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Alle radici mitiche psicologiche e ambientali dell’epidemia

L'epidemia e le sue radici mitologiche: una riflessione sull'oikos, come rappresentazione spirituale del centro, fisso, ma anche mobile, variabile, mutabile

Di Baldo Lami

Pubblicato il 02 Lug. 2020

Il virus è ancora un mistero di difficile decifrazione, molto si è appreso dalle ricerche di laboratorio e dalle epidemie del passato, ma molto resta ancora da capire perché l’alieno sfugge a ogni identificazione medico-scientifica razionale e oggettivante, cui questo articolo cerca di ovviare offrendo una chiave di comprensione inedita e illuminante, quella mitica.

 

Anche il più stupido dei virus è più intelligente del più intelligente dei virologi. (Georg Klein)

A partire dagli anni trenta la biologia è pervasa da due grandi rivoluzioni concettuali in correlazione sincronistica tra di loro, che nel giro di poco tempo andranno a costituire i due occhi di un nuovo paradigma di riferimento, un po’ meno oggettivante del precedente, che aveva una visione assolutamente monoculare e che è ancora lontano dall’essere completamente abbandonato. Questa nuova visione nasce sotto il potente influsso del pensiero eco-logico nato qualche decennio prima, dove “eco”, dal greco oikos, sta per casa, dimora, ambiente.

La prima delle due rivoluzioni è costituita dalla Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia (PNEI), che amplia notevolmente l’area semantica del Self, la nostra “casa” identitaria, essendo un sistema di regolazione omeostatico costituito dall’integrazione tra psiche, sistema nervoso, endocrino e immunitario, sensibile alle variazioni esterne, ai ritmi circadiani ed alle stagioni. Mentre la seconda è costituita dall’Epigenetica, etimologicamente “relativa all’eredità familiare”, che si occupa dello studio di tutte quelle modificazioni ereditabili che portano a variazioni del fenotipo senza alterare il genotipo. In termini più semplici, il gene si esprime in salute o in malattia in rapporto a molteplici fattori, che comprendono tutte le interazioni che il nostro organismo ha con l’ambiente interno ed esterno. Prove sempre più schiaccianti mostrano l’importanza dei meccanismi epigenetici sia nello sviluppo e nel funzionamento dell’organismo che nell’origine di molte malattie, comprese quelle sistemiche o eco-sistemiche anche gravi come il cancro e le epidemie.

Ambiente interno e ambiente esterno sono i due fondamentali modi d’essere dell’oikos, in cui lo spazio fisico e umano si organizza simbolicamente intorno a un centro ideale, un fuoco, radicato fortemente nella mātĕr, terra madre, sostanza prima, ceppo, radice, intesa sia come fondamento originario e identitario, come la famiglia, che come sistema sociale e valoriale in cui ci si compiace di sentirsi a casa propria pur nella piazza aperta della polis. Con una differenza fondamentale però tra i due oikos: nel primo il fuoco, come rappresentazione spirituale del centro, è fisso, nel secondo è mobile, variabile, mutabile.

Ora, nel nostro retroterra mitologico c’è una figura divina molto particolare, solitaria, discreta e poco conosciuta ma di grande valore simbolico che incarna perfettamente i valori dell’oikos, si chiama Estia, Vesta per i romani. In luogo del regalo di nozze, il padre Zeus acconsentì alla sua richiesta di restare vergine e le concesse il privilegio di sedere nel centro della casa dove ardeva il fuoco sacro da custodire e da cui non si mosse mai. Rappresenta perciò la continuità, la tradizione, l’abitudine. Immagine archetipica del tratto femminile custode, garanzia di stabilità, sicurezza, ospitalità, integrità, accudimento, mantenimento, raccoglimento, ritorno e rientro in sé. In suo nome ci si ritrova, ci si riunisce, ci si pacifica e si coltiva il sentimento della comunità (“perché senza di te non v’è convito”, Omero). Per questo è comunemente chiamata la “dea del focolare”. La verginità conferma quindi un desiderio di intangibilità, di non contaminazione con l’alieno, di mantenimento dell’originario e della sua purezza.

Questo vale però riguardo il primo oikos, perché nel secondo l’introversa Estia si accompagna necessariamente a un’altra importante figura mitologica che è esattamente il suo opposto archetipico e di cui resta un polo inalienabile di riferimento da cui è molto pericoloso sganciarsi. Parlo di Ermes, Mercurio per i romani, noto come il “messaggero degli dei”, senz’altro la personalità di maggior spicco e successo anche tra i mortali. Veloce, ingegnoso, creativo, furbo, pieno di risorse e di espedienti, è considerato il dio delle strade, degli incroci, degli scambi, della comunicazione, del commercio, dei confini e dell’oltrepassamento dei confini. Siamo noi che facciamo fatica a ricevere i suoi “messaggi” che accadono soprattutto nelle zone di confine, dove per altro viviamo gli incontri immaginali e trasformativi più interessanti. Dato che è sul confine che definiamo il senso e il significato del rapporto con ogni alterità, interna ed esterna. Estia ed Ermes formano pertanto una coppia archetipica singolare che nell’antica architettura templare è stata rappresentata con un interno circolare semichiuso, con la statua di Estia al suo interno, che presenta sulla soglia un’erma, il pilastro fallico di Ermes. In epoca moderna il pittore surrealista Magritte l’ha rappresentata magistralmente in perfetto equilibrio nell’opera “Il terapeuta” del 1937. La coppia Estia-Ermes simboleggia pertanto la dualità interno-esterno, dentro-fuori, “in” e “out”. Qualsiasi problematica umana può essere ascritta al particolare rapporto che noi abbiamo instaurato con queste due figure. Sulla base di quanto detto, risulta evidente che l’evento più nefasto in assoluto cui possiamo assistere è la distruzione del sacro suolo (fuoco) di Estia, la sua violazione, che apre a scenari veramente apocalittici con l’esplosione incontrollata delle contaminazioni e mutazioni ermetiche.

Nel porre le basi immaginali della civiltà occidentale, i mitopoieti greci non potevano mancare di pensare anche a questa tragica eventualità, ma l’hanno appena accennata e per giunta in chiave quasi comica, facendone l’unica storia attribuita a Estia. Evidentemente non se la sono sentita di svilupparla fino alle estreme conseguenze, come farà invece l’Apocalisse di Giovanni. Accadde allora che mentre gli dei dopo un banchetto dormivano beati ed Estia riposava in se stessa presso il focolare, Priapo attraversò la soglia del suo territorio per violentarla, ma lei, svegliata dal raglio di un asino, riuscì con urla e grida a svegliare gli dei e a respingere l’intrusione. Priapo, che era figlio di Afrodite e, secondo alcuni, di Ermes, fu ripudiato dalla madre per la sua mostruosità fallica. Controparte grottesca di suo fratello Eros, finì per rappresentare la sessualità sfrenata, la forza virile, come pure la prodigiosa fertilità della natura, che nella figura dell’asino, respinge ogni forma di assalto proditorio alla sua sacra essenza.

Già adesso siamo in grado di fare collegamenti molto suggestivi, ma la cosa più curiosa in cui mi sono imbattuto in questa ricerca, è stata la molto ben nascosta correlazione etimologica tra “virile” e “virale”. Entrambi infatti presentano un’identica radice indoeuropea in vis, essere attivo, di gran forza, vigore, capacità, operare alacremente, ma anche aggredire, assalire, azione violenta, forza distruttiva di elementi naturali. Lo stupro di Estia porta allora il focolare a diventare focolaio (anche questi due termini presentano la stessa origine etimologica) e il virile a diventare virale. Questo è quello che è successo negli ospedali della Lombardia, che prendo ovviamente a modello emblematico di tutti gli altri ospedali del mondo in cui è successa la stessa cosa.

Mi spiego meglio: l’ospedale, la clinica, qualsiasi istituzione sanitaria (e qualsiasi istituzione in genere che comunque si occupa di beni comuni da proteggere), non potrebbe in alcun modo sostenersi senza alcuna presenza di Estia, il cui fuoco, che deve assolutamente tutelare, è rappresentato dal bene supremo della cura della sofferenza umana. Cura, therapeia, che oltre la competenza tecnica e specialistica, richiede soprattutto la disponibilità a mettere la persona al primo posto sulla scala dei valori e la capacità di interpretare i “sintomi” non solo sulla base dei “segni” offerti dai dati clinici e diagnostici obbiettivi, ma come un ac-cadere doloroso, singolare e collettivo insieme, estremamente significativo, in cui tutti gli attori del dramma della vita, del mondo interno come del mondo esterno, l’anima in primis, sono da considerarsi concausali, al fine di offrire la terapia più adeguata al caso. Sappiamo che le cose non stanno così, perché su tutto domina un altro “dio”, che nega l’anima, ed Estia è costretta a esistere quasi solo nominalmente. Questa è la ragione per cui il suo mitico focolare si trova già in partenza, e in potenza, in modalità focolaio, sicché, quando il “priapico” alieno (priapico perché ricco di protuberanze “falliche”, le spike protein, con cui riesce a penetrare nella cellula) entra di soppiatto nel sistema e dopo diverse segnalazioni di polmoniti e forse anche di morti sospette completamente inascoltate (l’asino che ragliava), viene finalmente “visto”, il gioco è fatto: lo stupro non si può più evitare. Ma soprattutto non si possono più evitare le sue più devastanti conseguenze, che consistono nel violento scatenamento reattivo dei processi di “infinitizzazione emozionale” tipici del marasma (Bion), i quali, agendo da convertitori epigenetici, hanno indotto una mutazione genetica maligna del virus, che ha portato la sua carica virale e la sua velocità di propagazione alle stelle.

Allora si è parlato giustamente di epicentro e di tsunami. L’onda anomala del contagio si allarga così a macchia d’olio all’interno dell’area genomica ed etno-geografica in cui si è attivato il focolaio, abbassando il grado di virulenza man mano che si allontana dall’epicentro (che poi corrisponde al suo processo di adattamento all’interno del genoma ospitante con vantaggio reciproco), a meno che, attenzione, non incontra l’onda di un altro o più altri focolai. Ed entrando, alla fine, anche nelle aree genomiche limitrofe, soprattutto se presentano un profilo simile anche per il grado di violazione di Estia. Benché il ceppo genomico lombardo non sia identificabile geneticamente in modo certo come quello sardo, perché più eterogeneo, il virus è in condizione di intercettare i marcatori genetici più antichi. Ripeto che la carica virale del virus non dipende solo dalla casualistica mutazionale dello stesso, come vorrebbe il riduzionismo monoculare medico-scientifico, ma anche dal grado di distruzione operata dall’uomo del focolare di Estia, come quello di Gaia (nonna di Estia, l’oikos originario), che ha portato il nostro virus allo spillover, salto evolutivo di specie dall’animale all’uomo. E che il contagio non potrebbe in alcun modo avvenire dall’esterno, per via aerea o per contatto, se dall’interno non fosse avvenuto un sincronico contagio nel livello più profondo e oscuro dell’inconscio collettivo, che Jung ha chiamato “psicoide”, che connette la psiche con la natura, che è sia interna che esterna. In questo caso attraverso l’interconnessione col cosiddetto “lato oscuro del genoma” implicato nei processi epigenetici. Il vero incontro-scontro tra oikos interno (psicoimmunitario) ed oikos esterno (psicoambientale), tra self e non self, avviene qui. Nella sua qualità essenzialmente ermetica e volatile è quindi la psiche che mette in relazione le due case estiane di eredità e ambiente, che costituiscono le sue radici e il suo destino. Micro-goccioline, mascherine e quant’altro non sappiamo quanto contino realmente e lo stesso dicasi del “paziente zero” che in genere non viene mai trovato.

Siamo ora giunti all’ultimo atto. I capi dell’esecutivo italiano, terrorizzati dai virologi e dalle visioni orripilanti di ospedali ridotti a lazzaretti con caterve di morti portati via con i camion dell’esercito, hanno pensato bene di mettere l’intero paese in lockdown (confinamento), con l’imposizione, recitata come un mantra in tutti i telegiornali, di restare a casa… Il tragicomico arriva adesso. Domenica 8 marzo il governo comunica che era stata raggiunta l’intesa sulle misure restrittive e che il decreto #iorestoacasa sarebbe entrato in vigore il giorno dopo. Detto fatto, colpo di bacchetta magica e spariscono quasi all’istante quarantamila persone, lavoratori di tutti i tipi e annessi in fuga dalle operose regioni del Nord Italia, Lombardia in primis, verso il Sud Italia, Sicilia in primis. È stato il più grande esodo volontario di massa di tutta la storia repubblicana. Come si spiega? Semplice, perché la loro vera casa, il loro vero focolare, quello della famiglia, stava lì, non là. E lì Estia avrebbe potuto proteggerli, ben oltre il comune senso di maggior sicurezza indotto dall’allontanarsi fisicamente e più velocemente possibile dal luogo della peste. L’Italia però va sotto shock. Sembra che nessuno se l’aspettasse. I virologi si sono messi le mani ai pochi capelli rimasti, Dio mio, hanno detto in coro, siamo rovinati, è una catastrofe! Se infatti anche solo un 30% di loro sono positivi asintomatici contagianti, l’intera popolazione del Sud Italia è a rischio estinzione, visto che le loro strutture sanitarie, com’è noto, non sono certo un’eccellenza come quelle della Lombardia! Passa una settimana, due per maggior sicurezza, neppure un plissé, non è successo niente. Evviva, hanno esclamato sempre in coro i virologi ringiovaniti di colpo, il lockdown ha funzionato! Già, ma come mai, qualcuno timidamente ha chiesto, lo stesso provvedimento non ha funzionato in Lombardia visto oltretutto che era già partito da molto prima? Qui però mi fermo, perché si attende ancora una risposta convincete.

Sulla base di quanto appena detto, non c’è stato nessuno tsunami epidemico nel Sud Italia perché l’area genomica che la identifica (che pure contiene profili genetici non esattamente identici tra le regioni), oltre a essere geograficamente distante e differenziata dall’area genomica del Nord, contiene una più marcata presenza archetipica di Estia. Recentemente è circolata su Facebook una notizia, che però non ha trovato conferma sui giornali online della Lombardia, che tra i clochard milanesi, che sono dell’ordine di qualche migliaio, non si registra alcun caso grave di contagio. Se la notizia fosse vera, la ragione sta nel fatto che questi umani, pur appartenendo al ceppo genomico lombardo, non hanno minimamente risentito dello scempio di Estia perché in loro la veneranda dea della casa non è archetipicamente presente, non hanno alcun focolare presso cui sedere, e vivono sotto la giurisdizione e protezione divina di Ermes, dio delle strade e dei non-luoghi.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • James Hillman, Figure del mito, Adelphi 2014.
  • Luigi L. Cavalli-Sforza et al, La storia e la geografia dei geni umani, Adelphi 2000.
  • David Quammen, Spillover. L'evoluzione delle pandemie, Adelphi 2017.
  • Francesco Bottaccioli, Epigenetica e psiconeuroendocrinoimmunologia, Edra, 2014.
  • Sergio Benvenuto, Il confine tra Estia ed Ermes, articolo rinvenibile online su Doppiozero.
  • Raveane, A., Aneli, S., Montinaro, F., Capelli, C. (2019). Un ritratto genetico degli italiani. Scienzainrete.
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