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Intelligenza artificiale e evoluzionismo darwiniano

Il programma di intelligenza artificiale AutoML-Zero seleziona gli algoritmi capaci di adattarsi meglio all’ambiente grazie a progressive mutazioni

Di Mariateresa Fiocca

Pubblicato il 23 Giu. 2020

Le ultime innovazioni nel campo dell’intelligenza artificiale sono programmi come AutoML-Zero, che permette di far competere fra loro una popolazione di algoritmi generati casualmente e individuare il migliore in ciascun ciclo o iterazione o “fase evolutiva”.

 

L’essere umano occupa un posto rilevante nel ciclo di produzione dell’intelligenza artificiale (“Human-in-the-loop Artificial Intelligence” – HitAI). Ne risulta che l’output è ancora condizionato dalla creatività e dai progressi dei data scientists, nonché inficiato dai loro pregiudizi (Gent, 2020). Tuttavia, nella ricerca di frontiera nell’ambito dell’intelligenza artificiale (IA), il “fattore produttivo uomo” tende a svanire e a essere progressivamente rimpiazzato dalla macchina. L’input uomo, in tale contesto, diventa obsoleto rispetto ad altri fattori produttivi.

Lungo tale direzione, un nuovo promettente campo di applicazione è costituito dalla biologia evoluzionistica di tipo darwiniano: la IA può essere istruita per evolversi da sola, cioè senza l’apporto umano.

La teoria evoluzionistica della selezione naturale, elaborata all’inizio della seconda metà del ‘800 da Charles Darwin, potrebbe così rappresentare un punto di partenza per la realizzazione di IA più avanzate, capaci di evolversi da sole per arrivare a risultati finora mai raggiunti.

In generale, è noto come la costruzione di un algoritmo richieda parecchio tempo. Consideriamo, ad esempio, un tipo di machine learning usato per lo sviluppo di tecniche di guida autonoma. Le reti neurali imitano in maniera elementare la struttura del cervello umano e imparano cosa fare tramite i dati “di allenamento”, rafforzando così le connessioni tra i loro neuroni artificiali. Di regola si procede progettando “sotto-reti” neurali dedicate a compiti specifici – per esempio comprendere la segnaletica stradale – che poi vengono connesse insieme per collaborare evitando – è il caso di dire – incidenti di percorso. Ma la strada è lunga…

Uno scienziato informatico di Google, Quoc V. Le, insieme ad altri ricercatori, ha provato a individuare una strada più rapida ed efficiente per realizzare gli algoritmi. Il programma di IA chiamato AutoML-Zero – con zero “input umani” – è riuscito a replicare decenni di ricerche sulla IA in soli pochi giorni (Gent, 2020). Grazie a meccanismi di variazione, eredità e selezione ispirati all’evoluzione biologica, l’AutoML-Zero di Le è in grado di automigliorarsi, replicandosi di generazione in generazione in versioni sempre più adatte a svolgere un determinato compito che gli è stato assegnato – ad esempio, distinguere un gatto da un camion (Sabato, 2020). Il programma AutoML-Zero seleziona gli algoritmi attraverso un’approssimazione del processo evolutivo in natura. In termini darwiniani, sopravvivono gli algoritmi capaci di adattarsi meglio all’ambiente esterno grazie a progressive mutazioni (“survival of the fittest”). L’ambiente è complesso, incerto, carente di informazioni, evolve nel tempo, è soggetto a shock, è subordinato al complesso delle condizioni geoclimatiche, dipende dall’insieme degli altri esseri con cui ognuno entra in contatto e interagisce. Le mutazioni genetiche hanno messo in condizione gli esseri umani – e più in generale tutte le forme di vita – di sopravvivere a shock come siccità, carestie, malattie e a calamità di varia natura, vale a dire a quanto Darwin chiamava “condizioni di vita”. Un esempio attualissimo è offerto dallo studio (2020) condotto dal Cnr, insieme ad altre istituzioni, e pubblicato su Scienze Advances. Esso mostra come i nostri organismi abbiano evoluto i processi cellulari innati di immunizzazione in grado di “hackerare” il codice genetico del Sars-CoV-2 attraverso un particolare processo noto come “editing” dell’RNA (in chimica esso è l’acronimo dell’acido ribonucleico, un enzima implicato in vari ruoli biologici di codifica, decodifica, regolazione e espressione dei geni. In biologia molecolare, l’editing costituisce un insieme di processi molecolari che danno come risultato una modificazione chimica dell’RNA, adattandolo a nuovi sopravvenuti eventi). Dunque, l’essere vivente cerca di adattarsi ai mutamenti dell’ambiente esterno attraverso un lungo e faticoso processo di “groping”, “trial and errors” che hanno come risultato mutazioni genetiche. Quando l’idea di Darwin viene trasposta nel campo dell’IA, la “fitness” non si applica più all’essere biologico, bensì all’algoritmo.

L’idea è quella di far competere fra loro una popolazione di algoritmi generati casualmente e individuare il migliore in ciscun ciclo o iterazione o “fase evolutiva”.

In particolare, attraverso operazioni matematiche molto semplici, il software inizia creando una popolazione di 100 algoritmi candidati a evolversi. AutoML-Zero li verifica facendo loro compiere attività elementari, come ad esempio riconoscere se una certa immagine corrisponde a quella di un topo o di un camion (Gent, 2020). Tale processo si dipana per cicli, analoghi alle varie fasi del processo evolutivo biologico o, in termini di Teoria dei Giochi, ai vari rounds di un gioco ripetuto. I primi test basati sul riconoscimento di alcune immagini sembrano confermare l’effettivo funzionamento del nuovo sistema.

Per ogni ciclo, il programma AutoML-Zero confronta le prestazioni di questi algoritimi rispetto alla performance di algoritmi progettati a mano e seleziona all’interno del primo gruppo quelli più performanti. Attraverso mutazioni aleatorie (random), il programma realizza delle copie di questi ultimi. I nuovi algoritmi che scaturiscono da tale processo – vale a dire quelli appartenenti alla generazione successiva – vanno ad alimentare la popolazione di partenza, a scapito degli algoritmi più obsoleti di detta popolazione. Tale processo iterativo continua quindi con un nuovo ciclo – proprio come in un processo evolutivo di società – che seguirà il medesimo pattern e con una popolazione che muta continuamente. I programmi di IA migliorano così di generazione in generazione senza istruzioni esterne umane. Alla lunga l’algoritmo autogenerantisi può diventare il migliore disponibile, superando quelli progettati a mano. Tale successione di generazioni evolve quindi verso una soluzione ottima del problema assegnato.

Lo stesso Le ammette che oggi questo approccio si comporta in modo incerto su una serie di tecniche di machine learning classiche. Le soluzioni che egli individua sono semplici rispetto agli algoritmi più avanzati già esistenti, ma il suo studio (Real et al., 2020, presente sull’archivio on line arXiv, che raccoglie gli studi in attesa di approvazione e pubblicazione da parte della comunità scientifica) intende essere una dimostrazione concettuale, prodromica a nuove IA più complesse che possono svilupparsi lungo due direzioni: la prima è quella di focalizzarsi su problemi più piccoli invece che su un intero algoritmo, la seconda è quella di ampliare la batteria di operazioni matematiche e di dedicare più risorse di calcolo per AutoML-Zero.

E’ una direzione che ci interessa molto. E’ la scoperta di qualcosa di davvero fondamentale che richiederebbe all’uomo molto tempo anche solo per immaginarlo”, suggerisce Le. “Il nostro obiettivo finale è quello di sviluppare effettivamente nuovi concetti di apprendimento automatico che nemmeno i ricercatori potrebbero trovare (Gent, 2020).

I potenziali risultati al momento sono difficili da prevedere, ma senz’altro si può affermare che siamo spettatori di rapidi avanzamenti che sollevano riflessioni etiche, filosofiche e antropologiche sempre più pressanti. Si ravvede infatti un trade-off: i progressi sull’“human-in-the-loop”, con la scomparsa dell’uomo nel processo, se possono costituire un indicatore di un guadagno in termini di efficienza della IA, potrebbero sfuggire di mano, surclassando le nostre stesse capacità intellettive e con effetti imprevedibili. E quanto tempo occorrerà per arrivare a tutto ciò? Al di là delle controversie attuali e future su questo tema essenziale, ancora più urgente è la risposta all’interrogativo: se apparisse una IA superumana, sarebbe una buona cosa? Di qui una analisi affascinante dei possibili scenari: una superintelligenza che conviva con gli umani; ovvero che li sostituisca del tutto (Tegmark, 2018). A quali interazioni e dinamiche porterà tale convivenza? Anche in questo caso, attraverso un processo iterativo di adattamento del fattore umano, l’evoluzione darwiniana potrà dare una risposta.

 

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