I workshop mattutini, del secondo giorno, presentano argomenti che spaziano all’interno delle nuove applicazioni cliniche e vanno dalla presentazione del gruppo di Studi Cognitivi , guidato dalla Prof.ssa Sassaroli, sulla presentazione del modello Libet, alla presentazione del trattamento del Disturbo Ossessivo Compulsivo, Mindfulness Based Cognitive Oriented, tenuto dal Dott. Didonna.
Dal Congresso Mindfulness, Acceptance, Compassion: nuove dimensioni di relazione
L’analisi del comportamento fa una radiografia alla black box e scandaglia l’inconscio
Tra questa offerta di altissimo livello, abbiamo scelto di seguire il workshop in apparenza più criptico ed ostico, ma dal titolo estremamente interessante: “L’analisi del comportamento fa una radiografia alla black box e scandaglia l’inconscio”. Il workshop è tenuto da giovani ricercatori con la supervisione del Prof.Presti e della Dott.ssa Oppo. Il filo conduttore degli interventi è stata l’esplicazione del modello IRAP.
L’ Implicit Relational Assessment Procedure (IRAP) è un modello che nasce nel 1991 da dei ricercatori (Watt, Keenan, Barnes, & Cairns) che decisero di implementare il paradigma dell’equivalenza dello stimolo (Sidman, 1982) per studiare specifici processi di categorizzazione culturalmente condizionanti, definiti dalla psicologia sociale come Stereotipi.
Il dott. Carnevali, uno dei relatori, prescrive che in una prospettiva di BA (Behavior Analysis), lo scopo dell’IRAP è quello di misurare il grado di sensibilità psicologica (fusione cognitiva) degli individui verbalmente competenti a relazioni verbali apprese e consolidate all’interno della propria comunità di riferimento. L’Irap dovrebbe servire a studiare le risposte derivate o implicite che connotano l’equivalenza di una classe di risposte per un individuo, ossia, le sue regole. La creazione del rapporto tra lo stimolo e il significato racchiude, dunque, le tematiche dell’ IRAP.
Le domande che si pone l’Irap sono molto affascinanti , perché cercano di rispondere a quelli interrogativi a cui la psicologia da sempre si rivolge, ossia, perché scegliamo qualcosa?, quali sono le nostre regole verbali che guidano il nostro comportamento? E’ però interessante osservare come questo approccio cerca di dare le risposte attraverso il laboratorio e l’analisi della costruzione delle cornici relazionali.
Dopo una fase di apprendimento al compito inizia la vera e propria fase sperimentale di raccolta delle risposte derivarte del soggetto. L’IRAP, come molti test che misurano le risposte implicite, come lo IAT, l’Estrinsic Affective Simon Test (EAST; De Houwer, 2003), utilizza i ritardi nelle risposte dei partecipanti per suggerire bias; per esempio ai partecipanti potrebbe essere chiesto di affermare relazioni verbali come magro-positivo-vero e grasso-positivo-vero attraverso blocchi di prova alternati.
Le prime relazioni si pensa siano “coerenti” con le relazioni verbali nella più ampia comunità sociale, e le ultime si pensa siano “incoerenti” con quei percorsi relazionali. La risposta più veloce (minori ritardi nella risposta) per il primo caso sarebbero interpretate come bias implicito.
Il termine “implicito”, usato nella ricerca IRAP non è inteso come una descrizione mentalistica; il termine usato per il tipo di risposta automatica o impulsiva catturata attraverso misure implicite è appunto “breve risposta relazionale immediata”. (BIRRS; Barnes-Homes, Barnes-Holmes, Stewart & Boles, 2010). Il workshop si è concluso con la discussione con i partecipanti che hanno posto diverse domande che spaziavano dai bias percettivi alla difficoltà di trovare gli stimoli giusti atti ad elicitare le risposte implicite.
Sessione Plenaria
La Plenaria della mattina è stata condotta da Carmen Luciano, ricercatrice spagnola di matrice contestualista funzionale e post-comportamentista. Il focus dell’ intervento è stato il tentativo di operazionallizzare il processo della mindfulness. Il suo intervento si è focalizzato sulle funzioni svolte dalle varie componenti della mindfulness.
La Luciano ritiene che la consapevolezza può essere operazionalizzata, in base alla capacità del soggetto, che pratica la mindfulness, di notare e discriminare gli stimoli presenti nel contesto su una cornice relazionale gerarchica. Fare meditazione è una classe di comportamento che contiene vari fattori (diverse reazioni con diverse funzioni). L’aspetto più importante della mindfulness da una prospettiva RFT/ACT , secondo la Luciano, è legata ai processi di defusione e di perspective taking.
Il Perspective taking viene operazionalizzato in base a cornici relazionali di tipo deittico e ieratico. La prospettiva contestuale funzionale vede nella mindfulness una capacità di discriminazione degli stimoli in base a differenti prospettive.
Workshop – Relational Frame Theory nella pratica clinica.
Nel pomeriggio abbiamo partecipato al Workshop RFT nella pratica clinica tenuto da Giovanni Miselli e Matthieu Villatte e giovani clinici che si occupano di applicare i principi della Relational Frame Theory nella pratica clinica. Villatte ha chiarito da subito che La clinica della Relational Frame Theory usa direttamente i principi nella RFT nell’ intervento clinico, e quindi non è una applicazione clinica come l’ACT, ma il processo stesso applicato all’uso del linguaggio in psicoterapia. Egli sostiene che:
1) Quando pensi in principi di Relational Frame Theory di base puoi essere più efficace e più pratico nell’ intervento perché si lavora allo stesso livello del modello.
2) Puoi usare il linguaggio in maniera più precisa e funzionale come ad esempio chiedersi che cosa si possa dire al proprio paziente perché si possa evocare una determinata funzione.
La ricerca sulla Relational Frame Theory
La Relational Frame Theory è un modello che cerca di spiegare la generatività del linguaggio e della cognizione, è molto complesso e allo stesso tempo molto florido in termini di ricerca. Attualmente ci sono più di 200 studi che ne dimostrano l’efficacia e l’esistenza ed è uno dei processi più studiati con 3 linee di ricerche:
a) La prima riguarda come si costruiscono le reti simboliche: solitamente questi studi vengono svolti in laboratorio e riguardano l’apprendimento implicito e contestuale. Si occupano in particolare del processo di trasformazione di funzione dello stimolo che è un effetto indiretto e alla base dell’apprendimento di risposte derivate. Con questo metodo è stato ad esempio dimostrata la fobia dei ragni su base indiretta. (Dymond , Schlund , Roche , De Houwer e Freegard 2012).
b) Il secondo Filone riguarda la formazione di frame gerarchico e frame deittico. Queste linee di ricerca sono studi clinici, ma condotti nei laboratori e riguardano sopratutto lo studio del perspective taking e della metacognizione. Riguardano gli studi, per esempio, condotti da Carmen Luciano, la relatrice della mattina.
c) Il terzo filone di ricerca è basato , invece, sugli interventi nel setting clinico: riguardo lo studio dei processi nei vari modelli operativi.
Dopo l’intervento introduttivo di Miselli e Villatte, il workshop ha ospitato giovani clinici che applicano la Relational Frame Theory tra cui Nicola Lo Savio che ha fatto una miscellanea di interventi, rendendo visibili i processi della RFT nei vari casi e il valore delle terapie esperenziale. Per Losapio è essenziale in terapia ridurre gli sproloqui, coinvolgere e far vedere i processi. Di particolare interesse inoltre, l’intervento di Simone Napolitano che si è occupato dell’uso della RFT da parte del terapeuta. Per Napolitano, nel trattamento del paziente difficile l’uso applicato dei principi della Relational Frame Theory è essenziale per discriminare i processi linguistici che si elicitano nel terapeuta di fronte alle difficoltà del trattamento complesso. Il terapeuta può così essere in grado di rispondere alle sollecitudini del paziente, aiutandolo con l’utilizzo contestuale del linguaggio a fare Traking ed Aumenting dei valori, incrementando, così la flessibilità cognitiva.