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EABCT 2012 – Il ruolo delle Tecniche Immaginative in Terapia Cognitiva

EABCT 2012 – (29/08) Pre-Congress Workshop - An experiential guide to using Imagery in your cognitive therapy practice. James Bennett-Levy.

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 30 Ago. 2012

Aggiornato il 06 Set. 2012 12:48

EABCT 2012 – (29/08) Pre-Congress Workshop – 

An experiential guide to using Imagery in your cognitive therapy practice. James Bennett-Levy

EABCT 2012 Geneva

EABCT 2012 – Il ruolo delle tecniche immaginative in terapia cognitiva

Risale a inizio degli anni ’90 la critica al razionalismo della terapia cognitiva standard che sottolineava la distinzione tra cognizioni fredde e cognizioni calde.

Le prime, più intellettuali e distaccate, sono comprese e conosciute dall’individuo al di fuori delle situazioni di attivazione emotiva, o per spiccata capacità autoriflessiva o in seguito a interventi psicoterapeutici. Le cognizioni calde sono il frutto dell’integrazione tra il ‘pensare’ e il ‘sentire’, non una semplice ristrutturazione ma anche una percezione di veridicità e convinzione (‘sento che è così’).

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Questa critica ha portato alla proliferazione di ricerche e tecniche tese a favorire il passaggio dalla pura riflessione verso una percezione anche sensoriale dei nuovi punti di vista che si costruiscono in terapia. L’immaginazione è il destriero che molti hanno cavalcato per attraversare il ponte. La psicologia cognitiva di base sosteneva questa scelta iniziale: attraverso l’immaginazione è possibile generare un’attivazione emotiva, seppur virtuale, anche durante una sessione di terapia. Diventava possibile avere un contesto capace di mettere alla prova i nuovi punti di vista on-line e con il supporto diretto del terapeuta.

James Bennett-Levy
Prof. James Bennett Levy

Vent’anni dopo è tempo di fare il punto su ciò che è stato prodotto al riguardo. Vi riesce con grande chiarezza e lucidità, James Bennett-Levy nel suo workshop al presente Congresso Europeo di Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale (EABCT, Ginevra, 2012): An experiential guide to using imagery in your cognitive therapy practice. L’obiettivo dichiarato all’inizio del suo lavoro è quello di tracciare una mappa di quali interventi immaginativi sono stati sviluppati, le loro caratteristiche, a quali pazienti si rivolgono, quando e come applicarli in psicoterapia cognitiva.

Una simile guida era necessaria, dato che il termine ‘imagery’ volava da molto tempo tra molte bocche, ognuna delle quali tendeva a farsene padrona. Si aveva l’impressione che questa imagery fosse per molti ricercatori la nuova base tecnica della terapia cognitiva, più rapida, efficace, e capace di aggirare gli ostacoli relazionali. Poi, nel dettaglio, la si usava in modi tanto variegati da risultare vaga e confusa. La classificazione di Bennett-Levy è una vera organizzazione della conoscenza teorica e tecnica al riguardo, esaustiva e chiara dove non manca una mappa retrospettiva e precisi riferimenti a coloro che si sono occupati in varia misura del tema.

Il workshop descrive ben nove modalità di utilizzo dell’immaginazione delle quali il terapeuta può avvalersi dall’assessment iniziale, alla formulazione del caso, alla ristrutturazione delle esperienze negative alla costruzione di nuovi stili di vita. Esistono esercizi di imagery per comprendere gli episodi emotivi quando il paziente fatica a differenziare i contenuti mentali, per recuperare memorie infantili dolorose e accertarne il significato, per facilitare la manipolazione delle immagini intrusive o favorire il distanziamento da contenuti negativi passati o semplicemente ipotetici futuri.

Così l’imagery si estende fino alle frontiere delle emozioni positive che vengono sostenute e rinforzate, stati mentali come l’autoefficacia o la compassione verso di sé possono essere conosciuti attraverso la visualizzazione immaginativa. In questa visione d’insieme l’imagery si mostra un destriero cresciuto e ben addestrato per solcare questo ponte.

Ne esco soddisfatto, con l’impressione che fortunatamente nei circuiti scientifici non mancano persone con una predisposizione all’integrazione e piuttosto che alla competizione o ancor peggio, all’indifferenza verso altri modi di pensare e di agire. È possibile che per procedere nella conoscenza scientifica e nella pratica terapeutica si abbia bisogno anche di distruttori o di arieti che procedono lungo la loro strada senza guardarsi al fianco.

Ma ho la netta convinzione che i ruoli di attenti revisori siano imprescindibili. E Bennett-Levy, da attento revisore, ha tracciato gli attuali confini delle tecniche immaginative. E ora si può ripartire con più ordine.

 

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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