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Basaglia Franco

A Franco Basaglia si deve la Legge 180/78 che ha promosso un nuovo approccio alla cura dei disturbi mentali, sostenendo il rispetto della persona umana.

Il più grande merito di Franco Basaglia è stato quello di restituire dignità alla malattia mentale, non considerando il paziente come un oggetto da aggiustare, ma una persona da accogliere, ascoltare, comprendere, da aiutare, e non da recludere o da nascondere.

Basaglia Franco: la vita e il pensiero del padre della psichiatria moderna

Franco Basaglia è uno dei più noti psichiatri moderni, le cui idee innovative sancirono la fine della vecchia concezione di psichiatria e, soprattutto, del vecchio concetto di cura psichiatrica. A Basaglia si deve la Legge 180, detta anche “Legge Basaglia”, che trasformò il vecchio ordinamento degli ospedali psichiatrici italiani, promuovendo un nuovo trattamento e cura dei disturbi mentali e, soprattutto, sostenendo il rispetto della persona umana.

Vita

Franco Basaglia è uno psichiatra e neurologo, nato a Venezia l’11 marzo del 1924, in una famiglia benestante ed è il secondo genito di tre figli. Basaglia frequentò il liceo classico della sua città e successivamente, nel 1949, si laureò in medicina presso l’Università di Padova. In questi anni conobbe l’esistenzialismo di Jean-Paul Sartre, sul quale baserà tutta la sua carriera psichiatrica, contrastando le idee di Lombroso, allora vigenti in ambito psichiatrico. Nel 1953 si specializzò in malattie nervose e mentali presso la facoltà della clinica neuropsichiatrica di Padova. Nello stesso anno sposò Franca Ongaro, da cui ebbe due figli. I due, oltre a essere marito e moglie, erano anche colleghi, per questo scrissero insieme diversi libri sulla psichiatria moderna.

Basaglia politicamente liberale militò nel partito “Sinistra Indipendente” e sedette in Parlamento a partire dal 1953. Successivamente, nel 1958, divenne docente di psichiatria presso l’Università di Padova. Da lì a poco, però, non godette più di una buona fama tra i colleghi, poiché le sue tesi furono giudicate rivoluzionarie e poco ortodosse rispetto al clima vigente in quel periodo. Franco Basaglia ara una persona dall’indole progressista, e per questo, in netto contrasto con il periodo. Quindi, dopo aver subito ostilità e angherie, decise nel 1961 di lasciare l’insegnamento per trasferirsi a Gorizia con la famiglia, dove era stato nominato direttore dell’ospedale psichiatrico. Nella clinica psichiatrica di Gorizia, Basaglia entrò in contatto con la vera realtà custodialistica e psichiatrica dell’istituto, caratterizzata principalmente da trattamenti aberranti regolarmente inflitti ai malati, non considerati persone in difficoltà e da aiutare, bensì soggetti da controllare, reprimere, sedare e nascondere. Basaglia, ben presto, partendo dalla teoria di Freud, cominciò a sostenere che il rapporto tra terapeuta e paziente dovesse basarsi su presupposti diversi da quelli vigenti, come a esempio il dialogo e non l’annientamento dell’altro. Per questo, iniziò una battaglia per restituire a queste persone maggiore dignità e diritto alle cure.

In poco tempo, Basaglia, riuscì a modificare i metodi di cura applicati in quel periodo. In primo luogo fece eliminare la terapia elettroconvulsivante e incoraggiò un nuovo tipo di approccio relazionare da stabilire tra malato medico, o personale psichiatrico in generale. Quest’ultimo consisteva nel creare una relazione di maggiore vicinanza emotiva, più empatica, centrata sullo scambio umano, che fosse mediata dal dialogo e dal sostegno morale. Quindi, non una cura volta alla disumanizzazione dell’altro, ma interessarsi al paziente perché è una persona e non un malato pericoloso da nascondere agli occhi di tutti.

Dall’esperienza svolta in quel manicomio scaturì l’idea che portò alla realizzazione di uno dei suoi più celebri libri: “L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico”, edito nel 1967. Basaglia in seguito divenne direttore anche dell’ospedale di Colorno e di quello di Trieste. Nel 1973 fondò un movimento chiamato Psichiatria Democratica, che prese spunto dalla corrente di pensiero dell’antipsichiatria, già vigente e largamente diffusa in Gran Bretagna. Basaglia continuò a sostenere la sua battaglia contro il sistema psichiatrico del tempo finché nel 1977 ottenne la chiusura dell’ospedale psichiatrico di Trieste. Grazie alla sua opera, finalmente, nel 1978, si ratificò la legge 180 sulla riforma psichiatrica.

Franco Basaglia morì a Venezia, città natia, il 29 agosto del 1980 all’età di 56 anni a causa di una neoplasia al cervello.

Il pensiero di Franco Basaglia

Basaglia è considerato il fondatore del concetto moderno di salute mentale, e ancora oggi, le sue teorie, hanno un forte peso in ambito psichiatrico. Il suo approccio alla cura della malattia mentale, da lui stesso definito fenomenologico ed esistenziale, è in netta contrapposizione a quello positivistico della medicina tradizionale vigente all’epoca.

I manicomi nel Novecento erano regolati dalle norme sancite dalla sanità provinciale e gestiti da psichiatri e infermieri. Essi si ergevano in periferia, rispettando un’antica usanza secondo la quale il terrificante, il mostruoso, ovvero il malato di mente doveva essere nascosto agli occhi delle persone “sane”. Nelle istituzioni psichiatriche all’epoca esistenti erano normalmente usate le seguenti pratiche: elettroshock, lobotomie, docce gelate, camicie di forza e letti di contenzione. Per questo, il manicomio appariva a Basaglia come la somma espressione di una logica sociale volta all’annientamento dell’altro, poiché diverso/malato e per questo deve essere nascosto, celato, dimenticato. Basaglia, dunque, inizia a sollevare la questione manicomiale facendo notare gli efferati metodi adottati e a sostenere sia importante restituire l’individualità e la dignità ai pazienti, che dovrebbero essere riconosciuti prima come esseri umani e poi come delle persone da riabilitare. La prima cosa da fare, secondo Basaglia, è sospendere ogni forma di giudizio e considerare l’individuo nella sua interezza, partendo dalla storia di vita, dal ruolo sociale svolto, dalle emozioni e dal malessere, per poi procedere con la diagnosi e la terapia, evitando stigmatizzazioni inutili.

Negli ambienti accademici, però, furono osteggiati i tentativi messi in pratica da Franco Basaglia per mettere in discussione l’ortodossia psichiatrica, nonostante ciò, ha continuato a portare avanti questa battaglia.

Basaglia partendo e utilizzando la sua formazione, medica-filosofica, voleva liberare i malati mentali dalle “celle di contenzione” nelle quali erano intrappolati, senza né personalità né dignità. In questo modo, Basaglia riuscì a convincere i poteri forti che delegittimare le persone con disturbi psichici non è la strada giusta da percorrere.

Le filosofie che hanno influenzato la pratica basagliana

Il pensiero di Franco Basaglia deriva da idee e concetti filosofici che possono essere ricondotti a diverse grandi correnti.

La prima, quella della fenomenologia e della psicologia di Jaspers, basata sulla ricerca del concetto di “essere” in quanto essere umano, da cui Basaglia prese spunto per iniziare la sua critica contro la psichiatria del tempo. Successivamente, conobbe il pensiero di Husserl, centrato sulla ricerca del ruolo svolto da ogni essere umano nel contesto sociale, che andò ad ampliare le prospettive teoriche già esistenti in Basaglia. Le teorie di Binswanger inoltre, volte ad analizzare la persona come formata da corpo e dalle espressioni messe in atto dallo stesso, in aggiunta alle precedenti, consolidarono il suo approccio fenomenologico alle psicosi.

La seconda area è quella rappresentata dalle filosofie esistenzialisti di Sartre e Merleau-Ponty, dalle quali Basaglia parte per costruire il suo concetto di libertà e di entità corporea, attribuendo a queste ultime maggiore valore e integrità.

L’ultima area di influenza filosofica è quella di Foucault, incentrato sulla critica al potere istituzionale e sulle analisi delle stesse, e il pensiero di Fanon, che daranno a Franco Basaglia una maggiore e innovativa lettura sul tipo di relazioni che si potrebbero istituire nei manicomi. Inoltre, le teorie sull’incontro autentico con l’altro di Laing e il concetto di comunità e cura di Maxwell, consentirono di aggiungere valore delle parole utilizzate nell’incontro autentico con l’altro e in una situazione comunitaria.

Basaglia, dunque, tradusse tutto questo in un’idea pratica del tutto innovativa che verteva nella trasformazione dei manicomi in comunità terapeutiche. In una comunità terapeutica, i medici, gli operatori e i pazienti possiedono pari dignità e pari diritti; i rapporti non sono più verticali, bensì orizzontali, ovvero, è privilegiata la collaborazione tra pari. Il malato, inoltre, non è considerato come un reietto, bensì come una persona da aiutare, recuperare e riabilitare. Inoltre, la terapia elettroconvulsivante fu definitivamente bandita, e quella farmacologica fu considerata solo un metodo per concedere la possibilità di riabilitarsi più velocemente. Quindi, in questo modo al malato era concessa maggiore dignità e una migliore prospettiva di cura. Nel 1971, Basaglia mise in opera l’idea dei laboratori artistici di pittura e teatro per i pazienti: attraverso la produzione artistica, i malati riescono a rappresentare se stessi e il rapporto con l’altro, comunicano i propri disagi interiori e le insicurezze, ritrovano la propria identità e si relazionano meglio agli altri. Nacquero, dunque, le comunità attraverso la quale i pazienti possono svolgere lavori utili e anche socialmente condivisibili tra coloro che inizialmente avevano ripudiato e allontanato queste persone. Basaglia raggiunse lo scopo della reintegrazione sociale dei malati e fece notare a tutti l’inconsistenza di un processo volto alla discriminazione e disumanizzazione dell’essere umano.

Il 13 maggio 1978, esattamente quarant’anni fa e due anni prima della sua scomparsa, fu approvata la legge di chiusura delle istituzioni manicomiali, nota come Legge Basaglia, nonostante nel testo e nelle sue applicazioni successive, non siano rispettate pienamente le idee originarie e le sue possibili attuazioni. Da un punto di vista storico, però, la Legge Basaglia fu importante perché rese la psichiatra terapeutica e riabilitativa. A partire dai primi anni sessanta, di conseguenza, fu ridefinita l’intera concezione di malattia e cura psichiatrica.

La Legge 180, quindi, denunciò le istituzioni manicomiali fino a regolarne la chiusura. Furono istituiti, di conseguenza, negli ospedali dei reparti di Psichiatria, delle case d’aiuto e supporto alle famiglie, centri diurni e ambulatori gestiti da psichiatri, psicologi, infermieri, assistenti sociali, Si tratta di strutture e personale formate e abilitate alle cure e al trattamento dei pazienti psichiatrici. Tale legge, però, divenne operativa solo a metà degli anni Novanta, a causa di un sistema sociale troppo radicato e difficile da poter modificare in poco tempo.

Basaglia, per concludere, restituisce dignità alla malattia mentale, non considerando il paziente come un oggetto da aggiustare, ma una persona da accogliere, ascoltare, comprendere, da aiutare, e non da recludere o da nascondere.

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