expand_lessAPRI WIDGET

Psicologia del Benessere: esercizi di Mindfulness e Binge Eating

Mangiare Mindfulness significa sviluppare un buon rapporto con il cibo, non sentirsi in colpa e apprendere la capacità di essere compassionevoli verso di sé

Di Massimo Amabili

Pubblicato il 28 Feb. 2014

 

 

 

Mindfulness e binge eating disorder. - Immagine: © valeriy555 - Fotolia.comMangiare “Mindfulness” significa innanzitutto sviluppare un buon rapporto con il cibo, cercare di non sentirsi in colpa per avere o non avere cibo, e apprendere la capacità di perdonarsi ed essere compassionevoli verso sé stessi.

Può capitare a tutti di ritrovarsi a mangiare più del dovuto, specialmente a cena, senza sapere cosa fare per evitare di eccedere con il cibo. Di fronte al proprio piatto preferito, si può arrivare a trovare anche 100 motivi che giustifichino anche la seconda, terza porzione, o il perché per un altro spuntino, e poi quasi sempre pentirsene, chiedendosi perché non ci si è fermati prima.

Molte persone potrebbero ritrovarsi in comportamenti simili a quello descritto, e di parlarne con i propri amici o familiari: anche qui, è frequente sentirsi dire che è superfluo stare troppo a soppesare il cibo, che ci si dovrebbe divertire lasciando perdere la dieta.

Frustantemente, ci si potrebbe trovare nella situazione in cui si mangia in maniera sana, si fa regolare esercizio fisico, non si contano le calorie, si è del peso e della taglia giusta, si ha un BMI regolare. Eppure, anche in questo caso, spesso ci si ritrova regolarmente gonfi di cibo e rammarico, con il bisogno di riesaminare il perché si attuano tali comportamenti, di trovare i trigger che li attivano, di avere un miglior rapporto con il proprio corpo e con la dieta.

A Londra la clinica Willbraham Prace Practice, collabora alla realizzazione del progetto “The Mindfulness Project”, il primo del suo genere nella Capitale del Regno Unito: attraverso percorsi di gruppo o individuali di mindfulness, gli psicologi aiutano i pazienti a raggiungere lo stato di benessere desiderato. E’ lì che ho incontrato la Dott.ssa Cinzia Pezzolesi (Psicologa e Terapista Mindfulness, formatasi presso l’Università di Bangor-North Wales-UK, specializzata in Mindful Eating a Boston con la Dott.ssa Kristeller, e docente di “Salute Mentale e Benessere” presso l’Università di Hertfordshire) italianissima e terapeuta della clinica, che gentilmente mi spiega come fare a mangiare consapevolmente con la mindfulness, invitandomi ad una prova pratica.

Secondo la Dott.ssa Pezzolesi, mangiare “Mindfulness” significa innanzitutto sviluppare un buon rapporto con il cibo, cercare di non sentirsi in colpa per avere o non avere cibo, e apprendere la capacità di perdonarsi ed essere compassionevoli verso sé stessi. Per arrivare a ciò, è necessario mettere insieme diversi componenti: il primo viene chiamato Saggezza Interiore, si sviluppa aiutando le persone a prendere coscienza dei segnali che il corpo c’invia. A volte, quando si mangia troppo a lungo, ci si dimentica che il corpo sa quello che vuole. Quindi la prima parte del mangiare consapevole è imparare ad autoregolarsi. 

Un altro elemento è diventare consapevoli dei pensieri e delle emozioni che sono legati al nostro comportamento alimentare. Ad esempio, dovremmo mangiare quando abbiamo fame, ma questo non accade regolarmente. A volte si mangia per festeggiare, o perché si è tristi, o stressati. Inoltre le persone imparano a distinguere tra ciò che è la fame e quali sono i fattori scatenanti.

Dopo le prime sedute, si inizia a sviluppare qualcosa chiamata Saggezza Esterna. Questo, mi spiega la Dott.ssa Pezzolesi, è imparare a fare il miglior uso della vostra conoscenza sul cibo. Significa diventare consapevoli di calorie e attività fisica, anche se non ogni regola è rilevante per tutti allo stesso modo. Si ha bisogno di adeguare le proprie abitudini alimentari in piccoli passi in modo che le modifiche siano permanenti. “Perché il problema che abbiamo con le diete è che devi limitare te stesso, ma non possiamo continuare a farlo per sempre in modo da tornare frequentemente al punto di partenza“.
Altro elemento mindfulness è la compassione: la Dott.ssa Pezzolesi mi dice che questo è necessario quando abbiamo rimproverato noi stessi perché ci siamo allontanati dalle nostre intenzioni alimentari sane. Si è mangiato qualcosa di proibito, e mentre si sta mangiando, ci si inizia a sentire davvero in colpa. Questa sensazione potrebbe andare avanti per ore, addirittura giorni. La Mindfulness aiuta a quanto pare con questo, aiutando a nutrire compassione per i nostri eccessi saltuari.
Abbiamo quindi ordinato antipasti in un elegante ristorante di Queensway per testare la pratica: ordino del pollo, che arriva in due terrine su un delicato letto di foglie di insalata e un pennello di salsa scura.
In un tono calmo – simile a un insegnante di yoga che m’istruisce sulla respirazione – la Dott.ssa Pezzolesi mi chiede di prendere un paio di respiri profondi per centrare me stesso. Poi mi chiede di guardare il piatto, concentrandomi su ogni dettaglio. Questo può sembrare super-semplicistico – ma quando è stata l’ultima volta che si è veramente guardato il proprio cibo? Quando faccio questo, ho notato le linee minuscoli sulle foglie di insalata, il buio della salsa e i tagli del pollo. Mi sembrava abbastanza surreale.
Poi la Dott.ssa Pezzolesi mi chiede molto lentamente, di prendere una piccola porzione, di guardare il cibo sulla nostra forchetta e poi di sentirne l’odore.  Non ho mai mangiato così lentamente – mi è quasi insopportabile. La mia famiglia ed io abbiamo un modo di mangiare vorace e rapido.
Annusare il cibo, però, mi getta in conflitto. Scopro che in realtà non mi piace l’odore di pollo, anche se nella mia mente, ne amo il gusto; non cucino molto a casa, ma quando lo vedo in un menu lo ordino senza troppe riflessioni. Rallentando ogni processo però, sono spinto a pensare: in realtà non volevo questo, quello che volevo era un antipasto semplice.
Vengo poi invitato a sentirne la consistenza dapprima con le labbra, e poi a metterlo in bocca e a masticare molto, molto lentamente. Ho poi ingoiato, e quando ciò accade, senza pensare, si inizia ad essere consapevoli di questo cammino lungo l’esofago.
Dopo un paio di morsi – approssimativamente quando siamo a metà del pasto – la Dott.ssa Pezzolesi  mi chiede di fare un ‘check-in‘ con il livello di fame del mio stomaco. Per me, questa è la lezione più rivelatrice dalla sessione. Normalmente, avrei continuato a mangiare: le dimensioni della porzione non sono grandi, e di solito trovo difficile lasciare del cibo nel piatto, mi fa sentire in colpa. Ma la verità è che controllando lo stato di fame del mio stomaco, mi sono protetto dall’eccesso di cibo. Guardo il cibo rimanente sentendomi un po’ confuso da tutto questo, ma quando il piatto viene portato via, non mi ritrovo a pensarci.

Questo metodo di autoregolazione potrebbe cambiare il nostro modo di mangiare; ma è facile da mettere in pratica quando si è con gli altri nella vita di tutti i giorni? La Dott.ssa Pezzolesi  risponde suggerendo che è necessario del tempo e della pratica, e che ci sono parti di mindful eating che si possono utilizzare senza che sia troppo evidente . Per esempio, si può sentire che è troppo “Mindful” odorare ogni forchettata; ma si può comunque mangiare più lentamente .
Trovo che il check-in con la mia pancia sia l’approccio migliore per non prendere più di quanto ho bisogno, e per evitare di sprecare il cibo, prendo meno piuttosto che di più per iniziare.
Quello che ho imparato mi sembra prezioso e fragile , e mi fa temere che dovrò ritornare alla mie vecchie abitudini. Ma ho avuto la netta percezione di  come la mia mente e il corpo stavano avendo una vera e propria conversazione, e riuscivo a guardare il cibo in un modo nuovo.
Continuerò ad abbuffarmi di tanto in tanto? Probabilmente. Ma imparare a non mangiare troppo la maggior parte del tempo è incredibilmente potente, e sembra una strategia più duratura e sana di qualsiasi dieta restrittiva.

 

ARGOMENTI CORRELATI:

ALIMENTAZIONEMINDFULNESSBINGE EATING DISORDER – BED

ARTICOLO CONSIGLIATO:

STRESS E ALIMENTAZIONE: QUALI CONNESSIONI?

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Si parla di:
Categorie
SCRITTO DA
Massimo Amabili
Massimo Amabili

Psicologo e Psicoterapeuta specializzato in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale.

Tutti gli articoli
ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel