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Autismo tra genetica, ambiente e politica: analisi multidisciplinare delle origini e delle narrazioni

Un’analisi multidisciplinare dell’autismo tra genetica, ambiente e politica: dalle basi neuroscientifiche alle narrazioni pubbliche e alle implicazioni etiche

Di Marco Tanini, Caterina Pistoia

Pubblicato il 15 Ott. 2025

Autismo e disinformazione: analisi scientifica e impatto delle narrazioni politiche

Nella sua prima conferenza stampa come segretario del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani  degli Stati Uniti, Robert F. Kennedy Jr. ha detto che “l’aumento dei tassi di prevalenza dell’autismo negli  Stati Uniti riflette un’epidemia -prevenibile- a livello di crisi che è stata causata da una tossina  ambientale” (da Quotidianosanità.it). 

Questa dichiarazione, fortemente controversa e discutibile, ha suscitato un acceso dibattito nel mondo  accademico, scientifico e politico. Per comprendere appieno l’impatto di affermazioni del genere, è  necessario esaminare in profondità le basi neuroscientifiche del disturbo dello spettro autistico (ASD),  la psicologia dello sviluppo e la complessa interazione tra fattori genetici, epigenetici e ambientali.  Inoltre, è fondamentale analizzare come gli annunci politici influenzino la percezione pubblica della  scienza e il processo decisionale in ambito sanitario. 

Comprendere l’autismo attraverso le neuroscienze

L’autismo è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da difficoltà nella comunicazione sociale e  dalla presenza di comportamenti ripetitivi o interessi ristretti. Le attuali evidenze neuroscientifiche  indicano che il disturbo dello spettro autistico è il risultato di un’alterazione nello sviluppo precoce del cervello, che coinvolge la  connettività neuronale, la migrazione neuronale, la sinaptogenesi e la plasticità cerebrale (Gilbert et al., 2017).

Numerosi studi di neuroimaging hanno mostrato differenze strutturali e funzionali in regioni chiave del  cervello, tra cui la corteccia prefrontale, l’amigdala, il cervelletto e il corpo calloso. Alcune ipotesi  suggeriscono una “iperconnettività locale” e una “ipoconnettività a lungo raggio” nel cervello autistico,  che potrebbe spiegare sia le capacità speciali che le difficoltà tipiche del disturbo (Travers et al., 2012). 

Dal punto di vista genetico, l’autismo è altamente ereditabile, con centinaia di geni associati che  contribuiscono in modo poligenico e interattivo (Sandin et al. 2017). Tuttavia, nessuna mutazione genetica singola spiega  la totalità dei casi, suggerendo che l’autismo sia una condizione multifattoriale. 

L’ambiente: tossine o contesto?

Quando si parla di “tossine ambientali”, si entra in un territorio scientificamente complesso e  semanticamente ambiguo. Il termine può riferirsi a una vasta gamma di sostanze: metalli pesanti (come  il mercurio o il piombo), pesticidi, sostanze chimiche industriali, farmaci assunti in gravidanza o  inquinanti atmosferici. 

Alcune ricerche suggeriscono correlazioni tra esposizione prenatale a determinati agenti chimici e un  aumentato rischio di disturbo dello spettro autistico (Morales-Suárez-Varela et al. 2024).  Tuttavia, correlazione non implica causalità. La difficoltà maggiore consiste  nel disegnare studi che isolino variabili complesse in un contesto umano, dove l’esposizione  ambientale si intreccia inevitabilmente con predisposizioni genetiche e condizioni socio-economiche. 

A ciò si aggiunge il ruolo dell’epigenetica: modificazioni chimiche del DNA indotte dall’ambiente che  non alterano la sequenza genetica ma influenzano l’espressione genica. Questo meccanismo potrebbe  rappresentare un ponte tra genetica e ambiente, rendendo più plausibile l’idea che l’ambiente giochi un  ruolo nel modulare la vulnerabilità a sviluppare il disturbo dello spettro autistico, senza essere causa diretta. 

Eziologia multifattoriale e predisposizione genetica

Ad oggi, l’eziologia dell’autismo rimane multifattoriale e non completamente definita. Le evidenze  convergenti indicano una componente genetica significativa, con un’elevata ereditabilità stimata  intorno al 70–90%. Tuttavia, non è stato identificato un singolo gene responsabile: si parla piuttosto di  una architettura genetica complessa e poligenica, in cui varianti rare de novo, mutazioni strutturali  (CNV) e polimorfismi comuni concorrono a determinare la vulnerabilità individuale (Sandin et al., 2014;  Grove et al., 2019). 

Questi dati rafforzano l’ipotesi che i fattori genetici costituiscano la componente principale nella  vulnerabilità all’autismo, pur non essendo esclusivi né deterministici. L’elevata concordanza tra gemelli  monozigoti, la frequenza di diagnosi in presenza di sindromi genetiche note (es. X Fragile, Sclerosi  Tuberosa, Rett) e i tassi aumentati di tratti autistici nei familiari di primo grado confermano l’esistenza  di un fenotipo autistico ampliato (Broad Autism Phenotype, BAP). Questo comprende caratteristiche  subcliniche (es. lievi difficoltà pragmatico-comunicative, rigidità cognitiva, scarsa reciprocità sociale)  condivise da soggetti imparentati con persone affette da autismo, e può costituire un indicatore intermedio  nei modelli di trasmissione familiare. 

La complessità genetica dell’autismo si esprime anche nella diversità delle varianti coinvolte: si riscontrano  sia mutazioni rare a forte impatto (de novo o ereditate), sia varianti comuni a effetto additivo, che  concorrono alla predisposizione. Inoltre, le interazioni gene-ambiente e i meccanismi epigenetici (es.  metilazione del DNA, modifiche istoniche) giocano un ruolo cruciale nella modulazione  dell’espressione genica durante lo sviluppo fetale e postnatale. 

Lo studio su larga scala di Bai et al. (2019), condotto su oltre due milioni di individui in un disegno  multicentrico e longitudinale, ha rappresentato una delle evidenze più solide a sostegno dell’alta  ereditabilità dell’autismo, stimata attorno all’80%. Questo dato non implica una trasmissione  mendeliana classica, ma sottolinea la forte influenza genetica su un quadro clinico modulato anche da  contesti ambientali precoci, soprattutto durante il periodo perinatale. 

In sintesi, l’Autismo appare oggi come un disturbo del neurosviluppo con eziologia complessa e  multifattoriale, in cui la componente genetica, pur altamente significativa, interagisce con fattori  ambientali, epigenetici e stocastici, rendendo conto della grande eterogeneità fenotipica osservata. 

Accanto ai fattori genetici, sono stati individuati numerosi fattori ambientali di rischio non genetici. Tra  questi, l’età avanzata dei genitori, complicanze ostetriche, prematurità, basso peso alla nascita,  infezioni materne e l’esposizione prenatale a farmaci (es. acido valproico) o inquinanti ambientali (Volk  et al., 2013). Il ruolo della carenza di micronutrienti, come l’acido folico, è ancora oggetto di studio.  Tuttavia, nessun singolo fattore ambientale è stato finora associato in modo univoco allo sviluppo  del disturbo dello spettro autistico. 

Nel DSM-5 (APA, 2013), l’autismo è classificato come disturbo del neurosviluppo a esordio precoce,  con una presentazione fenotipica estremamente eterogenea. Questa variabilità clinica rende  improbabile l’identificazione di una causa unica e supporta un modello eziopatogenetico basato  sull’interazione dinamica tra geni e ambiente, probabilmente attiva in epoca prenatale o perinatale. 

Infine, l’assenza di biomarcatori diagnostici conferma che l’autismo è diagnosticato unicamente su base  comportamentale. La diagnosi precoce e l’intervento tempestivo, soprattutto nei primi anni di vita,  rappresentano attualmente i fattori più efficaci per migliorare gli outcome funzionali.

Psicologia dello sviluppo: traiettorie neurocognitive e fattori protettivi

Il disturbo dello spettro autistico si manifesta in genere nei primi tre anni di vita e può essere identificato attraverso alterazioni  precoci nel comportamento sociale, nella regolazione affettiva e nella comunicazione non verbale. La  psicologia dello sviluppo fornisce un quadro teorico per comprendere come le interazioni precoci con  l’ambiente, i caregiver e il contesto culturale influenzino la traiettoria neurocognitiva del bambino. 

Studi longitudinali indicano che l’intervento precoce può modificare in modo significativo l’evoluzione  dei sintomi dell’autismo, suggerendo una plasticità del cervello infantile che può essere sfruttata in  modo terapeutico. Pertanto, focalizzarsi unicamente sulle cause, specie se vaghe o ideologiche, rischia  di distogliere risorse e attenzione dalla promozione di strategie di supporto basate sull’evidenza. 

Politiche sanitarie e percezione pubblica

Le dichiarazioni di figure pubbliche, specialmente quando ricoprono ruoli istituzionali e di governo,  influenzano profondamente l’opinione pubblica e le scelte collettive in termini di salute. Il caso di  Kennedy Jr. solleva questioni cruciali sul rapporto tra politica e scienza e sulle conseguenze rispetto  all’opinione pubblica di informazioni non validate. 

Nonostante il crescente tasso di diagnosi, l’ipotesi di un’”epidemia” non è sostenuta dalla letteratura  scientifica: il fenomeno è attribuibile in gran parte all’ampliamento dei criteri diagnostici, a una  maggiore consapevolezza e all’accesso più diffuso ai servizi di salute mentale. 

Etichettare l’autismo come “epidemia prevenibile” alimenta stigma, colpevolizzazione e paura,  ostacolando il progresso verso una visione più inclusiva e scientificamente fondata della  neurodiversità. Inoltre, ipotizzare l’esistenza di una imprecisata “tossina” come causa primaria  dell’autismo apre la porta a interpretazioni pseudoscientifiche e a soluzioni non validate, a scapito delle  politiche basate sull’evidenza. 

Conclusione

L’autismo non è una malattia da debellare, ma una condizione da comprendere, accogliere e  supportare. La ricerca neuroscientifica e psicologica ci mostra un quadro complesso, dove natura e  ambiente si intrecciano in modo dinamico. Le dichiarazioni che semplificano eccessivamente questa  complessità rischiano non solo di travisare la scienza, ma anche di influenzare negativamente la vita  delle persone autistiche e delle loro famiglie. 

La sfida per il futuro sarà quella di coniugare eticamente, rigore scientifico, empatia umana e  responsabilità politica, rafforzando una cultura sociale che promuova conoscenza, rispetto e  inclusione. 

Riferimenti Bibliografici
  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th  ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing.  
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