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Il semplice fascino della vita quotidiana: La percezione antropologica del tempo

Il benessere passa attraverso un cambio di prospettiva della dimensione temporale in cui il vivere prevale sul pianificare e sulla tendenza al controllo

Di Vincenzo Amendolagine

Pubblicato il 18 Lug. 2014

 

 

Abstract

Una peculiarità dell’essere umano è quella di progettare il proprio tempo, ovvero di canalizzarlo in morfologie che mortificano il libero accadere degli eventi, perdendo in questa maniera le piccole e piacevoli sorprese che la vita elargisce quando si abbandonano le riserve e si segue il naturale corso degli avvenimenti.

La categorizzazione del tempo e l’instradarlo su percorsi prestabiliti sono modi per fugare la sensazione della transitorietà della vita e per costruire mentalmente il concetto di felicità in un immaginario futuro. Il benessere passa attraverso una percezione differente della dimensione temporale, ossia come un tempo in cui il vivere prevale sul pianificare.

La prospettiva temporale

Che la vita la si veda sempre dalla stessa prospettiva non è un mistero, anche se il rendersi conto del disagio che procura l’usare la stessa chiave di lettura dovrebbe indurre al cambiamento, ma si sa come Canetti, citato in Roncoroni (1989, pag.375), ci ricorda “…Si faccia avanti chi ha imparato dalle esperienze…” .

Quello che stupisce, fra le altre cose, è l’eterna autoaccusa verso la determinazione degli accadimenti che il ciclo di vita ci prospetta quando non rientrano nella progettualità da noi codificata. La Dickinson (1997, pag. 841) ci fornisce un ottimo esempio di tale procedura cognitiva: “Nella mia stima cadde così in basso / lo udì toccare terra / e sulle pietre frantumarsi poi / proprio sul fondo della mia coscienza / Il fato biasimai che lo lanciò / ma ancor di più rimproverai me stessa / d’aver tenuto ninnoli placcati / sulla mensola dell’argento.”

Sovente, come la poetessa fa, siamo portati a darci le colpe per non aver visto giusto o per non aver predisposto la nostra esistenza nel modo migliore e, quindi, per questa ragione consideriamo le nostre valutazioni delle contestualità di vita come poco veritiere.

Di fronte ad un insuccesso siamo portati ad accusarci per quello che è avvenuto, dimenticando che, nel caleidoscopico mulinare delle vicende, il nostro ruolo è sempre minuscolo nel determinare il corso degli eventi.

In questa ideologia dell’assunzione di responsabilità, in rapporto ad una progettualità che struttura il nostro ciclo vitale, dimentichiamo la saggezza latina che ribadiva “…il fato conduce dolcemente chi lo segue e trascina chi gli resiste” (Watzlawick, 1987, pag. 14).

Appena ci alziamo al mattino, il primo pensiero che percorre la nostra mente è la progettazione della quotidianità, ignorando che la migliore prospettiva è quella di pensare a ciò che il nuovo giorno può fare per noi, ovvero come si possa godere della nuova giornata, dei regali che ci fa, delle sorprese piacevoli che ci riserva.

 

Sembrerebbe all’apparenza una prospettiva semplice da considerare, ma risulta di difficile applicazione nella vita quotidiana, tant’è che von Hofmannsthal asserisce “…L’uomo comprende tutto, salvo ciò che è semplice” (Roncoroni, op. cit., pag.312).

Non amiamo le sorprese, meno che mai l’imprevedibile, e per questa ragione, in una forma di congelamento empirico dell’imponderabile, rendiamo banale quello che in realtà non lo è, ovvero il magnifico atto di esistere e il confrontarsi con lo scorrere della vita. Dimentichiamo, in questa prospettiva, come Wittgenstein (citato in Roncoroni, op. cit., pag. 345) ci rammenta, che “chi è in anticipo…sul proprio tempo, dal suo tempo sarà raggiunto”. Perdiamo, in questa maniera, la ricchezza del divenire della vita.

In altri termini, siamo completamente presi dalla smania di fare progetti ed in ultimo forse saremo costretti a dire come il poeta Zanzotto “…a che valse l’attesa del gioco?” ( 2011, pag. 1156). La vita è fatta frequentemente da una serie di circostanze che determinano il corso della temporalità, in altre parole come Wittgenstein, citato in Tempini (1976, pag. 26 – 28) afferma “…il mondo è tutto ciò che accade… Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose”.

Cambiare prospettiva

Per cambiare prospettiva, spesso, è sufficiente ritornare indietro con la mente, ad un periodo della vita, come l’infanzia per esempio, nella quale l’incertezza è egemone, per rammentare quanta felicità concede l’imprevedibilità e l’avventura.

Nella vita adulta il divenire è ipotecato e incanalato nelle progettualità senza fine che si estrinsecano in piani giornalieri, settimanali, mensili, annuali e pluriennali, nei quali il vivere cristallizzato in morfologie preordinate diviene il dato saliente dell’esistenza, ridotta a mera alienazione temporale, in cui il costrutto di tempo viene traslato dal suo significato più profondo per divenire una categoria concettuale in grado di essere usata per lenire le paure.

In pratica, come afferma la Hammond (2013, pag. 9) “…A detta dei fisici, la normale scansione del tempo in passato, presente e futuro è imprecisa. Il tempo non trascorre; il tempo, semplicemente, è”. D’altra parte a questa constatazione era già giunto Sant’Agostino, che nelle sue Confessioni (2014, Libro XI, 20.26, pag. 13) ribadisce “…È inesatto dire che i tempi sono tre: presente, passato e futuro. Forse sarebbe esatto dire… presente del passato, presente del presente, presente del futuro”.

In un’ottica costruttivista e antropocentrica pensiamo di edificare la nostra vita come se fosse un’architettura che si palesa e si concretizza nel culto del futuro progettato. Percepiamo il presente in qualità di rifiuto obsoleto che richiede di essere eliminato e rimosso dalla nostra portata.

 

Nel frattempo passano i giorni, le settimane e i mesi e la nostra mente ha la sensazione del tempo trascorso nell’epistemologia della progettualità, che diviene un modo per perdere quel fascino sublime e semplice che la vita ci regala, ossia il suo crearsi attimo per attimo.

Il programmare il futuro allontana dai rivoli della mente la finitudine del ciclo vitale. In altre parole, è un modo per esorcizzare la paura della morte in una faticosa e inutile rincorsa della felicità dove essa non è, ovvero nella dimensione futura.

A questo riguardo magistralmente Flaiano, citato in Giardina (1999, pag. n.n.), osserva “…l’uomo è felice solo quando si distrae dal pensiero della morte facendo cose inutili…”. E la morte che ci tormenta altro non è che l’annientamento della sensibilità, come Epicuro (Paini, 2006, pag. 33) ci avverte “…Niente è la morte per noi: infatti tutto ciò che si è dissolto non è più dotato di sensibilità, e ciò che non è più sensibile è niente per noi…”.

La rincorsa della felicità e il suo trovarla in una dimensione futuribile è un’altra menzogna che ci raccontiamo “…Troppo a lungo ci è stato fatto credere, e noi ingenuamente abbiamo creduto, che la ricerca della felicità conduca infine alla felicità…” (Watzlawick, op. cit., pag. 8).

Molti di noi convivono, quindi, con l’irritante pensiero della ricerca della felicità e con il debellare la paura della morte, ignorando le parole di Seneca che nella sua La vita felice ci ricorda che “…ne consegue una costante serenità, libertà una volta scacciati i motivi che ci irritano o ci spaventano…” (Ghiselli, 2006, pag. 8).

Alla luce di ciò tutta la quotidianità con i suoi rituali diventa un tempo perso che ci sottrae all’etica del progettare, del prospettare il futuro, tralasciando il presente che sprechiamo come una risorsa – non risorsa di cui non sappiamo che farne. A tal proposito Cicerone ribadisce “… se ne vanno le ore, i giorni, i mesi, gli anni, non torna più il tempo passato ed è impossibile conoscere ciò che verrà dopo…” (Paggetti, 2006, pag. 59).

In altre parole, è necessario riscoprire il tempo in una dimensione nuova, ovvero come afferma la Hammond (op. cit., pag. 13) “…Il tempo può essere un amico…così come può essere un nemico. Il trucco è controllarlo…Il tempo è al centro della nostra maniera non solo di organizzarci la vita, ma di vivere la vita…”.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Dickinson, E. (1997). Tutte le poesie (S. Raffo trad.). Milano: Mondadori.
  • Ghiselli, G. (a cura di) (2006). La vita felice – Seneca. Santarcangelo di Romagna (RN): Rusconi Libri.
  • Giardina, A. (a cura di) (1999). Il piccolo libro della felicità. Milano: Baldini & Castoldi.
  • Hammond, C. (2013). Il mistero della percezione del tempo. (A. Montrucchio trad.) . Torino: Einaudi.
  • Paggetti, N. (a cura di) (2006). Il senso della vita – Cicerone. Santarcangelo di Romagna (RN): Rusconi Libri.
  • Paini, D. (a cura di) (2006). La felicità e il piacere – Epicuro. Santarcangelo di Romagna (RN): Rusconi Libri.
  • Roncoroni, F. (1989). Il libro degli aforismi. Milano: Mondadori.
  • Sant’Agostino (2014). Le confessioni: Libro XI. Monastero Virtuale. 
  •  Tempini N. (a cura di) (1976). Neoempirismo logico semiotica e filosofia analitica. Brescia: La Scuola Editrice.
  • Watzlawick, P. (1987). Istruzioni per rendersi infelici (F. Fusaro trad.). Milano: Feltrinelli.
  • Zanzotto, A. (2011). Tutte le poesie – Versi giovanili (1938 – 1942). Milano: Mondadori. ACQUISTA ONLINE
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Vincenzo Amendolagine
Vincenzo Amendolagine

Medico, psicoterapeuta psicopedagogista. Insegna come Professore a contratto presso la Facoltà/Scuola di Medicina dell’Università di Bari Aldo Moro.

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