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Le parole hanno un potere? – Linguaggio e consapevolezza: la responsabilità comunicazionale delle parole

Il potere delle parole fa sì che dare la giusta attenzione al linguaggio, modificando il nostro vocabolario, si dimostri efficace per ridurre un disagio

Di Gabriella Viscuso

Pubblicato il 17 Giu. 2020

Le parole hanno un potere? Qual è il modo migliore di usare le parole in un percorso di crescita personale? Che cos’è il linguaggio consapevole?

 

In che modo, la risposta a queste domande, dovrebbe interessarci?

Sin da sempre le parole in ogni loro forma hanno reso possibile la concretizzazione simbolica dell’immaginario, l’espressione percettibile dei segni dell’anima, di fantasie individuali e collettive di bene e di male, di ignoto, di paura e di speranza.

Le parole raccontano di noi, delle nostre memorie, dei nostri ricordi, sono uno strumento incredibilmente utile che ci aiuta a capire meglio noi stessi ed il mondo.

Secondo il saggista Igor Sibaldi, le parole hanno prima di tutto il potere di:

  • Fare esistere le cose. Ad esempio, se vi dicessi: – una casa dello stesso colore delle rose – ecco che, un secondo fa, questa casa nella vostra mente non c’era, adesso c’è.
  • La parola però ha un secondo potere limitante, non fa esistere tutto. La parola appartiene ad una lingua, la lingua appartiene ad un popolo e questo popolo ha una storia culturale e linguistica.

Pensiamo alla parola “crisantemo”. Da noi, nella cultura occidentale questa parola fa esistere un fiore associato alla morte, in altri popoli, con altre storie culturali, rappresenta un fiore di vita.

Ogni lingua fa esistere qualcosa e non un qualcos’altro e impone dei limiti.

Adesso, se io vi chiedessi: – Di cosa sa una pesca? –

Lo riuscite ad esprimere? No, vero? Potete provare a descrivere se dolce, amara. Ma il suo sapore? Si può dire solo che una pesca sa di pesca.

Quindi la nostra lingua non ha la capacità di descrivere il sapore che ha una pesca, figuratevi, quindi, quante cose la nostra lingua non è capace di descrivere!

Tu conosci tanti sapori, li hai dentro, ma non puoi farli esistere perché non hai le parole per farlo.

Il linguaggio, quindi, è un modo di costruire immagini per riconoscersi, di amplificare contesti per poter finalmente toccare ciò che in noi sembra sfuggente per renderlo manifesto.

La lingua tenta di descrivere la realtà e si trasforma rapidamente come il contesto temporale in cui viviamo.

La parola descrive qualcosa di me, mi identifica (origini, usi e costumi, influenze, tipo di professione, ecc.), descrive, oltre al mondo di provenienza e appartenenza, anche la mia personalità e la mia identità: per questo una maggiore attenzione al linguaggio che adoperiamo consente di comprendere meglio l’altro e di instaurare relazioni e “conversazioni” consapevoli.

Nello sviluppo evolutivo, da quando cresciamo, ci formiamo delle idee, delle credenze e dei concetti su ogni cosa con cui entriamo in contatto, fino a che da adulto ti ritrovi a dire “io sono fatto così, la penso così, le mamme sono così, le donne sono così, avevano ragione a dire così di tizio, secondo me le cose sono così e basta! E’ come dico io e tu hai torto!”

Questi sono modi di definirci e rappresentano il modo in cui organizziamo, strutturiamo la nostra vita, è ciò che insieme a quello che è scritto sui documenti identificativi viene chiamato identità. Infatti, rappresentano chi crediamo di essere, cosa sappiamo del mondo, i nostri valori, e noi agiamo, ci muoviamo nel mondo e scegliamo in base a queste idee.

Ma ci siamo mai chiesti se queste idee, credenze e concetti sono davvero assoluti?

E come le esprimiamo queste idee? Proprio con le parole, ed il linguaggio.

P.D.Ouspensky, citando Gurdjieff dice:

Il linguaggio è pieno di concetti falsi, di classificazioni false, di associazioni false.  Le persone non si accorgono quanto il loro linguaggio sia soggettivo e quanto le parole che dicono siano diverse, benché impieghino tutte le stesse parole. Non vedono che ognuno parla una lingua sua propria, non comprendendo affatto o solo in modo vago quella degli altri, e non avendo la minima idea del fatto che gli altri parlano sempre in una lingua a loro sconosciuta. Le persone sono assolutamente convinte di avere una lingua comune e di comprendersi reciprocamente, ma, in realtà, questa convinzione non ha il minimo fondamento. Le parole delle quali fanno uso sono adattate ai bisogni della vita pratica; possono in tal modo scambiarsi delle informazioni di carattere pratico, ma non appena passano in un campo un po’ più complesso, si smarriscono e cessano di comprendersi, benché non se ne rendano conto.

Qual è il campo complesso di cui parla Gurdjieff? Per rispondere a questa domanda riprendiamo il potere delle parole di far esistere e non far esistere le cose.

Alla domanda che sapore ha una pesca di solito si tentenna perché si ha una difficolta ad esprimere un qualcosa, un sapore che è ma non esiste a parole.

Il sapore degli eventi che viviamo e gli stati d’animo che sentiamo restano inespressi, nel nostro vocabolario non esistono, ma non per questo non ci sono.

Se pensate che noi costruiamo la vita e ci aggrappiamo solo alle cose che possiamo esprimere a parole, dove va a finire il sentire di quello che viviamo? Non ne permettiamo l’esistenza a parole e quindi non ce ne serviamo e tendiamo a dimenticarlo e rimuoverlo nella nostra vita. E allora come non fai esistere il sapore di una pesca non fai esistere il sentire, il sapore di te stesso e del mondo intersoggettivo. Ed è questo è il campo complesso! La nostra soggettività!

Dietro ogni parola e comunicazione c’è sempre un intento che viene prima.

Quale il vostro intento nel chiedere ad una persona come sta? E quando viene chiesto a voi come rispondete? – Bene, grazie! – ma dentro lo sai solo tu come ti senti, e quando pronunci la parola: bene, senti dentro che il sapore di quel bene stona con la verità.

E allora che senso ha usare parole vuote, mentire e non essere autentici senza rendersi conto che le contraddizioni nel linguaggio e nella coerenza interna sono fattori che hanno conseguenze sul nostro stato di salute psico-fisica? Le contraddizioni producono dissonanze cognitive ed hanno come effetti la separazione della coscienza del sé.

Lucina Landolfi parla di responsabilità energetica comunicazionale, ovvero: ciò che dico crea campo energetico e questo campo energetico coinvolge, anche a insaputa del soggetto in ascolto, un mutamento delle funzioni fisiche, somatiche in senso ampio, nell’interlocutore, modificando ritmo respiratorio e postura. Ad esempio, quando usiamo l’espressione “tu mi togli il fiato”, questo accade davvero. Quando dici: “Tu mi abbatti”, la tua colonna vertebrale si piega. L’espressione, per esempio “mi ha pugnalato alle spalle” non solo non ci porterà a sentire la colonna vertebrale forte e fluida, ma potrebbe, nella sua continua ripetizione, invitare il corpo a rappresentarla con dolori di tipo acuto e pungente!

Allora responsabilmente possiamo decidere di prenderci cura di noi e della nostra salute anche attraverso la consapevolezza delle parole.

Il modo più semplice di cambiare il mondo è scoprire il vero senso delle parole con cui ne parli, ogni parola ha un potere evocativo intrinseco, quindi impariamo a usarle consapevolmente, dosandole e ritmandole nel modo più funzionale.

Possiamo agire per fare in modo che quando alla domanda “come stai?” rispondiamo “bene”, quel bene sia davvero bene, abbia sapore di autentico bene. Ma perché non stiamo bene?

Ci siamo mai chiesti se questo sottofondo che ci fa stare così malinconici e soli, quel senso di vuoto come se ci mancasse sempre qualcosa è una conseguenza del fatto che abbiamo fondato la nostra vita e il nostro mondo senza prendere in considerazione l’aspetto del sapore del sentire la realtà?

Non stiamo bene perché non ci sentiamo più autenticamente e non abbiamo un linguaggio consapevole e comune per esprimere autenticamente i nostri stati emotivi.

Noi non ci forniamo delle informazioni della componente del sentire per valutare la realtà. Questi sono dati necessari per valutare ogni cosa con cui entriamo in contatto. Io ragiono e mi rapporto alle cose, alle persone alle situazioni in base a come le definisco e le definisco con le parole con cui mi posso far capire.

Ma non potendo esprimere il sapore delle cose non le racconterò e non facendole esistere con le parole non porterò nella realtà fisica la mia soggettività! Escludendo il sentire, affronterò la vita in modo razionale e limitante non risolvendo conflitti e traumi che si celano nel campo complesso e non espresso!

Iniziare a dare la giusta attenzione al linguaggio, modificando il nostro vocabolario, si dimostra efficace per ridurre un disagio. Piuttosto che dire: – Mi sento bloccato in un disagio e devo sbloccarmi – , usa la formula: – Questa situazione è da fluidificare.. – userai solo una parola ad alta risonanza che non ispira immobilità, muri, ma movimento attivo e responsabile.

Quando in un percorso di guarigione si chiede ad un soggetto di riportare uno stato di disagio, facendogli cambiare lessico, l’informazione mnemonica non è più mantenuta nel cervello e nel corpo con lo stesso livello di energia e si amplia la percezione limitata di quello stato.

Se cambi le parole, insomma, cambi il modo in cui stai, ed anche il corpo reagisce in modo diverso, mutando repentinamente tono e umore a seconda delle parole ascoltate o lette e delle immagini che esse costruiscono nella mente.

L’autenticità, la coerenza interna e la felicità diventano così una scelta consapevole, sia fisica che linguistica che consente di accorgersi che, attraverso nuove coscienti parole, si può far esistere oltre una casa color delle rose anche il sapore unico e autentico di una pesca.

Tu sei quella pesca!

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • AY Durgunoğlu, B Öney . (1999). A cross-linguistic comparison of phonological awareness and word recognition. Reading and Writing – Springer.
  • De Mauro T. (2003). Guida all'uso delle parole. Parlare e scrivere semplice e preciso per capire e farsi capire; Editori Riuniti.
  • Gabriella Ilse Viscuso. (2018). Percorsi di consapevolezza. La resilience delle parole. In.Edit.
  • Igor Sibaldi. (2009). Vocabolario. Le parole dei mondi più grandi; Anima edizioni.
  • Luciana Landolfi, Paolo Borzacchiello. (2016). Respira come se fossi felice. La via dell'Alf; Minerva Edizioni.
  • P.D. Ouspensky. (1997). La Quarta Via. Discorsi e dialoghi secondo l'insegnamento di G.I. Gurdjieff; Astrolabio Ubaldini editore.
  • Scialanca S. (2001). La comunicazione energetica; I.Fe.N. – Istituto Federico Navarro – Napoli.
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