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Le innovazioni della riabilitazione neuropsicologica 3.0

La riabilitazione neuropsicologica 3.0 è capace di creare ambienti virtuali che includono le rappresentazioni dei luoghi frequentati dal paziente.

Di Filomena Propato

Pubblicato il 25 Set. 2017

Aggiornato il 03 Lug. 2019 12:08

Grazie ai progressi della tecnologia nasce la riabilitazione neuropsicologica 3.0, capace di creare ambienti virtuali, tridimensionali complessi e interattivi che includono le rappresentazioni degli svariati luoghi frequentati dal paziente. Questa nuova tecnologia disponibile ad un prezzo sempre più accessibile consente di ottenere un alto controllo degli stimoli attraverso le diverse modalità sensoriali.

 

La riabilitazione neuropsicologica rappresenta un approccio multidisciplinare che ha come obiettivo quello di migliorare le attività di vita di tutti i giorni dei pazienti con danno cerebrale. Grazie alla conoscenza del funzionamento del cervello è possibile sottoporre i soggetti a training riabilitativi che hanno la funzione di sostituire o compensare l’abilità perduta, contribuendo a migliorare la funzione cognitiva lesa. Sebbene l’entità del deficit sia valutato mediante test standardizzati, questo approccio ha dei limiti che riguardano la validità ecologica. Un altro metodo utilizzato è la ricostruzione di ambienti di vita quotidiana in cui far esercitare il paziente; anche questo approccio pone dei limiti che vanno dai costi economici al controllo sistemico dello stimolo reale.

Storia della riabilitazione neuropsicologica

La comprensione del funzionamento cerebrale può essere ricondotto agli antichi greci e romani, le cui teorizzazioni erano limitate alle credenze religiose e culturali del tempo. Una delle prime teorie influenti è stata quella proposta, nel XVIII secolo, da F. Gall sulla specificità delle funzioni cerebrali. Fu Broca a presentare un primo programma riabilitativo per un paziente con deficit di linguaggio. Successivamente Wernicke, dichiarò che la funzione del cervello è dipendente dall’interconnessione di regioni neurali; S. Franz si è concentrato sull’apprendimento di strategie compensative. Altri sviluppi si sono verificati durante e dopo la seconda guerra mondiale a causa delle ferite al cervello riportate dai soldati. Goldstein e Luria in questo periodo hanno lavorato sulla compensazione delle abilità perdute e sui metodi per modificare i comportamenti. Un contributo significativo fu dato da Zangwill (1947) con l’introduzione di tre procedure riabilitative: strategie di sostituzione, di compensazione e di ripristino della funzione danneggiata. Ad oggi le strategie e le tecniche di rieducazione cognitiva sono in continuo sviluppo e l’obiettivo è quello di superare alcune criticità metodologiche tra cui: l’eterogeneità dei disturbi, la durata e le capacità di recupero, il grado di disabilità ed eterogeneità delle misure e delle tecniche di intervento.

Riabilitazione neuropsicologica 2.0

Recentemente, la riabilitazione neuropsicologica, sta avanzando verso un approccio valutativo più tecnologico. Ciò aiuterebbe a migliorare l’efficienza e l’accuratezza delle procedure di registrazione dei dati. La tecnologia 2.0 permette di utilizzare un metodo di raccolta dati innovativo come la “rilevazione istantanea” (metodo in cui al suono di un timer tarato sul termine dell’intervallo prestabilito, si sigla se è attivo il comportamento o meno). Un ulteriore contributo è l’adattamento della tecnologia alle esigenze individuali di ogni paziente mediante dispositivi elettronici in grado di aiutarli e sostenerli anche in contesti di vita reale. Inoltre, l’uso della tecnologia permette al paziente di registrare i dati su un dispositivo che memorizza e trasmette le informazioni elettronicamente su un database sicuro. Vengono anche proposti training riabilitativi sotto forma di software computerizzati adatti alle diverse popolazioni. Uno dei software che ha riscontrato maggior successo è “Capitain’Log” un training cognitivo capace di migliorare le prestazioni a livello di velocità di elaborazione, flessibilità cognitiva e di memoria dichiarativa in bambini sopravvissuti al cancro ed evidenziando miglioramenti anche in bambini affetti da altri tipi di patologie.

Training computerizzato

Sono stati sviluppati diversi training attentivi computerizzati che trattano tale deficit mediante un aumento graduale della difficoltà del compito. Uno studio ha mostrato l’efficacia della pratica assidua mediante tali software in bambini con ADHD, con miglioramenti di working memory spaziale, di inibizione della risposta e con la riduzione dei sintomi caratteristici del disturbo (inattenzione, iperattività e impulsività).

I metodi computerizzati si sono dimostrati efficaci sin dagli anni 80’ in pazienti con lesioni cognitive, demenza e schizofrenia. Generalmente il metodo consiste nel chiedere al paziente di dare delle risposte mediante una tastiera o un joystick in modo tale che essa venga immediatamente registrata; ciò permette la restituzione di un feedback in tempo reale, sul monitor, sull’efficienza della prestazione. Questo approccio ha evidenziato notevoli miglioramenti in questi pazienti nell’elaborazione attentiva dell’informazione. Ci sono discordanze sull’efficacia di training attentivi mirati, ad esempio, i risultati ottenuti da revisioni sommative hanno riportato un miglioramento moderato dell’attenzione in pazienti con lesione cerebrale traumatica di grado moderato-grave.

Uno studio di Brehmer e colleghi (2012) ha utilizzato un programma di riabilitazione basato su videogiochi, “Cogmed”, praticato 30 minuti al giorno per 5 giorni, per 5 settimane, in un gruppo di adulti e anziani privi di lesioni cerebrali. I risultati hanno mostrato un miglioramento significativo nelle abilità di memoria di lavoro verbale e non verbale, attenzione sostenuta e nel self-report del funzionamento cognitivo. Non è stato dimostrato nessun miglioramento della memoria, del ragionamento non verbale e nella capacità di inibire la risposta.

Riabilitazione neuropsicologica 3.0

La riabilitazione neuropsicologica 1.0 e 2.0 hanno delle limitazioni dovute alla scarsa capacità di riportare fedelmente le sfide e gli ostacoli che frequentemente si riscontrano nella vita di tutti giorni, e non replicabili in uno studio sterile o in un ambiente ospedaliero. Grazie ai progressi della tecnologia nasce la riabilitazione neuropsicologica 3.0, capace di creare ambienti virtuali, tridimensionali complessi e interattivi che includono le rappresentazioni degli svariati luoghi frequentati dal paziente. Questa nuova tecnologia disponibile ad un prezzo sempre più accessibile consente di ottenere un alto controllo degli stimoli attraverso le diverse modalità sensoriali. Grazie alla riabilitazione neuropsicologica 3.0, la registrazione delle risposte comportamentali, in relazione non solo alla lesione cerebrale o alla patologia presente, ma anche in relazione all’ambiente socio-culturale, può aiutare lo specialista nella comprensione dei problemi del paziente durante la routine quotidiana. La terapia basata sulla realtà virtuale può venire continuamente aggiornata per mezzo della risposta individuale o delle preferenze del professionista. La possibilità di rivivere esperienze emotive o dolorose potrebbero portare benefici grazie alla continua esposizione che si traduce in una maggior consapevolezza e comprensione e, di conseguenza, porta ad un maggior controllo. Gli ambienti virtuali sono sempre più utilizzati nella popolazione psichiatrica per la modificazione di problemi comportamentali o sociali; lo specialista può manipolare l’ambiente mediante l’invio di feedback in tempo reale.

La realtà virtuale si è recentemente focalizzata sulla valutazione e la riabilitazione di pazienti con deficit cognitivi. Molti ricercatori hanno promosso l’utilizzo di paradigmi di rotazione mentale ritenuti utili nel miglioramento della memoria e del problem solving. Alcuni interventi neuropsicologici sono stati tradotti in formati virtuali, come la versione VR del Multiple Errands Test (MET; Burgess et al., 2006). Questo ambiente virtuale è stato utilizzato come training per le funzioni esecutive: la pianificazione strategica, la flessibilità cognitiva e l’inibizione. Il MET è stato convalidato su pazienti con ictus e con lesioni da trauma cranico.

Interfaccia neurale nella riabilitazione

Un’interfaccia neurale (BCI) è un mezzo di comunicazione diretto tra parti funzionali del sistema nervoso centrale e un dispositivo esterno quale ad esempio un computer. Generalmente il dispositivo esterno riceve comandi direttamente da segnali derivanti dall’attività cerebrale. Le BCI bi-direzionali combinano il descritto canale di comunicazione con una linea di ritorno che permetterebbe lo scambio di informazioni tra il dispositivo esterno e il cervello. Ad oggi questa tecnologia si è focalizzata maggiormente sui disturbi motori e di comunicazione in pazienti con lesioni provocate da ictus o deficit derivanti da patologie come la sclerosi laterale amiotrofica. Inoltre, diverse ricerche stanno studiando l’influenza della BCI in popolazioni sane per indagare gli aspetti emozionali e del carico di lavoro cognitivo.

Conclusioni

Nonostante i grandi vantaggi che la realtà virtuale potrebbe portare alla riabilitazione neuropsicologica, vi sono delle barriere che ne ostacolano l’utilizzo. I principali limiti riguardano la gestione dei problemi tecnologici e i costi. Infatti molti ambienti virtuali utilizzati in diversi studi, non sono commercialmente disponibili. Per quanto concerne la difficoltà della gestione dei problemi tecnici, bisognerebbe formare il personale per il servizio di supporto, fondamentale se si vuole utilizzare tale tecnologia in ambito riabilitativo. Bisogna considerare i costi che ciò comporta, insieme al rimborso per i servizi clinici e per un personale che si occupi anche dell’analisi dei dati. Inoltre gli ambienti virtuali richiedono spazi adeguati privi di distrazioni, ma anche questa è un’altra sfida da affrontare.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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