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Psicopatici al potere: viaggio nel cuore oscuro dell’ambizione – Recensione

Psicopatici al potere è un diario di viaggio nel mondo degli psicopatici, un report la cui lettura porta a muoversi con l’autore nei meandri più nascosti.

Di Anna Angelillo

Pubblicato il 12 Mar. 2014

Aggiornato il 09 Mar. 2015 12:53

Anna Angelillo

 

 

Psicopatici al potere:

viaggio nel cuore oscuro dell’ambizione

(2014)

di Jon Ronson

Codice Editore

 

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Psicopatici al potere Psicopatici al potere” è un diario di viaggio nel mondo un po’ in ombra degli psicopatici: un report la cui lettura porta a muoversi con l’autore nei meandri più nascosti, sconosciuti e che forse mai si avrebbe creduto di sfiorare, mettendosi in cammino con l’autore.

Il giornalista inglese Jon Ronson – famoso per aver scritto il libro da cui poi è stato tratto il film “L’uomo che fissa le capre” del 2009 – comincia il suo percorso, mosso dalla voglia di far luce su un mistero: scoprire chi ha spedito uno strano libro a diversi accademici, sparsi per il mondo. La forma mentis di un giornalista, così come accade anche per il nostro reporter, è portata ad andare oltre la quasi banale risoluzione dell’enigma, interrogandosi sulle ragioni più profonde e a volte oscure dell’accaduto: Ronson dunque utilizzerà la soluzione come punto di partenza per far luce su ciò che ha mosso i fili del comportamento manifesto e per comprenderne “l’impatto sulle dinamiche della società”. È così che lo scrittore inglese intraprende questo cammino nella follia e si imbatte per la prima volta nella psicopatia (“Non avevo mai pensato molto agli psicopatici prima di allora, e mi chiesi se non fosse il caso di provare ad incontrarne uno.”, p. 19).

La psicopatia può essere definita come un costrutto, che comprende un insieme di tratti emotivi/interpersonali e comportamentali, che delineano individui che, dietro un’apparente maschera di sanità, nascondono deficit neurobiologici e psicologici, e dunque posseggono tratti di personalità che li allontanano dalla popolazione generale. È bene precisare che gli psicopatici si allontanano dalla gente “normale” non perché criminali tout court, ma perché mancano di alcune abilità – quali empatia, la capacità di provare rimorso, l’abilità di riconoscere le emozioni altrui – che li rendono, probabilmente e non sicuramente, più propensi a mettere in atto agiti violenti.

Le stesse caratteristiche, di contro, possono però rivelarsi adattive, se utilizzate in contesti diversi: ad esempio, in contesti aziendali, a molti manager farebbe comodo non sentire il rimorso nel licenziare i propri dipendenti né farsi fermare dalla loro sofferenza per un proprio tornaconto: essi hanno messo in atto una mera strategia aziendale, poco altruistica, ma non di certo condannabile moralmente e penalmente, al pari di un omicidio efferato. Si chiamano “corporate psychopath” (Babiak, Neumann & Hare, 2010), psicopatici aziendali, i cosiddetti psicopatici di successo, che non infrangono la legge, ma si servono delle tipiche caratteristiche dello psicopatico criminale medio (egocentrismo, insensibilità, tendenza a manipolare), associate però ad una intelligenza e a competenze sociali brillanti, oltre che a circostanze contestuali/familiari favorevoli, per ottenere quello che vogliono, rimanendo dietro una maschera di sanità immacolata. 

Dove finisce dunque il leader senza scrupoli e comincia lo psicopatico criminale? Dov’è dunque il confine tra normalità e patologia? Quanto le etichette diagnostiche possono confondere e impedire di prendere anche solo in considerazione il fatto che una semplice parola – nel nostro caso “psicopatia” – possa essere considerata spoglia di una qualunque connotazione arbitraria, rimanendo così un costrutto di personalità, con delle caratteristiche neutre?

Il viaggio di Ronson ci mostra, seppur in maniera divulgativa, se vogliamo poco scientifica, ma non per questo meno efficace e diretta (che per i non addetti ai lavori, forse, è la maniera più adeguata), come sia possibile ritrovare tratti psicopatici in persone di cui non avremmo mai sospettato, in quei concentrati di carisma, che affascinano e stupiscono per il modo discutibilmente pulito (ma solo perché non hanno infranto leggi o fatto del male tangibile – in senso fisico – a qualcun altro) con cui si son fatti strada. Ci permette, inoltre, di notare come sia molto più facile associare l’idea di psicopatia al comportamento criminale e quindi a qualcosa di pericoloso, per il semplice fatto che è un modo per allontanare da noi qualcosa che non conosciamo e che, per tale motivo, ci fa paura.

Giunto quasi alla fine del suo viaggio, Ronson dirà: “[…] Sono soltanto degli psicopatici, è la loro caratteristica fondamentale. È quello che sono.” (p. 257).

Lo scrittore dimostra, con il suo lavoro, come la conoscenza possa cambiare l’approccio verso un aspetto della personalità umana, fino a quel momento rimasta all’ombra: “La conoscenza è potere” (p.262), dirà Robert Hare al nostro autore durante il loro ultimo incontro.

È un libro piacevole e a tratti inquietante, perché tali sono le avventure raccontate dall’autore; è un contributo tagliente e volutamente provocatorio, a buon rendere, perché offre spunti di riflessione per esaminare la società in maniera critica sì, ma anche costruttiva.

 

 

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