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Ricorsività in psicoterapia: riflessioni sulla pratica clinica di Bianciardi e Telfener (2014) – Recensione

L’attenzione per la complessità e la visione circolare, anti-riduzionistica e non lineare del mutamento clinico è il presupposto della terapia sistemica.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 18 Set. 2014

 

 

“Ricorsività in psicoterapia: Riflessioni sulla pratica clinica” (Bianciardi e Telfener, 2014) mostra molti dei pregi della tradizione sistemica in psicoterapia: l’attenzione per la complessità e per la visione circolare, anti-riduzionistica e non lineare del mutamento clinico.

Bianciardi e Telfner tentano di aggiornare il modello sistemico aggiungendo alla teoria di Gregory Bateson i successivi sviluppi di von Foerster e Maturana e Varela.

Il contributo specifico di Bianciardi e Telfner è l’applicazione alla psicoterapia di queste idee. I capitoli del libro affrontano varie aree teoriche e cliniche: la diagnosi, la definizione di psicoterapia, la relazione terapeutica in termini circolari e sistemici e le operazioni riflessive di gestione del processo. Quest’ultima parte sembra generare un corrispettivo sistemico degli sviluppi metacognitivi in atto nella terapia cognitiva, e non a caso Dimaggio e i suoi collaboratori (2007) sono citati spesso.

L’idea più originale e stimolante del libro è la riflessione su quattro saperi riflessivi individuati dagli autori: non solo i classici sapere di sapere (ovvero la conoscenza esplicita) e sapere di non sapere (la consapevolezza socratica del limite) ma anche il non sapere di sapere (ovvero il sapere intuitivo e operativo non definibile verbalmente) e perfino il non sapere di non sapere (ovvero le zone più cieche della conoscenza umana).

Il libro naturalmente condivide anche l’inevitabile limite del pensiero sistemico. Si tratta però di un limite voluto e intrinseco a questo modo di pensare e operare: la circolarità e l’anti-riduzionismo impediscono -o meglio volutamente evitano- l’accesso alla verifica empirica dei risultati e alla testabilità del modello stesso. Come scrivono gli stessi autori, la loro posizione costruzionista parte dall’essenziale non-linearità tra problemi presentati e trattamento e implica la rinuncia a protocolli standardizzati e il ricorso a interventi creativi e perturbanti.

Perché la clinica diventi una buona prassi occorre innanzi tutto “prendersi cura del processo di cura”, ossia sottoporla a una costante valutazione ricorsiva o di secondo ordine, che operi sulle proprie operazioni, tra rigore e flessibilità, accettando come un dono l’equilibrio felicemente instabile tra le proprie conoscenze, la propria ignoranza, le zone cieche e la processualità in atto, assumendosi tutti i rischi del caso. Tra questi, è proprio il rigore l’aspetto che mi pare più a rischio, dato il retroterra anti-lineare e anti-causalista di questo modo di ragionare. Confesso che gli interventi creativamente perturbanti mi turbano un po’. D’altro canto il pregio della linea sistemica è l’assenza di scolasticità e meccanicità.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Bianciardi, M., e Telfener, U. (2014). Ricorsività in psicoterapia: Riflessioni sulla pratica clinica. Torino: Bollati Boringhieri.  ACQUISTA ONLINE
  • Dimaggio, G., Semerari, A., Carcione, A., Nicolò, G., Procacci, M. (2007), Psychotherapy of Personality Disorders: Metacognition, States of Mind and Interpersonal Cycles. Routledge, London.  ACQUISTA ONLINE
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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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