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Be trusting, be healthy

Secondo l'autrice le persone più ciniche intrattengono meno rapporti sociali e questa ridotta socialità potrebbe aumentare il rischio di demenza -Psicologia

Di Chiara Manfredi

Pubblicato il 20 Nov. 2014

Sono numerosi gli studi e le teorie che nel corso degli anni hanno cercato (e trovato) collegamenti tra particolari tratti della personalità o caratteristiche caratteriali e il rischio di sviluppare specifici problemi psicologici e medici.

A partire degli anni ’50 si è a lungo parlato della correlazione tra le problematiche cardiovascolari (come infarto e ictus) e la personalità di Tipo A, caratterizzata da agonismo, tensione, lotta continua per raggiungere i propri obiettivi, tendenza a dominare e soprattutto ostilità che emerge soprattutto quando il desiderio di controllo totale viene frustrato andando incontro alle situazioni della vita reale, inevitabilmente incontrollabili. Chiamata anche “personalità coronarica” per le ricadute mediche a cui espone e “personalità del manager”, per capirci.

Un recente studio pubblicato online su Neurology ha analizzato la correlazione tra la sfiducia/cinismo in tarda età e l’incidenza di demenza e mortalità. La ricerca si colloca all’interno di un’ampia raccolta di dati che si è sviluppata in Finlandia a partire dal 1998 dal nome “Cardiovascular Risk Factors, Aging and Dementia Study” (CAIDE) e che ha coinvolto 2000 persone all’inizio dello studio in età avanzata (con in media 71 anni). Il CAIDE ha definito una serie di fattori che secondo la letteratura aumentano il rischio di demenza e ha seguito per 20 anni i partecipanti per registrare l’andamento longitudinale della loro salute e del loro stile di vita con riferimento a questi fattori.

Nello specifico, lo studio più ristretto con a capo la Dr.ssa Tolppanen ha analizzato la relazione tra la sfiducia cinica e la demenza in 622 soggetti (di cui 46 con diagnosi di demenza secondo i criteri DSM-IV) e la relazione tra sfiducia e mortalità in 1146 persone (di cui 361 decedute).

I partecipanti hanno compilato un questionario che indagava la fiducia nel genere umano come costrutto generale e non rispetto a specifiche persone, con domande come “è più sicuro non fidarsi di nessuno” e “penso che la maggior parte delle persone mentirebbe per i propri interessi”. Sulla base delle risposte fornite i partecipanti sono stati poi categorizzati come a bassa, media e alta fiducia.

Inoltre, all’avvio dello studio e 8 anni dopo i partecipanti hanno compilato un test per valutare il livello di demenza.

Prendendo in considerazione anche altri fattori sia medici che socioeconomici come la pressione sanguigna e la familiarità, i risultati hanno mostrato che le persone ad alto livello di cinismo avevano tre volte più probabilità di sviluppare demenza rispetto alle persone con basso livello di cinismo.

Rispetto agli eventi di morte, invece, una volta inseriti nelle analisi le caratteristiche mediche e socioeconomiche, il collegamento tra cinismo e morte non è risultato significativo.

Ovviamente, non si può parlare di relazione causale, quindi non si può neanche pensare che “insegnando la fiducia” si possano tutelare le persone dal rischio di sviluppare demenza o malattie degenerative.

Una spiegazione proposta dall’autrice presuppone che le persone più ciniche e meno pronte a fidarsi degli altri arrivino come conseguenza a intrattenere meno rapporti sociali, e che questa ridotta socialità possa aumentare il rischio di demenza a causa di una deprivazione sociale e di minori stimoli ambientali.

Vicino a questa ipotesi che vede le caratteristiche di personalità facilitare o al contrario disincentivare attività positive per la salute fisica e psicologica, un’altra ipotesi tutta da testare ma che si sta facendo strada anche grazie ai nuovi metodi di indagine neurologica e funzionale lega le caratteristiche psicologiche direttamente alle malattie, secondo un processo bottom-up che a partire all’ambiente esterno (e dalle reazioni che questo suscita in noi) facilita determinati cambiamenti a livello neuronale e fisico. In un certo senso, dal software all’hardware.

In definitiva, nonostante sia fondamentale raccogliere ulteriori dati a riguardo e ampliare la rosa delle variabili analizzate, questo studio sottolinea l’importanza di tenere in considerazione anche i fattori psicologici e la personalità, oltre allo stile di vita più o meno sano (rispetto all’alimentazione, al sonno, etc.), come predittori di disturbi neurologici e fisici che possono compromettere davvero molto la vita delle persone e dei caregiver.

 

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Chiara Manfredi
Chiara Manfredi

Teaching Instructor presso Sigmund Freud University Milano, Ricercatrice per Studi Cognitivi.

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