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Anoressia nervosa: disturbo metabolico oltre che psicologico

Secondo un recente studio le anormalità metaboliche presenti nell’anoressia nervosa potrebbero giocare un ruolo fondamentale nel mantenimento del disturbo.

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 29 Ago. 2019

I risultati del recente studio di Watson e colleghi, di cui parlerà il seguente articolo, hanno susicitato un notevole impatto mediatico. Qualche giorno fa la redazione di State of Mind ha pubblicato un altro articolo sull’argomento, in cui l’autore, il Dott. Riccardo Dalle Grave, uno dei maggiori esperti in Italia di Disturbi Alimentari, riporta un’interessante riflessione sui risultati dello studio. 

 

Una nuova definizione e riconcettualizzazione dell’ anoressia nervosa come disturbo ibrido psicologico-metabolico arriva dalla ricerca genetica, attraverso uno studio condotto su larga scala su una popolazione clinica proveniente da tutto il mondo, che ha visto il contributo di più di 100 istituzioni dal Karolinska Institutet svedese fino al Berghofer Queensland Institute for Medical Research australiano, passando anche per alcuni nostri centri clinici italiani di eccellenza.

 

Fino a questo momento la ricerca nell’ambito dell’ anoressia nervosa si è prevalentemente concentrata sui suoi meccanismi e aspetti psicopatologici, in particolare quelli che sembrano condurre gli individui che ne soffrono a smettere di alimentarsi e ad andare alla ricerca del peso “ideale” e della magrezza “perfetta”.

Tuttavia vi sono numerose evidenze tra cui quelle messe in luce da Watson e Bulik (2013) che sottolineano come il concentrarsi prevalentemente sugli aspetti psicologici legati a questo disturbo dell’alimentazione non sia sufficiente alla sua risoluzione; infatti, nonostante i numerosi interventi psicologici e terapeutici, le terapie farmacologiche e alimentari, questi pazienti continuano a presentare nel corso della loro vita sintomi residuali che possono ricondurre gli individui a restringere nuovamente l’alimentazione e l’introito calorico e a ricadere nel circolo vizioso della malattia fino alla pericolosa perdita di peso corporeo.

A parere di Cyntia Bulik, supervisore dello studio insieme a Gerome Breen, l’errore più grave fatto fin qui nella ricerca in questo ambito risiederebbe proprio nell’aver considerato l’ anoressia nervosa meramente un disturbo psicologico senza porre sufficiente attenzione ai suoi aspetti e alle sue variabili genetiche e alle sue sfaccettature mediche-metaboliche per il suo esordio e mantenimento.

Lo studio

Combinando i dati provenienti da quasi 17 mila casi clinici di tutto il mondo, provenienti dall’Anorexia Nervosa Genetics Initiative (ANGI) e dall’Eating Disorders Working Group of the Psychiatric Genomics Consortium (PGC-ED) – per i quali si rimanda ai link sottostanti in bibliografia per ulteriori approfondimenti – confrontati con circa 55 mila controlli, lo studio genetico sopramenzionato, recentemente pubblicato su Nature Genetics, ha indagato le anormalità metaboliche presenti nell’ anoressia nervosa mostrando come queste potrebbero determinare e favorire il mantenimento del disturbo anziché essere solo un effetto conseguente all’inedia autoindotta (Watson, Yilmaz, Bulik et al., 2019).

Tramite analisi genetiche multiple molto raffinate e complesse, la ricerca ha evidenziato un’associazione significativa tra l’ anoressia nervosa e otto loci in specifici geni che a loro volta codificano per la produzione di differenti proteine, rafforzando e completando l’ipotesi, già presente nel precedente studio di Yilmaz e colleghi (2017), della presenza di una caratterizzazione metabolica nell’ anoressia nervosa.

In particolare tale caratterizzazione metabolica è stata rilevata da una robusta sovrapposizione tra i geni apparsi specifici per l’ereditabilità dell’ anoressia nervosa (Hardaway et al., 2015) e alcuni tratti genetici di tipo metabolico legati all’insulinoresistenza, alla glicemia e ai trigliceridi, e di tipo antropometrico che regolano la percentuale di massa grassa nel corpo e la circonferenza addominale, indipendentemente dagli effetti delle variazioni che si riscontravano nel BMI del gruppo clinico; ciò a dimostrazione del fatto che un basso BMI, cioè un indice di massa corporea al di sotto dei range di normalità, da sempre considerato una conseguenza della dispercezione corporea e del desiderio di magrezza caratterizzanti l’ anoressia, possa essere anche il frutto di una disregolazione metabolica a monte.

Secondo gli autori, in questo ultimo dato risiederebbe la ragione per cui in alcuni individui non si verificherebbe un ripristino normale e un mantenimento a lungo termine del peso corporeo nonostante l’interruzione della restrizione alimentare e il ritorno ad un giusto apporto calorico secondo struttura corporea, genere ed età (Watson, Yilmaz, Bulik et al., 2019).

In aggiunta, le analisi genetiche hanno evidenziato anche una forte sovrapposizione tra i geni dell’ anoressia nervosa e quelli associati ad altri disturbi psichiatrici come il disturbo ossessivo-compulsivo, spesso osservato in comorbilità con quello dell’alimentazione, la schizofrenia e il disturbo depressivo maggiore, oltre che un’influenza di queste basi genetiche nell’attività fisica.

Questo spiegherebbe l’iperattività motoria spesso manifestata dagli individui con anoressia nervosa per evitare l’aumento di peso.

In conclusione

Date le forti associazioni tra le sue basi genetiche e alcuni tratti metabolici e antropometrici, i risultati, ottenuti da un campione clinico così ampio e dettagliato, incoraggiano a considerare l’ anoressia nervosa un disturbo ibrido sia di natura metabolica che psicologica, in particolar modo quando ci si ritrova ad avere a che fare con i suoi fattori di rischio e di mantenimento e successivamente quando ci si trova a trattarla clinicamente (Watson, Yilmaz, Bulik et al., 2019).

Le alterazioni metaboliche che si ravvedono in questa tipologia di pazienti infatti non sarebbero soltanto frutto del sottopeso e di un basso indice di massa corporea; pertanto da questo momento in poi esse andranno esaminate e valutate come fattori concorrenti all’esordio e al perpetuarsi nel tempo di questo disturbo multifattoriale.

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