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“Perchè non, si ma”: l’applicazione del gioco Berniano alla resistenza della critica alle proprie credenze

Si sta diffondendo oggi una certa sfiducia verso il metodo scientifico, l’esperienza personale è ritenuta allo stesso livello dell’analisi scientifica

Di Giovanni Carlo Bruni

Pubblicato il 27 Mag. 2020

L’accademia scientifica sta analizzando in questo periodo la resistenza alla analisi critica nei confronti delle proprie credenze. In questo articolo sono identificate le varie tipologie di bias legate alla resistenza usando come base l’Analisi dei Giochi dello psichiatra Eric Berne.

 

Come indica Francesca Pasinelli nel suo articolo pubblicato sull’Huffpost (2014), l’assenza in quel periodo di persone colpite da malattie infettive come la poliomielite (come si può notare, l’articolo appartiene al periodo storico antecedente alla diffusione del Sars-Covid-2) è un grande insegnamento per quanto riguarda il rapporto da avere con la scienza: infatti, senza di essa, l’Umanità non sarebbe arrivata a questi livelli di conoscenza tecnica e medica. Tuttavia, come è stato indicato sia dalla stampa generale (Bucchi, 2019), che dalla stampa di settore (Villa, 2019) e scientifica (Hamby, Ecker, Bringberg, 2019), in questo decennio si è verificato un declino della fiducia della popolazione occidentale nei confronti della Scienza e del Metodo Scientifico.

Di fatto, è stato sottolineato che in questi anni del ventunesimo secolo, la popolazione occidentale sta assumendo una posizione di sfiducia nei confronti del metodo scientifico, soprattutto quando riguarda l’analisi critica nei confronti delle credenze che portano certezze e sicurezza (Tsipursky, 2018).

Questa resistenza accanita nei confronti del metodo scientifico sta minacciando l’ipotetica morte della conoscenza in materia (“death of expertise”), invero dove l’opinione e l’esperienza personale è ritenuta esser allo stesso livello dell’analisi scientifica (Nichols, 2017). Tale fenomeno di resistenza culturale sta creando preoccupazione nel mondo accademico e sociale, tanto da creare figure di contrattacco come il virologo Roberto Burioni (2020).

Questa reazione al risultato ottenuto dal processo di falsificabilità di Popper (2002) e dal processo empirico, ovvero due delle basi fondamentali del Metodo di Ricerca, può essere analizzata seguendo il gioco del “Perché non….Sì ma” contestualizzato dal medico psichiatra e psicoterapeuta Eric Berne (1919 – 1970). Seguendo ciò che lo psichiatra americano identifica nel suo libro “A Che Gioco Giochiamo?” (1964), manuale considerato esser il caposaldo della analisi transazionale, il “Perché non….sì ma” è un gioco, ovvero un incontro fra due o più persone dove avviene una transazione di significati psicologici, sociali e biologici, attuato dall’attore Bianco (ovvero l’agente) nei confronti dell’attore Nero (ovvero il ricevente) con l’obiettivo di esser rassicurato circa le sue posizioni.

Di fatto, l’attore Bianco polemizza con l’attore Nero circa una situazione, indicando le varie problematiche che gli recano disturbo: tuttavia, mentre il Nero sottopone al Bianco delle soluzioni concrete a queste problematiche, il Bianco le declina in toto, con l’obiettivo di mantenere lo status quo della situazione in cui si trova. In poche parole, l’attore Bianco ha solo l’intenzione di sfogarsi con l’attore Nero circa una serie di situazioni senza però attuare delle soluzioni nei confronti di queste, poiché perderebbe il ruolo di potere che pensa di aver assunto, autoconvincendosi di trovare le proprie credenze confermate a priori, senza tener conto di ciò che propone l’attore Nero.

Questa situazione è assai simile alla resistenza che i vari scettici della Scienza assumono nei confronti della Metodologia Sperimentale: infatti, essi espongono le proprie tesi basate su letture e su esperienze proprie altamente influenzate dalle proprie credenze, annullando così la differenza di esse con la risposta basata su dati empirici e percependo di aver il diritto scientifico di rimanere sulle proprie posizioni.

La visione transazionale berniana di questo fenomeno può essere collegata coerentemente con gli ultimi risultati della ricerca cognitiva. Difatti, seguendo il processo di transazione appena descritto attraverso l’ottica neurocognitiva, l’attore Bianco inizia lo scambio con l’attore Nero già cristallizzato nei confronti delle proprie idee, attuando il “My – Side Bias” (Jarret, 2018) in maniera aprioristica, sottoponendosi così ad un ennesimo bias, il “continued influenced effect” (Willmot, 2019). Alla fine, tutti gli scambi con il soggetto Nero sono annullati dalla credenza auto-illusoria e di difesa che gli altri soggetti siano meno oggettivi e influenzati nel loro percorso di ricerca, attuando così il “bias blind spot” (Warren, 2019).

Come dice Atul Gawande, rifacendosi alle parole di Hubble del 1938, “a scientist has a healthy skepticism, suspended judgement, and disciplined imagination—not only about other people’s ideas but also about his or her own. The scientist has an experimental mind, not a litigious one” (2016).

Tuttavia, sembra tristemente più attuale rifarsi alle parole di Umberto Eco prima che morisse (2015).

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