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Musica per il nostro cervello (seconda parte)

Di Michela Muggeo

Pubblicato il 21 Set. 2011

Aggiornato il 03 Ott. 2011 12:57

Musica - Licenza d'uso: Creative Commons - http://www.flickr.com/photos/naturegeak/Nella prima parte di questo articolo ho scritto dell’influenza positiva che la musica esercita sul nostro cervello; non sorprende, infatti, che fin dalle antiche civiltà greche venissero intonati canti per curare le ferite di guerrieri e contadini, così come nei secoli successivi la musica fosse impiegata in casi di epilessia, perdita dell’udito e autismo infantile. Ricerche più recenti hanno, in effetti, provato che la musica ha un potente effetto sul nostro sistema cerebrale: accelera i processi di apprendimento, favorisce le capacità di lettura e matematiche, facilita i processi mnemonici e incrementa le nostre abilità creative.

Va detto che l’apprendimento musicale non è da intendere come “talento”, “genio” o “dote naturale” ma, anche se tali virtù aiutano, suonare uno strumento musicale è un’attività molto complessa che richiede anni di studio e di continuo esercizio. L’apprendimento musicale, inoltre, non coinvolge solo le aree cerebrali preposte all’udito, al linguaggio (apprendimento del canto) e alla motricità fine (quando si impara a suonare) ma influisce anche sulle funzioni cognitive connesse alla percezione spaziale, alla memoria e all’attenzione, avendo un impatto estremamente positivo sullo sviluppo cerebrale in generale.

Studi di neurologia hanno evidenziato come l’ascoltare e il fare musica sviluppino lo scambio di informazioni tra i due emisferi del cervello: ogni brano musicale, infatti, consiste di melodia e ritmo. E’ noto come la melodia venga processata all’interno dello emisfero destro del nostro cervello, mentre il ritmo si elabori nel nostro emisfero sinistro. Durante l’esecuzione di un brano musicale entrambi gli emisferi cerebrali vengono attivati, favorendo gli così scambi tra emisferi in maniera bilanciata. Numerose ricerche sono state condotte analizzando i tracciati elettroencefalografici di musicisti e ci rivelano che chi suona ha maggiori connessioni tra i due emisferi; il processo di creazione musicale, così come la sua interpretazione o il suo ascolto, ha infatti la proprietà di mettere in sincronico insiemi di tracce neuronali. Similmente, in una ricerca condotta da alcuni neuroscienziati tedeschi, si è visto che i musicisti hanno la zona di corteccia cerebrale responsabile dell’elaborazione degli stimoli sonori più grande del 25% rispetto a chi non ha mai suonato alcuno strumento.

Ma che cosa significa tutto ciò? Significa che, poiché il fare musica è un’attività complessa che richiede l’uso e lo sviluppo di molteplici abilità, è possibile che aiuti anche il cervello a creare connessioni alternative, le quali faranno potrebbero fare fronte ai processi di declino cognitivo e alla demenza. Le note, insomma, attraverso il loro linguaggio universale, aiutano a mantenere il cervello sveglio e attivo con effetti a lungo termine.

Bibliografia:

  • Schlaug G. (2008). Music, musicians, and brain plasticity. In Hallam S., Cross I., & Thaut M. H. (Eds)., The Oxford Handbook of Music Psychology (pp. 197–208). Oxford: Oxford University Press.
  • Jausovec N., Jausovec K., Gerlic I., (2006).  The influence of Mozart’s music on brain activity in the process of learning, Clinical Neurophysiology, 117, 2703–2714.
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