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EABCT 2011: Melanie Fennell sulla mindfulness (un confronto tra le onde cognitive davanti all’oceano nordico)

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 06 Set. 2011

Aggiornato il 13 Giu. 2012 14:33

 

EABCT 2011 Melanie FennellSecondo giorno di congresso e tra le letture magistrali è ancora la mindfulness a vincere il primo premio per numero di partecipanti. Ciò nonostante devo ammettere che negli occhi dei colleghi comincia a mostrarsi una leggera stanchezza e qualche sbuffo all’ennesimo invito all’esercizio meditativo.

Anche Melanie Fennell non ha resistito alla tentazione. Lei, nota psicoterapeuta e ricercatrice di Oxford, inizia il suo intervento con qualche minuto dedicato alla meditazione. Tutti in silenzio e occhi chiusi. Ora, dopo due giorni di congresso intenso, lo stimolo naturale sarebbe quello di lasciare andare la mente verso lo spegnimento della coscienza. Tuttavia l’interesse per il tema e forse la speranza in un vivo dibattito mi tengono sveglio.  Al riguardo devo ammettere che le spiccate doti comunicative della Fennell hanno dato un contributo. La relazione è attiva e stimolante e questo sostiene lo sforzo attentivo.

Il tema principale è il confronto tra MBCT (Mindfulness-Based Cognitive Therapy)CBT (Cognitive-Behavioral Therapy), tra seconda e terza ondata delle terapie basate sull’evidenza. Quali punti comuni e quali contrasti? Esiste la possibilità di un matrimonio duraturo, un’integrazione? O siamo destinati a rimanere incastrati in questa diatriba per tutta la prossima decade congressuale?

Melanie Fennell ci offre una sintesi ordinata ma con poche novità. Il quesito resta aperto e Melanie se la cava alla vecchia diplomatica maniera: “l’importante è porsi delle domande e non trovare delle risposte”. E siamo d’accordo, ci mancherebbe. Ma almeno qualche risposta bisognerà pure indicarla, altrimenti rischiamo di girare come dei criceti sulla ruota delle stesse domande. Lo spettro di altri dieci anni di esercizi meditativi prima di una relazione congressuale continua a perseguitarmi anche ora mentre scrivo. In ogni caso il punto della situazione è chiaro ma è descritto da una sostenitrice della mindfulness. La Fennell infatti lavora con Mark Williams uno dei coautori del manuale MBCT per la prevenzione delle ricadute nella depressione.

Ma quali sono i punti chiave? Entrambi gli approcci cercano di raggiungere il medesimo obiettivo: offrire una mappa di come la mente funziona e stimolare un cambiamento in prospettive mentali controproducenti,  ridurre la sofferenza emotiva. Le differenze sono nei contenuti e negli elementi che possono mediare questo percorso.

La MBCT è focalizzata sui temi dell’accettazione e della compassione, anche verso i propri pensieri e sensazioni corporee, non mira a modificare i pensieri ma la relazione che la persona ha con i propri pensieri, è molto più interessata alla ‘corporeità’ indipendentemente dal tipo di disturbo che è trattato. Melanie Fennell lo definisce un approccio con un linguaggio ‘ecologico’ e naturalista contrapposto al linguaggio ‘militare’ delle terapie cognitivo-comportamentali che appaiono maggiormente direttive, esplicite, orientate a far prendere in mano i problemi e a trovare una soluzione concreta. Sembrano contrapporsi due mondi difficili da coniugare: cambiamento contro accettazione.  La stessa autrice arriva alla conclusione che un simile matrimonio potrebbe facilmente finire in un prematuro divorzio.

Allora proviamo a prenderla da un’altra parte. Dimentichiamo la teoria e parliamo di efficacia. MBCT e CBT mostrano risultati pressoché equivalenti nel trattamento di ansia e depressione. Questo è il risultato che emerge da una recente e completa meta-analisi (Hoffman et al., 2010). Ergo, nessun vero vincitore, nessuna rivoluzione scientifica. Certo, la MBCT è particolarmente efficace per trattare pazienti cronici con tre  o più episodi depressivi, ma offre scarsi risultati e non è consigliata per pazienti con meno di tre episodi depressivi. Sembra efficace anche in casi di depressione reattiva e acuta. Ma è un trattamento pesante e impegnativo, in termini di tempo e di risorse quotidiane, per l’individuo, rispetto alla tradizionale CBT.

Risultati incerti. Competizione aperta. Ma allora, matrimonio possibile? Forse solo quando finalmente si abbandoneranno posizioni radicaliste. Forse arriveremo ad accettare un giorno che certe gabbie psicopatologiche hanno bisogno di cambiamento, certe altre hanno bisogno di accettazione. E per le rimanenti? Una volta adeguatamente informato, scelga il cliente.

 

 

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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