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EFM, esperienze alla frontiera della morte – Recensione

EFM, esperienze alla frontiera della morte: Vivere significa morire. Prima o poi tutti ci chiediamo cosa potrebbe esserci dopo la vita o aldilà della vita.

Di Francesca Fiore

Pubblicato il 24 Set. 2013

Recensione del Libro:

EFM, esperienze alla frontiera della morte.

Analisi ricerche e testimonianze per un approccio quantistico della coscienza.

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Efm Esperienze-alla-frontiera-della-morte - LocandinaVivere significa morire. Prima o poi tutti ci chiediamo cosa potrebbe esserci dopo la vita o aldilà della vita; le risposte in nostro possesso sono poche, scarse, evasive. 

Si resta affascinati dai racconti di pre-morte narrati dalle persone che hanno attraversato questa esperienza, l’incredulità mista allo stupore rende queste narrazioni piene d’incanto.  Jung (1998) diceva: “Un uomo dovrebbe poter dire di aver fatto del suo meglio per formarsi un concetto della vita oltre la morte, o per creare una qualche immagine di essa, anche se dovesse confessare di non esservi riuscito. Non averlo fatto significa, aver perso qualcosa di vitale importanza”. Quindi, dovrebbe essere importate sapere cosa aspettarsi, creare un archetipo, detto in termini junghiani, dopo aver lasciato la materialità di questa vita. Delle risposte sono state inserite nel libro di Claudia Petricelli, EFM, esperienze alla frontiera della morte edito da Edizione Progetto Cultura per la collana LiberaMente.

In quattro capitoli si illustrano teoria, esperimenti ed esperienze di coloro che per qualche motivo hanno avuto il “privilegio” di vivere questa particolare avventura. Dopo aver parlato di coscienza e dei suoi stati alterati son presentate le teorie di alcuni grandi studiosi che in qualche modo, da sempre, hanno cercato risposte a una delle grandi domande: “Qual è il nostro destino dopo la morte?”.

La soluzione dovrebbe essere contenuta nella così detta esperienza di pre-morte, caratterizzate da diverse fasi, che scandiscono il progredire di questo cammino. La fasi sono inferite dalle molte testimonianze raccontate da coloro che sono tornati in vita, e, quindi, non hanno superato il fatidico confine o punto di non ritorno. Si tratta di dieci fasi, riscontrate a livello transculturale e attendibili, controlli incrociati lo attestano, che ineluttabilmente inducono a un cambiamento di alcuni valori, regole, della persona che ha vissuto questo particolare momento. Ma esattamente di cosa si tratta, di semplice attività cerebrale simile alle fase di sogno o di altro?

Secondo i neuroscienziati si tratterebbe della prima soluzione: durante queste fasi alcune aree del cervello sono sovraeccitate e trasmettono più sinapsi. Al contrario, per i credenti, o per coloro che hanno fede, si tratterebbe di un’esperienza in cui si entra in contatto con l’aldilà, anzi sarebbe la prova evidente dell’esistenza del paradiso, ci sarebbe l’incontro con persone che in qualche modo sono in grado di farci riflettere, danno consigli e fanno sentire ammirati.

Anche alcune droghe o anestetici possono riproporre una esperienza simile, ad esempio l’LSD ha degli effetti fortissimi sulla coscienza, infatti sarebbe in grado di far provare delle esperienze molto simili a quella di pre- morte, come osservare se stessi dal di fuori.

In ogni caso, una simile esperienza provoca un cambiamento dello stile di vita precedente. L’attraversare la luce, che tutti vedono durante l’esperienza di pre-morte, fa sentire accolti, amati, protetti, fino al punto, una volta in vita, di provare meno ansia nell’affrontare la morte e di essere meno legato alla materialità.  Alcuni sopravvissuti sviluppano una maggiore fede, si sentono prescelti e vivono la loro nuova vita apprezzando maggiormente quanto gli si presenta, accettando con più determinazione le avversità poiché si ha la consapevolezza che lo spirito continuerà a vivere aldilà della luce e nella luce.

Non commetterò il tipico errore di considerare ciò che non sono in grado di spiegare come una frode” (Jung, 1998).

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