiche, evidenziando cioè tutte le caratteristiche comuni sia rispetto al disturbo e sia rispetto alla singola persona che ne risulta affetta: è bene ricordare che la psicopatologia dello sviluppo sottolinea come sia importante un costante confronto tra il normale e il patologico,  ma anche di come sia importante confrontare i dati specifici ed individuali riguardanti il singolo caso clinico con i dati generali della patologia, e di come la stessa psicopatologia debba essere concepita come un processo esteso nel tempo, perché proprio da questi elementi sarà possibile ricostruire le diverse linee di sviluppo di una storia individuale, sia del disturbo e sia dell’individuo.

La psicopatologia dello sviluppo ha come obiettivo principale quello di prevedere lo sviluppo psicopatologico, quindi, anche nei confronti delle sindromi dello spettro autistico,  diventa necessario valutare quali siano le manifestazioni precoci dei disturbi destinate a consolidarsi e strutturarsi nel tempo e riconoscere le trasformazioni a cui vanno incontro questi disturbi durante lo sviluppo.

Per esempio: uno dei segni sintomatologici caratteristici della sindrome autistica, è il mancato aggancio dello sguardo che emerge già nel primo periodo di vita del bambino, cioè entro i primi sei mesi di vita, fino a diventare evitamento dello sguardo entro il primo anno.

Individuare la presenza di una difficoltà emotiva o comportamentale in età precoce, soprattutto nella sua fase di organizzazione, e intervenire tempestivamente, costituisce un importante fattore di protezione rispetto al rischio di una strutturazione di un disturbo più radicato e complesso.

Secondo la psicopatologia dello sviluppo, per meglio comprendere la sindrome autistica è importante partire da una concezione multifattoriale e considerarla come una perturbazione generalizzata e grave del processo di sviluppo che assume caratteristiche specifiche in relazione alla persona che ne è affetta.

I benefici di questa nuova prospettiva sono evidenziabili non solo nel processo di diagnosi ma anche nell’approccio terapeutico, e possiamo citare una tecnica d’intervento chiamata TMA, ovvero Terapia Multisistemica in Acqua, che utilizza gli assunti teorici della psicopatologia dello sviluppo, partendo dal pilastro rappresentato dalla teoria dell’attaccamento, che viene utilizzata proprio nel trattamento delle sindromi autistiche.

È un particolare approccio terapeutico che si svolge in un setting rappresentato dalla piscina, altamente individualizzato volto ad influenzare i disturbi del comportamento e relazionali, con mezzi prettamente psicologici ed educativi, attivando prima di tutto il sistema relazionale.

Il contributo nuovo di questa disciplina è da rintracciare proprio nel concetto “multifattoriale”, perché accanto agli elementi biologici, genetici, psicologici, sociali e ambientali, questo approccio evidenzia anche la dimensione temporale, la dimensione individuale e la dimensione relazionale, andando cioè ad affrontare un qualsiasi quadro psicopatologico utilizzando il maggior numero di prospettive, senza limitarsi ad individuarne una sola causa e soprattutto senza dover generalizzare le manifestazioni sintomatologiche e, ponendo l’accento sul carattere fondamentalmente evolutivo, individuale  e relazionale del comportamento deviante, rappresenta una valida alternativa agli approcci tradizionali.

Possiamo renderci conto, in conclusione, di quante variabili potranno intervenire e interferire con le linee di sviluppo e di come da esse potranno derivare percorsi evolutivi patologici diversi: individui diversi potranno sviluppare lo stesso disturbo mentale seguendo percorsi diversi, i disturbi mentali potranno essere causati da diversi fattori e non da una sola causa; potranno inoltre esistere diverse manifestazioni sintomatologiche per uno stesso disturbo e identificare un fattore di rischio potrà solamente far luce su un aspetto di un quadro molto più complesso.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

 European Society for Trauma and Dissociation – Report dal congresso 2014

 

BIBLIOGRAFIA:

 

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