Che fumare non faccia bene è ormai noto ed assodato; che fumare in gravidanza possa aumentare il rischio per il feto e il futuro bambino di sviluppare molteplici problematiche tra cui ad esempio una riduzione del peso alla nascita e difficoltà attentive nel corso dello sviluppo è stato ampiamente dimostrato. Ciò che c’è di nuovo è che il fumo in gravidanza aumenta il rischio per il futuro bambino, una volta adulto, di sviluppare un Disturbo Bipolare.
Questo il risultato di uno studio pubblicato una decina di giorni fa dalla famosa rivista American Journal of Psychiatry da parte di un gruppo di ricercatori americani, che ha preso in esame i figli di un gruppo numeroso di donne che avevano preso parte al Child Health and Development Study (CHDS) dal 1959 al 1966. Il risultato è chiaro: il fumo in gravidanza raddoppia il rischio di sviluppare un quadro psicopatologico bipolare nel figlio una volta adulto.
In Disturbo Bipolare, classificato secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali all’interno della sezione delle patologie dell’Umore, si configura con un quadro clinico caratterizzato dall’ alternanza di fasi di umore depresso a fasi di umore euforico, anche dette fasi maniacali. Le diverse tipologie di disturbo bipolare concettualizzate differiscono sulla base della gravità, durata ed alternanza delle due opposte fasi umorali.
L’incidenza di questa patologia psichiatrica è dell’1,2% nel sesso maschile e del 1,8% nel sesso femminile. Tale incidenza può arrivare al 2% nel corso della vita. Qualche variazione nei due sessi si osserva rispetto all’incidenza delle diverse forme di bipolarismo e la tarda adolescenza e la giovinezza sono gli anni di maggior rischio per l’insorgenza del disturbo bipolare. La patologia bipolare rappresenta un quadro clinico estremamente complesso e grave, che determina una significativa compromissione della qualità di vita dell’individuo affetto e delle persone che si prendono cura di lui.
Le cause ipotizzate per il disturbo bipolare sono eterogenee e comprendono fattori biologici, genetici e ambientali, ben descritti all’interno del Modello Vulnerabilità-Stress: l’insorgere della patologia non è ascrivibile ad un solo fattore (che non può essere considerato di per sé necessario e sufficiente), ma deriva dalle interazioni continue tra vulnerabilità genetica, fattori di rischio ambientali e processi intrapsichici. Ciò significa che l’interazione da un lato può potenziare reciprocamente l’effetto dei vari fattori, ma dall’altro può anche neutralizzare l’effetto di alcuni di essi, incrementando la capacità di recupero dei pazienti di fronte alle esperienze negative.
Che significato possiamo quindi dare al risultato della ricerca qui descritta in termini di comprensione della patologia bipolare?
Gli autori hanno sottolineato come da un punto di vista psicopatologico l’esposizione al fumo di tabacco in fase prenatale si associa solitamente allo sviluppo in età adulta da parte del bambino di quadri clinici “esternalizzanti”, quali ad esempio il Disturbo da Attenzione e Iperattività (ADHD), il Disturbo Oppositivo Provocatorio (ODD), il Disturbo della Condotta (CD) e l’abuso di sostanze. Anche se non classificato all’interno dei quadri esternalizzanti il disturbo bipolare condivide con essi molteplici caratteristiche cliniche, tra cui la scarsa attenzione, l’irritabilità, lo scarso autocontrollo e l’uso inadeguato di alcol e droghe, fatto questo che spiegherebbe il rischio aumentato di contrarre tale patologia.
In un’ottica più Bio-Psico-Sociale potremmo considerare il fumo in gravidanza come un fattore di rischio che, a determinate condizioni favorevoli di vulnerabilità genetica e di rischio ambientali può, in alcuni soggetti facilitare lo sviluppo di un quadro clinico bipolare in età adulta.
Ciò significa che la possibilità per una madre che ha fumato in gravidanza di avere un figlio che in età adulta svilupperà questa patologia non è un destino inevitabile ma una realistica possibilità a determinate condizioni di vulnerabilità biologica e ambientale.
La domanda quindi sorge spontanea: perché andar a molestar il can che dorme?
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BIBLIOGRAFIA:
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