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La Solitudine: il modello della Discrepanza Cognitiva in Psicologia

Il modello della Discrepanza Cognitiva definisce il senso di solitudine come derivante dal confronto tra modello ideale e realtà percepita.

Di Daniele Bruni

Pubblicato il 23 Apr. 2012

Aggiornato il 27 Ago. 2019 12:54

La ricerca scientifica e psicoterapica ha comunemente distinto l’esperienza della solitudine (loneliness) dall’effettiva condizione dell’essere soli (being alone).

Immagine: The Loneliness of a Sappy Man. © 2012 Marco Piunti. www.trattogrullo.com
The Loneliness of a Sappy Man. © 2012 Marco Piunti. www.trattogrullo.com

Secondo questa distinzione, è possibile che alcuni individui socialmente isolati possano sentirsi abbastanza soddisfatti nonostante il loro oggettivo scarso numero di interazioni sociali. Al contrario, altri individui possono essere oggettivamente coinvolti in un gran numero di relazioni interpersonali ma, nonostante questo, sentirsi profondamente insoddisfatti sotto alcuni importanti aspetti della loro vita (ad esempio, la qualità dei propri rapporti o la mancanza di un particolare tipo di relazione, come una relazione romantica e sentimentale) e fare di conseguenza esperienza di un doloroso senso solitudine.

Per comprendere la differenza tra isolamento sociale e solitudine è stato sviluppato il modello della discrepanza cognitiva (Perlman e Peplau, 1982). Secondo questo modello, le persone sviluppano uno standard interno di comparazione, un modello ideale e mentale con il quale confrontano e giudicano le loro relazioni interpersonali nella loro vita reale ed esterna. Se le loro relazioni con gli altri superano questo standard, l’individuo non sperimenterà sentimenti di solitudine e sarà soddisfatto delle proprie relazioni, sia in termini di quantità che di qualità. Al contrario, se le loro relazioni reali con gli altri sono al di sotto di questo standard e aspettativa interna, l’individuo sarà insoddisfatto e farà esperienza della solitudine, con un dolore più o meno intenso a seconda dei casi.

Il modello della discrepanza cognitiva della solitudine rappresenta un ampliamento delle precedenti teorie sviluppate da Thibaut e Kelley (1959). Questi autori presentarono un’analisi della soddisfazione e dell’attrazione nelle relazioni diadiche (di coppia) in base al livello di comparazione interno (Comparison Level, CL). Secondo questi ricercatori, se il risultato sperimentato dall’individuo in un determinato rapporto è al di sopra di questo livello di comparazione, allora l’individuo sarà soddisfatto ed avrà piacere di relazionarsi con l’altro. Al contrario, se il risultato di questa comparazione è al di sotto di un certo livello, l’individuo sperimenterà insoddisfazione e non percepirà attrazione.

Il Disturbo Narcisistico di Personalità secondo la Teoria di Kernberg. - Immagine: © marcodeepsub - Fotolia.com
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Il modello della discrepanza cognitiva della solitudine di Perlman e Peplau propone invece che l’individuo sviluppi un livello di comparazione per l’intera rete delle proprie relazioni sociali.

Questo livello di comparazione può essere pensato come la rappresentazione della quantità o della qualità del contatto sociale desiderato dalla persona e viene utilizzato dall’individuo per valutare l’adeguatezza della propria rete sociale attuale. Paradossalmente, secondo questa teoria, anche una persona apparentemente mai sola (come ad esempio un personaggio pubblico, un attore o un cantante), può provare profondi sentimenti di solitudine (e di conseguenza, di tristezza) se il suo modello di comparazione interno prevede una forte discrepanza tra quello che vorrebbe e quello che in realtà si trova ad avere.

Un altro fattore ipotizzato da Thibaut e Kelley (1959), utile nel determinare il livello di comparazione dell’individuo, è il confronto sociale. Vale a dire, l’individuo formula delle aspettative riguardo al numero e al tipo di relazioni sociali che secondo lui dovrebbe avere, in parte anche sulla base delle relazioni sociali di persone vicine o simili a sé (parenti, amici, vicini di casa, conoscenti del quartiere, ma anche modelli proposti dai mass media). Questo fattore complica leggermente le cose poiché a determinare l’esperienza della solitudine interverrebbe non solo il confronto con i propri standard interni, ma anche il confronto con degli standard esterni presentati dalle persone vicine all’individuo. D’altra parte, un modello esaustivo di spiegazione deve comunque necessariamente comprendere fattori di tipo sociale, oltre che individuale.

Una questione interessante riguarda il “come” le discrepanze tra le relazioni interpersonali reali e desiderate siano correlate al livello di soddisfazione dell’individuo. Kelley e Thibaut (1978) suggeriscono che l’associazione sia di tipo non-lineare. Russell, Steffen, e Salih (1981) hanno infatti trovato che il rapporto tra l’aumento del numero di amicizie intime e il senso di solitudine (o in modo inverso, di soddisfazione personale) era lineare fino al punto in cui le amicizie attuali e desiderate della persona si stabilizzavano sullo stesso numero in termini di quantità e di qualità. Con un ulteriore aumento del numero di amicizie intime, quindi al di sopra del livello di comparazione interno, non vi era alcun ulteriore aumento del grado di soddisfazione personale. Vale a dire, se si hanno più amici di quelli che si desidera, il livello di soddisfazione personale dell’individuo non aumenta, né diminuisce il senso di solitudine. Al contrario, se siamo al di sotto del nostro livello di comparazione interno (cioè, abbiamo meno amici di quanti ne vorremmo), la sensazione di solitudine aumenta con l’aumentare del numero di amici in meno rispetto a quanti ce ne aspettiamo.

Per comprendere questo dato, possiamo fare l’esempio della persona che desidera 5 amici ma ne ha effettivamente 4. Questa persona può essere maggiormente soddisfatta di una persona che ha 10 amici ma che, al contrario, ne vorrebbe avere 30. Allo stesso modo, una persona con 3 amici intimi che ne desidera effettivamente 3, può sentirsi più soddisfatta della persona che ha 4 amici ma ne desidera 5, pur avendo quindi oggettivamente meno amici, e così via. Diversamente, se la persona con 3 amici desiderati ha nella realtà 10 amici effettivi, secondo questi studi, non percepirà un aumento del senso di soddisfazione poiché quelli che effettivamente desidera, per così dire, già li possiede.

Un modello ancora più generale, sulla stessa onda della discrepanza cognitiva, è stato proposto da Higgins (1987) per spiegare il senso di disagio sperimentato dall’individuo nelle diverse situazioni della vita. Higgins parla di discrepanza del Sé (Self-Discrepancy Theory). Secondo questo autore, l’individuo ha una rappresentazione di come vorrebbe e gli piacerebbe essere (Sé ideale), di come è nella realtà (Sé reale), e di come la società o la morale impone che dovrebbe essere (Sé normativo). Ogni discrepanza tra queste tre rappresentazioni provoca un coinvolgimento emotivo più o meno rilevante per il soggetto, spingendolo, nel migliore dei casi, a costruire attivamente delle strategie per ridurre la discrepanza tra queste.

Se la discrepanza tra Sé reale e Sé ideale (per esempio, “sono grasso ma vorrei essere più magro; sono timido ma vorrei essere socievole; sono solo ma vorrei avere più amici; ecc.”) non viene attivamente risolta, l’individuo sperimenterà emozioni più o meno intense connotate nello specifico da un senso di scoraggiamento (insoddisfazione, delusione e tristezza). Se non è superata la discrepanza tra Sé reale e Sé normativo (per esempio, “sono pigro e dovrei essere più attivo; sono lento e dovrei essere più svelto; sono solo e dovrei avere più amici; ecc.”), invece, il soggetto sperimenterà più emozioni connotate nella direzione dell’agitazione (senso di minaccia incombente, irrequietezza, ansia e paura).

Insomma, le conclusioni a cui arrivano i diversi autori sarebbero più o meno fondate sullo stesso semplice ed identico concetto. Sembrerebbe a questo punto banale concludere con una citazione celebre (di Oscar Wilde, per esempio), ma è probabile che sia l’unico modo per riassumere il senso di un intero articolo in un’unica frase chiara e pertinente: la felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha.

Ma allora, forse dovremmo trovare una risposta ad un’altra domanda: cosa porta l’individuo a desiderare più di quanto già possiede?

 

 

BIBLIOGRAFIA:

  • HIGGINS, E. T., (1987). Self-discrepancy: A theory relating self and affect., Psychological Review, 94, pp. 319-340.
  • KELLEY, H. H., THIBAUT, J.W. (1978). Interpersonal relations: A theory of interdependence. New York: Wiley Interscience.
  • PERLMAN, D., PEPLAU, L. A. (1982). Loneliness: A sourcebook of current theory, research, and therapy., New York: Wiley Interscience, pp. 123-134.
  • RUSSEL, D. W., CUTRONA, C. E., MCRAE, C., GOMEZ, M. (2012). Is Loneliness the Same as Being Alone?, The Journal of Psychology, 146 (1-2), pp. 7-22.
  • RUSSELL, D., STEFFEN, M., SALIH, F. A. (1981). Testing a cognitive model of loneliness. Paper presented at the symposium “New Directions in Loneliness Research” at the Annual Convention of the American Psychological Association in Los Angeles, California.
  • THIBAUT, J.W., KELLEY, H. H. (1959). The social psychology of groups. New York: Wiley.

 

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