Il timore di provare emozioni negative e dolorose (ansia, tristezza, colpa) può essere chiaro, comprensibile e seppur in diversa misura, identificabile nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Meno immediato agli occhi dei più è il timore delle emozioni positive che tuttavia sembra giocare un ruolo di rilievo nel mantenimento del malessere psicologico e ostacola in modo attivo il buon esito degli interventi medici e psicoterapeutici. Molte persone temono proprio quelle emozioni piacevoli (eccitazione, felicità, tranquillità) che sentono mancare nella propria vita quotidiana e in modo più o meno consapevole mettono in atto comportamenti per evitarle (Williams, Chamblers & Ahrens, 1997).
Ma qual è il senso di questo timore? Quale il suo nucleo? Solitamente la base non ha una natura biologica o inconscia ma cognitiva, la differenza si realizza in base a come interpretiamo le emozioni positive e a come vi reagiamo. Le regole che governano queste interpretazioni possono essere diverse.
Innanzitutto alcuni individui si spaventano perche temono che l’eccitazione li porti a perdere il controllo e quindi quando l’entusiasmo sale tendono a frenarsi e a imporsi un forte e rigido autocontrollo:
“Se mi eccito troppo perdo il controllo delle mie azioni, impazzisco, non capisco più nulla”.
Secondariamente, uno stato di serenità e tranquillità (per esempio nel rapporto affettivo con un compagno/a) può essere interpretato come una condizione di vulnerabilità che richiede l’attivazione di preoccupazioni e paranoie tese a prevenire pericoli e minacce:
“Se sono tranquillo posso essere impreparato quando qualcosa di negativo accadrà, perché sicuramente accadrà, per cui mi devo tenere all’erta e preoccuparmi delle cose negative che potrebbero accadere”.
Infine anche la soddisfazione e la felicità possono essere temute e interpretate come una prova di ingenuità, superficialità, scarso valore personale:
“Non posso restare fermo a godere di queste sensazioni ma devo capire cosa non funziona, dove potrei sbagliare, cosa potrebbe andare male per non sedermi sugli allori ma continuare a migliorarmi”.
L’impatto di queste convinzioni può proiettarsi in modo negativo su diversi disturbi psicologici come il disturbo d’ansia generalizzata o la depressione (Olatunji, Moretz & Zlomke, 2010). La valutazione di queste convinzioni così come interventi terapeutici orientati alla loro discussione critica possono eliminare un importante ostacolo alla riduzione della sofferenza mentale.
BIBLIOGRAFIA:
- Olatunji, Moretz & Zlomke (2010). Behavior Research and Therapy 48(5):435-441
- Williams, Chamblers & Ahrens (1997). Behavior Research and Therapy, 35(3):239-248