L’emergenza coronavirus ha inevitabilmente compromesso la pratica con la quale le normali attività psicologiche si pongono nei confronti degli utenti. Che si parli di realtà lavorative, associative, pratiche mediche o ludiche, il distanziamento sociale imposto dalla diffusione del virus e prescritto dalle autorità ha portato alla luce tutti i limiti di una gestione basata sulla vicinanza e sul rapporto umano, gestione particolarmente affine a determinate pratiche psicologiche.
Quando si parla di psicologia, che ci si riferisca alla psicoterapia o a colloqui di supporto psicologico, ci si approccia ad un mondo fondato sul rapporto con il paziente / utente e sull’alleanza terapeutica. Questi aspetti sono fondamentali per la buona riuscita di un qualsivoglia intervento che sia esso di breve o lunga durata. L’ alleanza terapeutica è legata indissolubilmente alla buona pratica psicologica e, a prescindere dai differenti approcci e dalle varie forme di intervento, il distanziamento sociale pare creare un vero e proprio muro tra le parti in gioco.
A fronte di questa condizione e considerando la situazione di estrema difficoltà gli operatori del settore si sono trovati a dover somministrare interventi di psicologia d’emergenza. La richiesta attuale è la seguente: squadre di soccorritori e/o lavoratori del campo sanitario o di pubblica sicurezza o di gestione di protezione civile si trovano sovraccarichi emotivamente e psicologicamente. Il personale è ridotto e la richiesta è molta quindi tali squadre sono impegnate al massimo delle possibilità per far fronte alla pandemia. Alla quotidianità degli interventi di soccorso e aiuto si somma il crescente numero di interventi per Covid19, che per la loro natura innovativa e imprevedibile aumentano sensibilmente la soglia di stress individuale incrementando il rischio per i soccorritori di sviluppare problematiche psicologiche con conseguenze drammatiche per il loro futuro. Come rispondere a tali richieste mantenendo il distanziamento sociale? In questo caso l’unica soluzione è attuare interventi da remoto, utilizzando piattaforme online o tramite telefonata. Nel caso specifico in cui mi sono trovato ad operare la piattaforma online è risultata particolarmente versatile e adattabile al contesto dell’intervento.
Quando si opera in psicologia d’emergenza solitamente non vengono forniti servizi di psicoterapia e terapia a medio o lungo termine, ma si attuano singoli interventi specifici che servono ad abbassare la soglia di stress e aiutano a metabolizzare l’accaduto. Questi interventi solitamente comprendono un incontro con un’utenza massima di 4/5 persone per una durata media di 2 ore e mezzo e servono ad abbassare sensibilmente l’opportunità di sviluppare in futuro episodi di stress acuto o patologie correlate allo stress quali per esempio il DSPT. Chi opera nel campo della psicologia conosce l’importanza di un fattore essenziale: il setting terapeutico. Trovandosi ad operare da remoto si ha il controllo su quasi tutta la procedura e per alcuni aspetti, quali la capacità di dialogo tra psicologo-assistente e la possibilità di condurre l’intervento, il setting a distanza diventa quasi uno strumento sorprendentemente migliorativo, se non essenziale della pratica. Il problema però rimane lo stesso, come gestire a distanza un setting terapeutico casalingo o improvvisato? Abbandoniamo l’idea del safe-place dove discutere senza venire interrotti, senza distrazioni o rumori; l’intero ambiente è sicuro proprio perché controllato nei minimi dettagli dai conduttori, il cui unico scopo è indagare il vissuto dell’utente e aiutarlo in questo difficile momento. Tutto questo scompare e ci si trova improvvisamente ad avere a che fare con le persone nell’intimità della loro abitazione (il più delle volte) o in luoghi pubblici improvvisati (per fortuna più raramente). Questo limita non solo la capacità dei conduttori di svolgere l’intervento ma pone un limite altrettanto rilevante al raggiungimento di quella condizione di safe-place che è requisito basilare per una corretta fruizione di un intervento psicologico da parte degli utenti. Essi si trovano infatti nel salotto di casa, accanto le fotografie di famiglia, oppure in camera da letto, luogo intimo per eccellenza, con la costante minaccia di essere disturbati dal telefono, dai figli o da altri parenti che passeggiano nell’abitazione. Perché non dimentichiamo che, se la maggior parte degli utenti sono operatori costretti al lavoro, in questi giorni di isolamento forzato, molto spesso i loro famigliari invece sono costretti tra le mura domestiche e quindi si moltiplicano le probabilità di essere disturbati anche involontariamente dai coinquilini che condividono volenti o nolenti l’abitazione con la persona sottoposta all’intervento psicologico a distanza.
Come gestire il setting? Quali sono i limiti e/o le possibilità di tale situazione? Il limite più manifesto di questo setting è l’impossibilità da parte dei conduttori di gestire completamente l’ambiente in cui l’intervento viene somministrato, di conseguenza viene perso parte del controllo che solitamente viene attuato al fine di costruire e co-costruire con l’utente un luogo sicuro e privo di distrazioni che permetta di scorrere indisturbati, concentrandosi completamente sugli individui e sull’andamento dell’intervento stesso. Vero, si tratta di un limite importante ma la psicologia deve adattarsi e trovare nuove soluzioni anche a costo di cambiare la sua pratica e di accettare di cedere parte del controllo alla casualità degli eventi. Una possibilità emersa durante questi interventi di tele-psicologia è l’eventualità che la persona riesca a trovarsi maggiormente a suo agio proprio perché tra le mura domestiche. L’eliminazione del setting terapeutico da un certo punto di vista diluisce l’immagine pregiudiziale dell’intervento psicologico che solitamente accompagna il soggetto e lo scoraggia dal partecipare attivamente (o dal non partecipare proprio) all’intervento. Da questo punto di vista quindi si può affermare che le persone si sentono più motivate a partecipare sia in termini numerici che qualitativi. Parlare e discutere a distanza, dalla propria casa, per alcuni è un incentivo alla partecipazione e questo spesso risulta in un sensibile aumento del tempo trascorso durante gli interventi. Questo chiaramente non vale per tutti: chi opera nel campo psicologico sa benissimo che ogni persona reagisce e si comporta in modo diverso sulla base dei propri vissuti e dei costrutti biografici quindi per alcuni un “setting disturbato” o comunque non asettico può creare dei problemi.
Come risolvere in questi casi tale problema? Se è vero che alcune persone si sentono a proprio agio tra le mura domestiche, è vero anche che l’importanza di un luogo neutro e condotto da professionisti trascende dal semplice “sentirsi a proprio agio” e permette di attuare l’intervento in un modo standardizzato (per quanto possibile) ed efficiente. In questo momento, come già detto, è necessario attuare un piano organizzativo che permetta la fruizione di interventi di psicologia d’emergenza al personale che si trova a lavorare quotidianamente nell’emergenza Covid19. Stiamo parlando principalmente di soccorritori e personale sanitario, forze di polizia, forze armate e personale di protezione civile nonché lavoratori di settori specifici (spesso dimenticati) che si trovano ad operare nel settore. Facendo queste persone parte di organizzazioni / istituzioni potrebbe essere interessante riuscire a stabilire un luogo idoneo da parte di tali organizzazioni / istituzioni adibito al setting terapeutico. Tramite il consiglio di esperti sarebbe utile creare una stanza-setting all’interno delle varie strutture sanitarie, governative o associative dove il personale, collegandosi da remoto, possa fruire liberamente del servizio. In questo modo le persone potranno scegliere, anche sulla base della disponibilità personale, quale setting preferiscono. Chi possiede una abitazione grande o tranquilla potrà usufruire del servizio direttamente tra le mura domestiche, chi invece non è in grado di permettersi un setting di questo tipo potrà fare affidamento sulla stanza-setting predisposta dalle autorità / organizzazioni. Per quanto riguarda la pratica psicologica, e non solo, dobbiamo fare i conti con la possibilità che questa emergenza si prolunghi (magari con modalità di restrizione diverse) per un periodo di mesi se non addirittura di anni e sarebbe da irresponsabili evitare di prepararsi per interventi da remoto a lungo termine. Istituire un luogo e adibirlo a setting a distanza credo sia un punto necessario per iniziare a fornire un servizio al personale coinvolto nell’emergenza che sia il più democratico possibile. Sotto le indicazioni dei professionisti del settore, si può arredare in modo semplice e funzionale un safe-place che abiliti la somministrazione di interventi di psicologia d’emergenza, pratica necessaria per permettere al personale impiegato di continuare a lavorare in sicurezza fisica e psicologica, promuovendo al tempo stesso la cura del benessere mentale.