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Il cablaggio delle reti neurali coinvolte nella percezione del tempo

In che modo le nostre reti neurali creano una organizzazione percettiva del mondo e della nostra attività mentale e orchestrano la percezione del tempo?

Di Cristi Marcì

Pubblicato il 01 Set. 2021

La dimensione essenziale della memoria sembra risentire di meccanismi nervosi che con l’evoluzione hanno contribuito alla formazione di processi cognitivi con un substrato di natura neurobiologica. Grazie a quest’ultima prospettiva, tali meccanismi sembrano confermare come il senso del tempo richieda una solida integrità di diverse aree che ne permettano l’elaborazione e la costanza. 

 

Il corpo rappresenta quel notevole sfondo da cui e per mezzo del quale possono prendere forma sia uno spazio esterno che le proprie relazioni quotidiane. Se ogni sviluppo presuppone un’azione, se ogni presenza corporea è legata ad una situazione tramite la quale esprimersi, qualora il soggetto venisse passivamente gettato nel mondo senza la possibilità di esprimersi attivamente, meglio ancora di reagire, si verrebbe a determinare una rottura. Uno squarcio nel modo d’essere, nella propria presenza, che, invece, di esprimersi in modo pienamente naturale, libera e soprattutto autentica, resta ferma, quasi incagliata ad una realtà solida e non trascendibile. Si alimenta così l’incapacità ad andare oltre, per cui il proprio corpo inizia a rassegnarsi e ad ancorarsi a quanto è già dato e facilmente raggiungibile dando vita ad una inautenticità e ad una sofferenza prevaricanti.

Emerge quindi un ulteriore punto: se il tempo si collochi nel mondo e nelle cose che percepiamo, nel loro scorrere o al contrario sia dentro di noi.

Per dirla con Proust (Benini, A., 2017, p.14) sembra essere la dimensione essenziale della memoria, il traliccio intrinseco dei ricordi, sembra inoltre, risentire di meccanismi nervosi che con l’evoluzione hanno contribuito alla formazione di processi cognitivi con un substrato di natura neurobiologica.

Grazie a quest’ultima prospettiva, tali meccanismi sembrano confermare come il senso del tempo richieda una solida integrità di diverse aree che ne permettano l’elaborazione e la costanza.

Inoltre il tempo può assumere delle caratteristiche del tutto prive di coscienza, caratterizzato da meccanismi di natura psicofisiologica che regolano la nostra attività in riferimento sia all’ambiente esterno che all’ambiente interno di cui siamo portatori e che dalle prime fasi della vita inizia a fiorire.

Per esempio il nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo, un piccolo organo di neuroni, regola varie attività fondamentali di natura vegetativa: pressione arteriosa, il ritmo sonno-veglia, la temperatura e il livello degli ormoni. Un insieme di attività, che può prendere strade differenti in base alle circostanze con le quali veniamo a contatto e che sono accompagnate e regolate dalle nostre prime figure di accudimento. Risultiamo inoltre caratterizzati da un tempo crono-biologico, grazie al quale avviene la coordinazione dei cicli del funzionamento del proprio corpo secondo il tempo solare, con una biologia circadiana, fondamentale per l’adattamento all’ambiente.

Il nucleo soprachiasmatico sembra essere a tutti gli effetti un metronomo autoregolato, non connesso però con le aree della memoria, dello spazio e delle emozioni come lo sono quelle del tempo.

Un buon funzionamento incide a livello sia psichico che biologico, permette di trovare un armonioso equilibrio, favorisce una buona interazione tra l’individuo e l’ambiente.

Il tempo non dipende solo dal movimento, ma anche dalle masse e dalla gravità che esse esercitano nello spazio. Esso dipenderebbe, quindi, dal campo gravitazionale dello spazio, ovvero dalle onde della forza di gravità che in esso agiscono.

Se ogni oggetto ha un suo tempo a seconda della sua posizione nello spazio e del suo movimento rispetto ad un altro oggetto, sarebbe possibile ipotizzare che ogni soggetto possiede un proprio carico energetico ed esperienziale, risultato della sua organizzazione cerebrale e del suo funzionamento neurobiologico, che influenza dunque un altro soggetto.

È possibile, dunque, sostenere che grazie al modo in cui i nostri meccanismi nervosi creano e manipolano il tempo, ne deriva una modalità del soggetto di vedere la realtà, sia interna che esterna, del tutto peculiare.

Basandosi su questa ipotesi e ripercorrendo le teorie di Helmholtz (1870) si può percepire come vi sia un intervallo tra gli stimoli nervosi e quello che essi determinano; di quell’intervallo, di quella latenza fra due eventi reali, lo stimolo e la percezione del suo effetto, non si avverte nulla, anche se quella latenza è una delle regole dei meccanismi cerebrali, compresi quelli della coscienza.

Quello che viene ad emergere è una discrepanza sia tra la fenomenologia del tempo vissuto che sentito e il tempo misurabile, oggettivo dei meccanismi nervosi che lo creano, di cui non si ha coscienza.

Grazie ad Herman Von Helmholtz (1850) e tramite i suoi esperimenti è stata evidenziata la duplicità della realtà del tempo, conducendo ricerche sulla stimolazione dei muscoli delle zampe di rana.

Era stato possibile rendersi conto di come il muscolo, dopo la stimolazione, non si contraesse di colpo, bensì gradualmente, per cui tra la stimolazione elettrica del nervo e la contrazione muscolare trascorre un tempo di cui non si ha coscienza perché, entrambi gli eventi sembrano simultanei.

La latenza fra lo stimolo nervoso e la contrazione venne chiamata “temps perdu”, impiegato dallo stimolo a percorrere il tratto dentro il nervo fino al muscolo (Benini, A., 2017, p. 28). Ci si è chiesti in che modo contribuisca il nostro sistema nervoso centrale nel creare una organizzazione percettiva del mondo e della nostra attività mentale, accompagnate dal senso del tempo che il nostro cervello impiega in modo più o meno flessibile.

Il tempo per attivare la coscienza non dipende dalla frequenza o dal numero degli impulsi elettrici, ma dalla loro durata, per esempio per ottenere una sensazione somatica non è sufficiente la ripetizione dell’impulso, ma per diventare efficace, occorre che la ripetizione prosegua per una data durata.

Se mezzo secondo è il tempo necessario per diventare coscienti di una stimolazione portata alla corteccia cerebrale, come si spiega che se siamo toccati o se tocchiamo qualcosa ne siamo immediatamente coscienti senza latenza?

Come può un evento essere simultaneo alla coscienza se i meccanismi nervosi devono lavorare circa mezzo secondo per elaborare gli stimoli fino a renderli coscienti?

Nondimeno, i nostri meccanismi non sempre risentono di una buona integrazione che li porti qualitativamente e quantitativamente ad una buona coesione interna rispetto a quanto ci circonda (Siegel, J. D., 2001).

Il tempo è formato da meccanismi nervosi trasmessi da una generazione all’altra, caratterizzati da tracce genetiche che a contatto con l’ambiente possono incidere positivamente o meno su tutto l’organismo: a livello psichico, neurobiologico ed interpersonale.

Il senso del tempo, inoltre, sembra essere il frutto di una rappresentazione che si rispecchia sui piani della durata, dell’attesa e dell’ordine di successione degli eventi.

L’ippocampo svolge un ruolo chiave non solo per lo spazio e per la memoria, ma anche per il senso del tempo, insieme con l’area motoria supplementare, parte della corteccia prefrontale e parietale, i gangli della base ed il cervelletto (Kagerer, F. A., 2002).

La corteccia parietale sinistra, valendosi della memoria di informazioni precedenti genera un’attesa della durata degli eventi futuri, mentre la corteccia prefrontale destra utilizza informazioni retroattive per valutare se il tempo che passa coincida con quello previsto (Jueptener, M., 1995).

Questa panoramica offre inoltre la possibilità di porsi ulteriori quesiti ovvero se queste aree risentano di un buono sviluppo, di una buona integrazione e di una buona flessibilità.

Seguendo la fenomenologia dell’esperienza temporale e cercandone le basi anatomiche ed i meccanismi nervosi, ci si avvicina al tempo con la conferma che un evento cerebrale di quella natura e rilievo, che fornisce alla coscienza una delle dimensioni fondamentali dell’esistenza, è reale.

Il tempo di cui siamo coscienti e quello che rimane inavvertito, sembrano dunque dipendere da meccanismi nervosi diffusi in tutto l’encefalo, in particolare quelli della memoria, dell’attenzione e del sistema limbico e dell’affettività, nonché dallo stato fisico a quello ormonale (Eichenbaum, H., 2013).

Il senso del tempo è una realtà variabile, onnipresente e relativamente poco prevedibile, nondimeno di natura individuale come lo sono struttura e funzionamento di ogni cervello.

Per lo psicologo Robert E Ornstein (1969) il tempo è una delle rappresentazioni continue di cui è intrecciata la nostra esperienza, nondimeno la sua realtà risente di due aspetti fondamentali: il Government Time (GT) prodotto dal cervello e il Personal Time (PT), ossia il tempo fenomenologico della vita e della successione dei ricordi, ordinati nei centri nervosi della memoria.

A differenza del GT, l’esperienza del personal time risente notevolmente dell’attenzione attribuita agli eventi, delle emozioni, dell’affettività e dello stato d’animo, dunque di aree importanti, che non sempre sono state tradotte nel migliore dei modi e che possono risentire di alcuni deficit che possono protrarsi durante la vita e la propria crescita.

Le emozioni inoltre sembrano dunque avere un ruolo importante, poiché possono allungarlo come possono accorciarlo, infatti suoni carichi di emozioni (Angrilli, A., 1997) gradevoli e sgradevoli sentiti per 2, 4 e 6 secondi possono allungare il tempo, ancora di più se sgradevoli. Secondo Einstein (1915) il TP è il senso primordiale del flusso del tempo che ci consente di mettere ordine nelle nostre impressioni, talmente soggettivo da variare a seconda delle circostanze.

Lo sviluppo del senso del tempo (Carstensen, L., 2006) avviene con lo sviluppo delle capacità di camminare e del linguaggio nonché delle esperienze che trasmettono il senso dello scorrere dello stesso.

Nel linguaggio parlato oltre all’informazione lessicale e sintattica, la prosodia, cioè il ritmo, il tempo e il tono del discorso, modula notevolmente il contenuto e trasmette lo stato emotivo di chi parla (Scrimer, A., 2001).

Il collegamento dei meccanismi del parlare con quelli della pressione sanguigna e della respirazione rende l’espressione parlata molto sensibile alle emozioni. Anche in queste circostanze il senso del tempo riflette lo stato mentale dell’individuo, che interagisce con un altro.

La durata degli intervalli, cioè del silenzio, fra parole e sillabe è determinante per attribuire aggettivi, verbi, proverbi e quant’altro si dica alle varie componenti di una frase e quindi per capire quel che si sente.

Il linguaggio (Sinha, C., 2014) dunque si forma e si comprende con le strutture nervose del senso del tempo, per cui il parlare non sembra essere una funzione che si sviluppa indipendentemente dalle altre, bensì una funzione che prende il via e cresce assieme ad altri processi cognitivi.

L’informazione in arrivo non agisce mai su un sistema statico, ma sempre su un sistema già attivo, organizzato e sempre flessibile alle nuove modifiche, derivanti dalle interazioni con l’ambiente (Lashley, K. S., in Benini A., 2017, p.47).

L’attività del cervello, a seconda della quantità di energia di cui dispone è continua e l’elaborazione dell’informazione fino alla coscienza dipende dai meccanismi attivi in quel momento, di conseguenza l’esperienza è inserita nel traliccio nervoso dei meccanismi dello spazio e del tempo, ed acquista nella coscienza la dimensione temporale oggettiva del GT e soggettiva del PT.

Schematicamente secondo E. Poppel (1978) si possono distinguere cinque esperienze coscienti del tempo: quella della durata, della simultaneità e della successione, del senso del presente ed anticipazione del futuro.

Si tratta di esperienze diverse cui corrispondono meccanismi nervosi ben diversi, accompagnati dalla tesi, secondo la quale non vi è conferma della presenza di un unico centro dell’esperienza temporale. Viceversa tante esperienze differenti, coinvolgono diverse aree corticali e sottocorticali, che funzionalmente possono fornire o meno un armonioso equilibrio del senso che abbiamo del tempo e di cui le aree cerebrali della memoria, in particolare l’ippocampo, forniscono il senso sia del tempo che dello spazio (Bray, N., 2014).

La durata per esempio, come tutte le altre varianti del senso del tempo, dipenderebbe dalla durata dell’attivazione della rete dei neuroni sincronizzati durante l’evento.

Il meccanismo nervoso del senso della durata agisce non solo a seconda dello stato d’animo, ma anche in relazione ad eventi apparentemente irrilevanti.

Più alta è la temperatura del corpo o dell’ambiente per esempio, più veloce è sentito il passare del tempo (Warden, J. H., 1995).

Del mondo abbiamo l’esperienza cosciente che gli eventi multisensoriali, come il suono e la visione, siano percezioni sincrone ed immediate, ma ciò è un’illusione perché tra l’evento sensoriale e la percezione cosciente c’è un intervallo di circa mezzo secondo, necessario ai meccanismi nervosi per elaborare informazioni, riflessioni percezioni uni e multisensoriali (Benini, A., 2017, p. 54).

La compressione inconsapevole del tempo e la sincronicità illusoria di stimolazioni diverse, dovute alla capacità del cervello di convogliare molteplici modalità sensoriali in un unico flusso temporale omogeneo e coerente, rappresentano la normalità dell’esperienza sensoriale.

La compressione del tempo regola anche le percezioni mono sensoriali: per esempio se siamo toccati nello stesso istante nella faccia e in un piede, siamo coscienti simultaneamente dei due toccamenti, anche se lo stimolo che parte dal piede impiega 30-40 millisecondi per arrivare all’area parietale somato – sensoriale controlaterale e quello che parte dalla faccia impiega 5 – 10 millisecondi (Pastor, M., 2004).

Osservando questa sequenza quello che emerge è che la velocità delle due informazioni è ben diversa, ciononostante le relazioni temporali e spaziali dei segnali degli organi di senso sono essenziali per integrare le varie modalità dell’informazione.

Quello che ci si chiede è se questi meccanismi nervosi a partire dalle prime interazioni col caregiver ed ambientali risentano di un supporto volto a migliorarne sempre più lo sviluppo e la loro capacità funzionale, che in futuro può portare ad un adattamento o viceversa ad un blocco evolutivo (King, A. J., 2005).

Questo perché ogni meccanismo dell’informazione reagisce a un tipo e ad un ambito particolare di energia usando metodi specifici di trasmissione dell’informazione all’interno del cervello.

Per questo la coordinazione dei sistemi sensoriali, in particolare dello spazio e del tempo, è essenziale per interpretare gli eventi del mondo esterno ed elaborare un comportamento il più coerente possibile.

Le aree più specifiche per l’elaborazione del tempo sarebbero: i lobi parietali, l’area motoria supplementare e la corteccia frontale destra, tre aree di cui l’ippocampo si pensa essere il coordinatore (Lytton, W., 1999). Esso dunque risulta essere l’organo chiave della memoria e del senso del tempo stesso, fornendo alla coscienza la continuità delle rappresentazioni spaziale e del suo svolgimento temporale (Benini, A., 2012).

Sembra dunque che non ci si possa congedare dal tempo, frutto di meccanismi nervosi che danno vita all’esperienza consapevole ed inconscia, nondimeno flessibile a seconda delle percezioni, dello stato d’animo, della condizione ambientale, del carattere, della temperatura esterna e di quella del corpo.

Nondimeno queste caratteristiche non sempre danno vita ad un senso del tempo lineare, perché esso può risultare distorto a seconda del tipo di percezione che si va instaurando dentro di noi. In questo senso i meccanismi nervosi non sempre possono risultare fluidi e ancor di più flessibili, ma in base al loro grado di integrazione e funzione qualitativa rispetto alle quali emergono e si sviluppano, possono fare del senso del tempo una realtà nella quale viviamo, che conosciamo, che spesso costruiamo e che non sempre viene confermata dagli altri (Buhusi, C., 2005).

Infine possiamo dunque pensare che il tempo nella vita quotidiana sia in parte installato in un atto motorio inserito nello spazio, che il suo senso sia il frutto di esperienze motorie cui non si vorrebbe mai porre fine. Proprio perché il movimento richiede energia, se essa non risulta fluida e costante si rischierebbe di vivere ciò che più di ogni cosa si vorrebbe evitare: la discontinuità.

 

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Cristi Marcì
Cristi Marcì

Psicologo, Specializzando in Psicoterapia

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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