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Portieri di calcio e bias d’azione: uno studio sui calci di rigore

Strategia ideale per i portieri sarebbe rimanere al centro della porta, ma perché spesso ai rigori, il portiere si tuffa? Sarebbe implicato un bias d’azione

Di Guest

Pubblicato il 20 Giu. 2016

Aggiornato il 25 Lug. 2021 17:42

I bias d’azione e i bias cognitivi in generale sono delle distorsioni conoscitive sistematiche che possono minacciare la performance sportiva di un atleta, primi tra tutti i portieri di calcio. Un’adeguata preparazione psicologica rimane spesso il valore aggiunto per raggiungere il successo sportivo.

Andrea Consorti, Michela Cortini

 

Oggi, soprattutto in Italia, la figura professionale dello psicologo dello sport non è abbastanza valorizzata; le società sportive curano poco la gestione delle risorse umane, ignorando che, così facendo, rischiano di non ottenere il meglio dai propri atleti.

 

I bias cognitivi

I bias cognitivi sono degli errori di giudizio, delle distorsioni sistematiche; sono attribuibili al nostro utilizzo di euristiche, ovvero delle scorciatoie cognitive che, se da un lato ci permettono di elaborare più velocemente i giudizi, dall’altro possono a volte indurci a fare scelte figlie di una valutazione sbagliata. Ed è proprio quando siamo indotti a sbagliare sempre nella stessa maniera che parliamo di bias.

Per bias di omissione, nello specifico, si intende quella tendenza, appunto sistematica, a preferire scelte che comportano l’omissione anziché l’azione, anche quando questo significa esporsi a rischi oggettivamente elevati. Ritov e Baron (1990) arrivarono a questa conclusione dopo aver condotto dei soggetti di fronte ad una situazione decisionale in un contesto di una forte epidemia che metteva a rischio la vita dei bambini. I partecipanti dovevano immedesimarsi nei genitori che a questo punto avrebbero dovuto decidere se sottoporre i propri figli ad una vaccinazione (azione) o meno, sapendo che, in quest’ultimo caso, il rischio di morte sarebbe stato più alto. I risultati dimostrarono che molti soggetti si opposero alla vaccinazione optando così per una soluzione apparentemente tutt’altro che razionale. Una spiegazione plausibile fu data proprio dagli stessi autori dell’esperimento (Ritov, Baron,1995): la paura di rimpiangere la scelta fatta condurrebbe i soggetti ad assumere una posizione passiva che permetterebbe loro di sperimentare un rimpianto minore qualora l’esito fosse la morte del bambino.

I bias d’azione invece sono l’esatto contrario in quanto le persone tenderebbero ad agire anche quando l’azione è meno vantaggiosa dell’omissione. Fagerlin, Zikmund-Fisher e Ubel (2005) rilevarono in un esperimento che, nel caso di una diagnosi di cancro, i pazienti preferivano ricorrere a dei trattamenti (azione) piuttosto che a controlli periodici (inazione), anche quando i primi risultavano essere meno efficaci o addirittura più dannosi per la salute. I risultati riportati purtroppo dimostrano ad oggi una certa inconsistenza; risulta difficile fornire delle spiegazioni più approfondite che possano giustificare questo comportamento dei pazienti. È lecito pensare, tuttavia, che la gravità del cancro diagnosticato sia una variabile che può aver influenzato in qualche modo la scelta finale dei pazienti e, dunque, il bias d’azione.

 

 

I portieri nel calcio di rigore: il bias d’azione

Nel calcio, in maniera più specifica nei calci di rigore, i portieri sono messi di fronte ad un’importante scelta: l’azione (tuffarsi in una delle due direzioni) o l’inazione (rimanere al centro della porta) per bloccare o respingere il tiro avversario. In questa situazione di gioco, le pressioni che coinvolgono il giocatore possono essere molte; essendo il goal realizzato circa il 75-80% delle volte e conoscendo la media goal di ogni partita (circa 2 goal e mezzo), possiamo facilmente intuire che anche solo una rete subita, possa essere quella decisiva.

L’analisi di 286 calci di rigore nei migliori campionati del mondo (Bar-Eli, Azar, Ritov, Keidar-Levin, Schein, 2007) ha sottolineato che, vista la probabilità della direzione del tiro, la strategia ottimale per i portieri sarebbe quella di rimanere al centro della porta. Un tiro classificato come ‘centrale’ non vuol dire che si dirigerà esattamente al centro della porta ma più verosimilmente nella sua zona centrale.

Ora, partendo dal presupposto che il portiere dovrebbe fare la scelta più conveniente per la sua squadra, è strano perché nella maggior parte dei rigori studiati il portiere si tuffi, facendo a questo punto la scelta meno razionale.

Questo ci suggerisce che potrebbe essere implicato nel processo decisionale un bias d’azione. Bar-Eli e collaboratori spiegano questo comportamento attraverso la teoria della norma (Kahneman, Miller, 1986); la norma nel caso del giocatore è saltare e una scelta passiva provocherebbe in lui uno stato emotivo negativo qualora subisse il goal, stato emotivo comunque peggiore rispetto alla situazione in cui il goal venisse realizzato dopo una scelta attiva del portiere (saltando). In pratica, in caso di tuffo, quest’ultimo avrebbe l’attenuante di aver almeno provato a parare il tiro dell’avversario, per questo sperimenterebbe vissuti meno negativi, condizione che non si verificherebbe in caso di una scelta passiva.

 

 

La ricerca

Partendo da un’attenta analisi della letteratura, ed in dettaglio dalle provocazioni in noi suscitate dalla lettura dell’articolo di Bar-Eli e collaboratori (2007) intitolato ‘Action bias among elite soccer goalkeepers: the case of penalty kicks‘, abbiamo inteso pianificare una ricerca pilota sul bias d’azione nei portieri italiani.

A tale scopo è stato messo a punto un questionario ad hoc, comprendente una parte di domande sulle generalità socio-demografiche, unitamente alla versione italiana della scala sull’action bias dei portieri (Bar-Eli et al., 2007), ed una serie di scale sulle condotte in campo. Il questionario, predisposto per una compilazione carta e matita, è stato sopposto ad un campione di 21 portieri professionisti, attraverso un iniziale campione di sotto-convenienza, costituito da contatti presso alcune società si Serie B, Lega Pro, Promozione e Prima Categoria Abruzzese.

Tutte le scale sono state misurate attraverso la richiesta di accordo su singole affermazioni, usando una scala Likert da 1 a 5; in particolare, la dimensione dell’atteggiamento rispetto all’incapacità di aver parato un rigore a seconda del come ci si è comportati (tuffati a destra, a sinistra o non essersi tuffati rimanendo al centro) è stata indagata con una scala da 1 ‘non mi sento affatto male‘ a 5 ‘mi sento molto male‘. La somministrazione è avvenuta a ridosso di una sessione di allenamento.

Per quanto riguarda le proprietà psicometriche va sottolineato, in primis, un buon indice di affidabilità per tutte le scale, in modo particolare per quella relativa ai vissuti post-rigore che presenta un Alpha di Cronbach pari a .90.

Per quanto concerne le caratteristiche distributive, gli item presentano delle lievi violazioni della normalità che ci hanno comunque permesso di ricorrere alla statistica parametrica per la verifica delle nostre ipotesi.

In riferimento alla curiosità di ricerca, che riguarda quanto sia percepito come normale il tuffarsi (non importa in questo contesto se a destra o a sinistra) vs il rimanere fermi al centro, abbiamo verificato che solo 6 portieri su 21 considerano la norma il rimanere fermi. Partendo da questo dato, abbiamo diviso il campione in due per verificare i vissuti post-rigore chiedendo ai nostri portieri di immaginare di aver subito goal, tuffandosi rispettivamente a sinistra, a destra o senza muoversi dal centro. Abbiamo proceduto con un’analisi della varianza (ANOVA).

I risultati ci mostrano una differenza statisticamente significativa per quanto concerne i vissuti post-rigore a seconda che si creda normale il tuffarsi o meno. Colpisce una leggera differenza tra il tuffarsi a destra o a sinistra, che lascerebbe meno sensi di colpa, che varrebbe la pena di indagare ulteriormente, magari controllando la variabile mancinismo.

Rispetto al cuore della ricerca di Bar-Eli e collaboratori, il nostro studio pilota conferma i risultati originali.

Per quanto riguarda i limiti del nostro studio, non possiamo non menzionare il campione limitato, specie per quanto riguarda la variabile target ed il disegno di ricerca cross-sectional. Sarebbe quanto mai opportuno allargare il campione e seguire altri portieri con un approccio longitudinale che possa permettere una verifica più stringente delle ipotesi.

Colpisce, in tal senso, che i portieri più maturi, sia in senso stretto (diversi anni di esperienza agonistica) ma anche in senso di livello di gioco (in altre parole quelli del nostro campione che giocano in serie B), non presentino differenze statisticamente significative tra il tuffarsi o meno nella ricezione del calcio di rigore; per questi, anzi, non ci sono vissuti negativi né quando ci si tuffa, né quando si rimane fermi.

Rimane comunque doveroso anche sottolineare come nella nostra ricerca non sia stata approfondita la preparazione conferita dallo staff delle rispettive squadre ai propri tesserati; una diversa preparazione dei portieri di ciascuna società può aver influenzato il conseguente atteggiamento degli stessi di fronte ad un calcio di rigore.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bar-Eli, M., Azar, O.H., Ritov, I., Keidar-Levin, Y., Schein, G. (2007). Action bias among elite soccer goalkeepers: the case of penalty kicks. Journal of Economic Psychology, 28, 606-621. DOWNLOAD
  • Kahneman, D., Miller, D.T. (1986). Norm theory: comparing reality to its alternatives. Psychological Review, 93, 126-153.
  • Ritov, I., Baron, J. (1990). Reluctance to vaccinate: omission bias and ambiguity. Journal of Behavioral Decision Making, 3, 263-277.
  • Ritov, I., Baron, J. (1995). Outcome knowledge, regret, and omission bias. Organizational Behavior and Human Decision Processes, 64, 119-127.
  • Zikmund-Fisher, B.J., Fagerlin, A., Ubel, P.A. (2005). Cure me even if it kills me: preferences for invasive cancer treatment. Medical Decision Making, 25, 614-619.
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