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L’intelligenza è innata o appresa? Non importa, se si ha il giusto incoraggiamento

Secondo lo studio, al di là delle differenze intellettive individuali, la giusta sollecitazione può spingere le persone ad ottenere risultati migliori

Di Valentina Chirico

Pubblicato il 26 Set. 2014

FLASH NEWS

 

Un recente studio dell’Università Statale del Michigan offre una nuova prospettiva che sposta l’attenzione sui risultati della performance più che sulla natura di chi la compie e sostiene che, in certi casi, un buon incoraggiamento può essere una spinta sufficiente al successo.

“Essere o non essere (intelligenti)? Questo è il problema.” Parafrasando Shakespeare, che per parlare di intelligenza è sempre appropriato, ci si potrebbe chiedere se una mente brillante sia solo frutto di un genio innato, una capacità che c’è o non c’è.

Il talento è indubbiamente un’invidiabile dote di pochi, ma è determinata? O si può sviluppare grazie all’esercizio e all’impegno?

Il dilemma sulla questione “innato/appreso” è uno dei dibattiti sempre aperti e sempre affascinanti ma di difficile soluzione. Un recente studio dell’Università Statale del Michigan offre una nuova prospettiva che sposta l’attenzione sui risultati della performance più che sulla natura di chi la compie e sostiene che, in certi casi, un buon incoraggiamento può essere una spinta sufficiente al successo.

Lo studio: due gruppi di partecipanti hanno letto due diversi articoli, il primo riportava che l’intelligenza è in gran parte determinata geneticamente, l’altro sosteneva che la struttura genetica influisce poco sui risultati perché l’intelligenza si sviluppa in un ambiente sfidante e quindi ciò che conta è l’impegno con cui si affronta. Dopo aver letto il rispettivo articolo ogni gruppo doveva eseguire un semplice compito al computer mentre ne veniva registrata l’attività cerebrale.

I risultati: i soggetti che avevano letto l’articolo a favore della tesi genetica hanno affrontato i compiti focalizzandosi su di sé, sulla propria performance; mentre gli appartenenti al gruppo a cui era stato assegnato l’articolo pro-impegno hanno prestato attenzione agli errori commessi per decidere dove concentrarsi maggiormente di volta in volta.

Questo ha provocato una risposta cerebrale molto più efficiente per il secondo gruppo: miglioravano ogni volta che eseguivano un compito dopo aver commesso un errore e più attenzione ponevano agli errori, più veloci erano le risposte al compito successivo.

Questo dimostra che al di là delle effettive differenze personali, l’atteggiamento è fondamentale. Dire ad un individuo che il duro lavoro conta più della bravura può provocare cambiamenti reali nel suo comportamento. La giusta sollecitazione può quindi spingere le persone a impegnarsi di più e di conseguenza ad ottenere risultati migliori.

L’importanza di uno studio simile raggiunge trasversalmente diversi ambiti, dagli adulti ai bambini, dal lavoro all’istruzione: promuovere l’impegno, stimolare l’apprendimento e la motivazione può effettivamente favorire performance più efficienti.

 

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Valentina Chirico
Valentina Chirico

Dottoressa Magistrale in Psicologia dei Processi Sociali, Decisionali e dei Comportamenti Economici.

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