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La Psicoterapia Italoamericana e gli Studi sulle emozioni – Congresso APA 2014

Report dal Congresso APA 2014, Washington DC. L'interesse per le emozioni accomuna la ricerca e la clinica della psicoterapia italiana e Italoamericana.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 18 Ago. 2014

Aggiornato il 02 Feb. 2015 11:33

Congresso APA 2014:

Studi sulle emozioni

 

Terzo gruppo di presentazioni cui assisto al congresso APA (American Psychological Association) 2014. Scelgo lavori accomunati dall’interesse verso gli stati emotivi: Bernardo Carducci sulla timidezza, Anthony Scioli sulla speranza e Philip Zimbardo su qualcosa di più ampio di un’emozione: il male, come comportamento e come attitudine sociale. È un caso, o forse no, che si tratti di tre italo-americani. Accennerò anche brevemente alla mia presentazione in cui oso proporre che forse c’è un interesse specifico italiano e italo-americano per le emozioni.

Dei tre il più noto è Philip Zimbardo. E lo è dall’inizio degli anni ’70, quando eseguì nel seminterrato della Stanford University che riproduceva perfettamente un carcere un esperimento sociale diventato famoso: una simulazione di reclusione carceraria in cui ventiquattro volontari -accuratamente selezionati per escludere ogni propensione alla sopraffazione violenta o alla sottomissione- erano stati casualmente inseriti in gruppo di “guardie” o di “reclusi”. I “reclusi” indossarono divise, un numero diventò il loro nome, ebbero applicata una catena a una caviglia e ricevettero l’istruzione di attenersi alle regole della disciplina carceraria. Le “guardie” indossarono uniformi militari, occhiali da sole che celavano gli occhi, furono dotati di manganello, fischietto e manette, ed ebbero concessa ampia libertà sui metodi da adottare per mantenere l’ordine.

L’esperimento mostrò che i partecipanti, sebbene sapessero che la loro appartenenza a uno dei due gruppi fosse del tutto arbitraria e artificiale, in pochi giorni iniziarono a sviluppare non solo comportamenti sadici (le guardie, naturalmente) o ribelli e/o sottomessi (i reclusi) e soprattutto idee congruenti. Le “guardie” pensavano che i reclusi andavano giustamente controllati e puniti come se fossero davvero colpevoli e i reclusi pensavano di doversi ribellare oppure di meritare quel che subivano.

Dopo due giorni i detenuti si strapparono le divise di dosso e si barricarono all’interno delle celle. Le guardie reagirono intimidendoli e umiliandoli, ad esempio obbligando i “reclusi” a defecare in secchi che non avevano il permesso di vuotare e a pulire le latrine a mani nude. Al quindi giorno i “reclusi” erano stati completamente sottomessi e mostravano un comportamento docile e passivo mentre le guardie erano sempre vessatorie e sadiche, facendo temere che il rapporto con la realtà di tutti i partecipanti fosse compromesso.

A questo punto l’esperimento fu interrotto in anticipo per la sua pericolosità e dimostrò in maniera sbalorditiva come l’ambiente e i comportamenti fossero in grado di plasmare le persone e le loro idee in pochi giorni, anzi in poche ore. Fu un esperimento in cui comportamentismo e psicologia sociale s’incontrarono e dimostrarono la forza delle variabili esterne –il comportamento e il contesto- e ridimensionarono di molto quel che si pensava fosse l’impatto delle variabili cognitive interne.

I pensieri delle “guardie” e dei “reclusi”, lungi dal controllare i loro comportamenti, diventarono un effetto collaterale dell’ambiente e dei comportamenti. Su youtube è possibile trovare filmati e documentari dell’esperimento:

 

Da allora Zimbardo è diventato una sorta di studioso del male e dei fattori che lo facilitano, il cosiddetto “effetto Lucifero” che è diventato anche il titolo del suo libro più conosciuto (Zimbardo, 2008). Non basta.

Zimbardo è andato oltre lo studio del male, per tentare di comprendere anche quali sono le condizioni che facilitano il bene. E di questo ha parlato al congresso di Washington, proponendo quello che lui chiama l’eroismo del bene. Ovvero, per incoraggiare le persone al bene occorre renderlo attraente e appetibile, condendolo di eroismo. Questa appetibilità è necessaria per contrastare quella che è l’appetibilità del male, l’eroismo perverso delle gang giovanili violente che affliggono la vita sociale americana e anche, sia pur in misura minore, europea. L’eroismo del bene, naturalmente, è meno immediatamente appagante dell’eroismo del male. È fatto di abnegazione, di disponibilità sociale e di piccoli gesti quotidiani faticosi non immediatamente gratificanti e perversamente “gloriosi” come gli atti di sopraffazione e le soddisfazioni del rango assicurate dalle gang giovanili.

Anthony Scioli studia la speranza da anni, un’emozione trascurata. Anche la speranza, come l’eroismo del bene di Zimbardo, fa parte di una corrente di studi che preferisce lo sviluppo dei fattori di benessere piuttosto che l’esplorazione di ciò che ci fa star male. Scioli definisce la speranza come uno stato mentale più ampio della motivazione. La speranza è meno immediatamente focalizzata sulla realizzazione di un obiettivo, preferendo invece avere uno sguardo più ampio in cui è proprio l’assenza di un preciso obiettivo che rende il soggetto speranzoso meno sensibile all’ansia e alla preoccupazione. La speranza, per Scioli, si articola in 5 assi, che comprendono:

1) relazioni;
2) obiettivi;
3) fronteggiamento;
4) spiritualità o auto-trascendenza;
5) gestione dello stress.

Per la mente europea forse il termine più ostico è spiritualità o auto-trascendenza. Scioli intende con spiritualità la capacità di concepire degli obiettivi che trascendano la propria visione soggettiva e legati invece a una fede o -se si preferisce- una fiducia in un valore successivo a quelli personali. Un valore ultimo o –ancora una volta se si preferisce- almeno penultimo.

Scioli ha sviluppato alcuni strumenti di valutazione della speranza dotati di una buona capacità predittiva della resilienza, ovvero della capacità di non essere soggetti alla sofferenza emotiva (Scioli e Biller, 2009).

Da ultimo, Bernardo Carducci ha parlato di timidezza all’interno di un simposio condiviso con me e dedicato al contributo italiano alla psicologica clinica. Carducci ha esposto il suo modello della timidezza di cui abbiamo già parlato nell’intervista fatta l’anno scorso al congresso APA 2013 a Honolulu (Carducci e Golant, 2000).

Infine, nella mia presentazione ho tentato di delineare una sorta di percorso ideale della psicologia cognitiva italiana, individuando come carattere proprio l’integrazione con il costruttivismo e il particolare interesse per le emozioni e per la relazione per storia personale del cliente. State of Mind pubblica anche le diapositive della mia presentazione:

 

 

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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