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Il gioco simbolico come precursore della teoria della mente

Psicologia: Il gioco simbolico consiste nel rappresentarsi mediante simboli, immagini, pensieri, qualcosa che non è presente e che non si può percepire

Di Redazione

Pubblicato il 08 Set. 2015

Giorgia Di Fabio

Perchè esiste il gioco? Il gioco è un istinto? Il gioco è un’esigenza? E’ sempre esistito? Appartiene solo ai bambini? Il gioco è il prodotto di aspetti primitivi o evoluti di una società? Il gioco esiste in senso transetnoculturale e transgenerazionale? E’ possibile assimilare il gioco negli uomini al gioco nel mondo animale?

L’esperienza del gioco, e il concetto stesso del gioco, rappresentano un tema che apre molte riflessioni sul significato della sua funzione e sul perché individui adulti sentano il bisogno, oggi forse più che in passato, di prolungare il tempo dei giochi infantili.

Il gioco può essere considerato un residuo evolutivo che garantisce all’essere umano, come negli animali, l’affinamento delle abilità necessarie a sopravvivere nel proprio ambiente, un modo per esprimere il surplus di energia. Secondo la psicanalisi (Freud, 1972; Winnicott, 1970; 1974), il gioco è una trasposizione simbolica dell’esperienza e dei contenuti emotivi del bambino, un modo per dominare mentalmente le cose, specie quelle problematiche, uno strumento fondamentale per superare l’angoscia.

Possiamo definire il gioco simbolico come la capacità di rappresentare mediante simboli, immagini, nomi, pensieri, qualcosa che non è presente e che non si può percepire. Tale tipo di gioco, secondo Freud (1972), ha lo scopo di assicurare l’equilibrio emotivo della persona, come il sogno, e svolge una serie di funzioni “psicoterapeutiche”:
a. funzione identificatoria: fingendo di essere qualcuno (ad es. la bambina che indossa le scarpe di sua madre) il bambino si prepara ad assumere l’identità ed i ruoli dell’adulto.
b. funzione riparatoria e anticipatoria: il bambino si prepara a qualcosa di problematico o cerca di abbassare il livello ansioso dopo che l’evento problematico è avvenuto (ad esempio il bambino che deve andare dal dentista o che è stato dal dentista).
c. funzione compensatoria: si ha quando il bambino compensa un sentimento angoscioso o la percezione di una sottrazione affettiva attraverso la gestualità ludica. Famosa la descrizione freudiana del bambino che gettava un rocchetto, appeso ad un filo, dietro la spalliera del letto, facendolo poi ricomparire, per simulare l’uscita di casa ed il ritorno dei genitori ed alleviare, attraverso una drammatizzazione simbolica, la sua angoscia d’abbandono.

Winnicott (1972), parla di fenomeni transizionali o oggetti transizionali (copertina, capelli, filo di lana) che servono ad evocare simbolicamente il corpo materno ed a tranquillizzare il bambino che, da due anni in poi, comincia a distaccarsi dalla madre:
d. funzione rappresentativo-espressiva: il bambino, soprattutto fra i due ed i cinque anni, riesce a rappresentare la realtà soprattutto imitandola, non avendo ancora capacità di rappresentarla raffigurandola o raccontandola;
e. funzione di dominio e di controllo: il bambino, nel gioco, crea un mondo tutto suo che può costruire o distruggere a suo piacimento, per difendersi dalla realtà “vera” fatta di divieti e regole;
f. funzione manipolatrice: tutti i bambini sono attratti dalla manipolazione di materie primarie e plastiche, ricchi di significati simbolici (acqua, farina, sabbia). La manipolazione di tali elementi esprime bisogno di scaricare tensioni, di difesa dal mondo delle regole e dei divieti.

Il bambino è in grado di fingere e quindi apprende ad usare i simboli. Un simbolo è un oggetto che ne rappresenta un altro. Un esempio è il gioco creativo nel quale il bimbo usa, per esempio, una scatola per rappresentare un tavolo, dei pezzetti di carta per rappresentare i piatti ecc. Il suo ragionamento in questa fase non è né deduttivo, né induttivo, ma transduttivo o analogico, dal particolare al particolare. Ciò si traduce in una modalità di comunicazione piena di “libere associazioni” senza alcuna connessione logica in cui il ragionamento si sposta da un’idea all’altra rendendo pressoché impossibile una ricostruzione attendibile di eventi.

La Teoria della mente (Fonagy & Target, 1996) riguarda la capacità di comprendere che la mente umana è un sistema che costruisce e organizza rappresentazioni della realtà, di rappresentarsi l’evento mentale e di attribuire agli altri stati mentali anche diversi dai propri. Il bambino comprende che le persone agiscono in base alla rappresentazione che hanno della realtà esterna, più che in funzione della realtà oggettiva intorno ai 4 anni, quando compare il pensiero metarappresentativo.

Il termine ‘teoria della mente’ è stato variamente utilizzato con diversi (seppur spesso simili) significati: in psicologia dell’apprendimento e psicologia del pensiero, è stato spesso usato come analogo di metacognizione (ovvero di capacità osservativa ed automodulante dei propri stessi processi cognitivi); in  psicologia clinica, come equivalente funzionale del Sè riflessivo; in psicologia dello sviluppo, epistemologia genetica e psicologia dinamica, come la capacità del bambino di costituirsi una rappresentazione adeguata dei processi di pensiero propri e altrui.

Manifestazioni tipiche sono:
la distinzione fra pensieri su oggetti e pensieri su eventi mentali;
pensiero e ragionamento sugli stati mentali;
la comprensione del fatto che gli stati mentali degli altri possono essere diversi dai nostri;
la valutazione dei rapporti di conversazione, collaborazione e competizione;
la distinzione fra apparenza e realtà;
la capacità di attribuire agli altri false credenze;
l’uso della bugia per generare negli altri delle false credenze;
la comprensione dei verbi mentali (pensare, credere etc.)

Il bambino in questa fase dimostra la capacità di:
differenziare la propria rappresentazione da quella degli altri;
comprendere che la rappresentazione della realtà può essere difforme dalla realtà stessa;
capire che le azioni umane sono regolate dalla rappresentazione e non dalla realtà in quanto tale.

La comprensione della mente implica la possibilità di “disconnettere” la rappresentazione della realtà, cioè assumere la rappresentazione come uno stato cognitivo separato dal dato di realtà.

Si possono considerare precursori della teoria infantile della mente, cioè acquisizioni cognitive che sembrano costituire passi evolutivi verso la comprensione della mente:
la capacità dichiarativa (intorno ai 6 mesi): mostrare un oggetto con l’intenzione di condividere l’attenzione dell’altro su quell’oggetto;
la capacità di condivisione dell’attenzione tramite lo sguardo (9 mesi): segue lo sguardo della madre per individuare e osservare l’oggetto dell’attenzione della madre;
la comparsa del gioco simbolico e di finzione(18 mesi);
la manifestazione di pensiero narrativo (24 mesi);
“imparare” a dire le bugie.

Un aspetto particolarmente importante riguarda la comprensione del rapporto tra comportamenti ed emozioni: il bambino capisce che può manifestare con il comportamento il suo stato emotivo interiore.

Con la comparsa della funzione simbolica, dai 18 ai 24 mesi, ha inizio la rappresentazione mentale-imitazione differita del bambino che è in grado di agire sulla realtà col pensiero: può cioè immaginare gli effetti di azioni che si appresta a compiere, senza doverle mettere in pratica concretamente per osservarne gli effetti. Il bambino inoltre usa le parole non solo per accompagnare le azioni che sta compiendo (nominare o chiedere un oggetto presente), ma anche per descrivere cose non presenti e raccontare quello che ha visto-fatto qualche tempo prima.

Il bambino riconosce oggetti anche se ne vede solo una parte. È in grado di imitare i comportamenti e le azioni di un modello, anche dopo che questo è uscito dal suo campo percettivo. Attraverso tre attività principali si determina il passaggio dall’intelligenza senso-motoria a quella rappresentativa: imitazione; gioco simbolico; linguaggio verbale.

Nella fase pre-simbolica l’atteggiamento fondamentale del bambino è ancora di tipo egocentrico, in quanto non conosce alternative alla realtà che personalmente sperimenta: questa visione unilaterale delle cose lo induce a credere che tutti la pensino come lui e che capiscano i suoi desideri-pensieri, senza che sia necessario fare sforzi per farsi capire.
La scoperta della possibilità di usare i simboli rende il linguaggio molto importante, perché il bambino impara ad associare alcune parole ad oggetti o azioni. Nel gioco simbolico il bambino rielabora la realtà, modificandola o riproducendola sulla base del ricordo e degli stati emotivi ad esso legati, imita, anche se in maniera generica, tutte le persone che gli sono vicine: impara a comportarsi come gli adulti vogliono, prima ancora di aver compreso il concetto di “obbedienza”.

Il gioco simbolico è un antecedente molto importante delle teoria della mente: si basa sulla presenza di oggetti o situazioni che stanno per altri non presenti.

Il bambino usa un oggetto come se questo fosse un altro oggetto; attribuisce all’oggetto proprietà che non possiede; si riferisce ad oggetti assenti come se fossero presenti (esempio del bastoncino come cavallo, della banana come telefono).
Per Piaget (1972) il gioco simbolico nascerebbe nello 2° stadio senso-motorio (18-24 mesi), quando il bambino applica schemi d’azione ad oggetti a distanza crescente, producendo una progressiva separazione fra azione e oggetto; aumenterebbe nel 3° e 4° anno, per poi decrescere dando spazio al gioco con regole e di costruzione.

Gli aspetti comuni del gioco simbolico e della teoria della mente sono:
funzione di reversibilità debole: rappresentazione di un oggetto come due cose al tempo stesso;
funzione simbolica: visione di un oggetto come rappresentate di un altro;
funzione metarappresentativa: rappresentazione di rappresentazioni mentali.
Il gioco e l’acquisizione del linguaggio sono due elementi fondamentali per lo sviluppo mentale del bambino; ha, inoltre, una funzione sociale, di interazione e condivisione.

In conclusione, l’esplorazione e il gioco sono attività presenti nel repertorio comportamentale sia dei primati superiori sia della maggior parte delle specie mammifere. In tutte le culture umane i bambini trascorrono parte del loro tempo giocando; addirittura nelle società più semplici in cui i bambini sono spinti ad una rapida assunzione di responsabilità di tipo adulto, le routines quotidiane ed i compiti lavorativi sono da loro trasformate in attività di gioco. E’ proprio l’importanza che esso assume, quindi, nella vita di un bambino, di ogni bambino, che ne ha fatto uno degli argomenti privilegiati nella ricerca psicologica sia di tipo cognitivo che di tipo clinico.

 

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