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Senza figli nel mezzo: una metodologia d’intervento di gruppo con coppie di genitori in conflitto – Report dal Convegno SIRTS, 22 Novembre 2014

Secondo la Prof. Van Lawick un lavoro multifamiliare, con la presenza di più famiglie, funzioni bene per le situazioni di violenza domestica e separazioni

Di Redazione

Pubblicato il 03 Dic. 2014

Giorgia Vacchini

REPORT DAL CONGRESSO:  “Né con te né senza di te” – La sorte dei legami familiari nel conflitto coniugale e nelle relazioni con i figli

 

La Prof. Van Lawick ha sottolineato come un lavoro multifamiliare, ovvero che vede la presenza di più famiglie contemporaneamente accomunate dallo stesso problema, funzioni bene per le situazioni di violenza domestica e di separazioni con alto tasso di conflittualità.

Justine Van Lawick è Psicologa Clinica e Psicoterapeuta di formazione sistemica, ha lavorato con adulti e bambini psichiatrici e ha fondato, nel 1984, il Lorentzhuis Centre (Haarlem, in Olanda) dove si occupa di famiglie, in particolare di famiglie difficili dove sono frequenti i conflitti e le violenze.

Il 22 Novembre ha presentato al convegno SIRTS, “Né con te né senza di te” la sorte dei legami familiari nel conflitto coniugale e nelle relazioni con i figli, il suo prezioso contributo “No Kids in the Middle, Senza figli nel mezzo: una metodologia d’ intervento di gruppo con coppie di genitori in conflitto”.

La Prof. Van Lawick ha sottolineato come un lavoro multifamiliare, ovvero che vede la presenza di più famiglie contemporaneamente accomunate dallo stesso problema, funzioni bene per le situazioni di violenza domestica e di separazioni con alto tasso di conflittualità.

Spesso i genitori dicono che i figli non sono presenti durante i loro litigi e che non sanno della situazione in casa, in realtà non è così: i figli percepiscono tutto, sanno cosa sta succedendo anche quando non vedono direttamente i genitori perché si trovano in un’altra stanza, sanno cosa si dicono mamma e papà anche quando sono con la musica alta e fingono di non sentire. Nei casi di separazione conflittuale è difficile convincere gli ex partner a venire insieme a colloquio da un terapeuta, accettano subito invece quando sono invitati singolarmente: in questo modo hanno la possibilità di parlare male l’uno dell’altra sperando di trovare nella figura del professionista l’ennesimo alleato da scatenare contro l’ex.

Le separazioni non coinvolgono mai solo gli ex partner e i figli, sottolinea Justine Van Lawick, ci sono con loro due reti ben distinte: ognuno ha il suo avvocato, il suo psicologo, i suoi amici che pensano che l’ex sia il carnefice, le famiglie d’origine e spesso i nuovi compagni o compagne che fanno la guerra insieme a loro. Ci troviamo così davanti a due mondi in conflitto, a due sistemi contrapposti. Numerosissimi sono i casi in cui i genitori, ormai ex coniugi, portano i figli dallo psicologo perché a causa della loro separazione soffrono, ma questo non serve se poi i genitori a casa continuano a urlare e a usare violenza, se i nonni o i nuovi compagni di mamma e papà fomentano la rabbia e il rancore nei confronti dell’altro partner. “Chi lavora con i bambini non può non lavorare con i genitori, è necessario lavorare sul contesto”, di questo è convinta Van Lawick.

Ecco che nasce l’idea di un progetto innovativo, un progetto rivolto alle famiglie separate con minori dove il conflitto e la violenza sono ancora una costante, dove ci sono difficoltà di comunicazione e dove due mondi un tempo vicini, quello della mamma e quello del papà, si fanno la guerra.

Il lavoro è senza dubbio innovativo perché mette i figli al centro e fa lavorare i genitori affinchè rimangano tali anche dopo la difficile separazione e facciano il bene della propria prole. La professoressa e la sua equipe hanno così pensato di formare dei gruppi di famiglie. In media si lavora con 6 famiglie separate con minori, il percorso si svolge in parallelo con i genitori e i figli per 8 sessioni di 2 ore ciascuna.

Al primo incontro sono invitati i genitori senza i figli. Durante questo iniziale contatto si spiegano gli obiettivi del progetto e dell’importanza del lavoro di gruppo: imparare a gestire il conflitto e la violenza, imparare a rimanere genitori anche dopo una separazione difficile, provare a confrontarsi con chi si trova in una situazione simile. Si chiede poi loro di interrompere ogni procedura legale e di adottare un atteggiamento nuovo che lasci spazio alle emozioni e alla vulnerabilità, di abbassare le armi della battaglia contro l’ex. Questo atteggiamento è opposto a quello che si assume in ambito legale.

Al secondo incontro sono invitati i genitori con la loro rete, ovvero i nuovi compagni, gli avvocati, le famiglie d’origine, gli amici e i vicini di casa. Chiunque abbia contatto con uno degli ex coniugi e sia interessato può partecipare in forma anonima a una sessione informativa sul lavoro che i genitori separati svolgeranno per il benessere loro e dei loro bambini. Spesso la rete si chiede: “Ma quindi torneranno insieme alla fine del percorso con voi?”, Van Lawick sottolinea più volte che l’obiettivo non è riunire la coppia ma imparare a essere ancora genitori, questo deve essere chiaro a tutti.

E’ fondamentale coinvolgere la rete, sostiene la fondatrice del Lorentzhuis Centre, essa rappresenta la risorsa a cui i genitori possono attingere nei momenti di difficoltà. Tra una sessione e l’altra vengono dati dei compiti che spesso coinvolgono anche le rispettive reti, ad esempio alcune attività vedono la presenza dei nonni che sono tra gli attori fondamentali delle famiglie separati con minori.

Le attività e il programma degli incontri non sono mai standard, molto dipende dal gruppo con cui si lavora. Il lavoro multifamiliare ha molti risvolti positivi:

– Permette uscire dall’isolamento e dall’idea di essere gli unici ad aver vissuto una separazione così violenta e complessa, il confronto con il gruppo aiuta a superare lo stigma di essere una famiglia problematica.

– Incrementa un senso di solidarietà e facilita l’aiuto reciproco. Le persone che si vedono nella stessa situazione sono più motivate ad aiutarsi vicendevolmente; Van Lawick ha raccontato come spesso dopo il lavoro in gruppo tra le famiglie o tra alcuni componenti delle reti nascano frequentazioni che proseguono anche al di fuori del lavoro con i terapeuti.

– Spesso le famiglie fanno fatica a guardare e a comprendere le dinamiche che accadono all’interno del proprio nucleo, nel lavoro di gruppo questo è facilitato dalla presenza degli altri. Osservando le altre famiglie, simili alla mia perché anch’essa caratterizzata da violenza e conflitto, comprendo molte dinamiche che caratterizzano il mio nucleo di appartenenza. L’obiettivo del lavoro è anche quello di stimolare nuove prospettive e punti di vista.

– Aiuta le famiglie a sentirsi capaci e attive, non si percepiscono più come bisognose di aiuto ma comprendono che al loro interno hanno le risorse per fronteggiare le difficoltà.

In questo lavoro il terapeuta e gli operatori che sono con lui non si pongono come esperti (“So che cosa ha la tua famiglia che non va”), né come insegnanti (“Ti dico io cosa devi fare e tu esegui”), nemmeno come giudici (“Questo è giusto mentre questo è sbagliato”). L’equipe ha il compito di facilitare l’emergere delle risorse che ogni famiglia possiede e di aumentare la consapevolezza di alcune dinamiche disfunzionali; inoltre aiuta la connessione e l’interazione tra famiglie fungendo da catalizzatore.

Il lavoro dei bambini si svolge in parallelo ed è guidato da un’equipe formata. L’obiettivo degli incontri è quello di fare qualcosa di concreto da mostrare poi ai genitori. In molti casi viene prodotto un video nel quale i minori esprimono cosa significa per loro essere figli di genitori in conflitto, oppure vengono ripresi degli sketch in cui i bambini giocano il ruolo della coppia che litiga; con i più piccoli potrebbe essere interessante allestire una mostra fotografica o di quadri da loro prodotti sul tema della separazione e del conflitto. Questi lavori vengono poi mostrati agli adulti: è un momento molto delicato perché i genitori hanno la possibilità di sentire e vedere la sofferenza dei figli, di mettersi nei loro panni. “Spesso provano vergogna, ma è positiva, aiuta a capire tanti errori passati e a non ripeterli”, dice Van Lawick.

L’intervento si è concluso con un gioco di ruolo che spesso utilizzano lei e i suoi collaboratori nel lavoro con le famiglie e che ha visto coinvolti in prima linea alcuni partecipanti al convegno. A due persone è stato chiesto di vestire i panni di una coppia mentre litiga, ad altri due di mettersi nel ruolo dei figli che ascoltano. Durante il litigio i bambini, seduti su due sedie, dovevano avvicinarsi o allontanarsi fisicamente dai genitori a seconda se quello che dicevano gli piaceva o meno. L’esercizio è stato molto forte e di grande effetto: ha permesso in primo luogo di rilevare la grande sofferenza dei figli quando sentivano certe frasi degli adulti; in un secondo momento di quanto spesso i genitori si dimenticassero della loro presenza dei bambini perché troppo presi dalla loro discussione.

 

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