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Motivazioni, emozioni e relazione terapeutica – Un seminario con Giovanni Liotti a Palermo

Il Dr. Liotti ha tenuto un seminario sulla relazione tra motivazioni utili alla sopravvivenza, emozioni e relazione terapeutica.

Di Angela Ganci

Pubblicato il 22 Feb. 2017

Motivazioni ed emozioni: un rapporto intrecciato che può armonizzarsi lungo la traiettoria evolutiva tracciata dalle prime esperienze infantili oppure trovare nella relazione terapeutica un’occasione utile per riparare modelli relazionali disfunzionali, conferendo coordinazione e armonia a motivazioni ed emozioni corrispondenti, incrementando autonomia, creatività e la regolazione di emozioni, impulsi e azioni finalizzati a una meta relazionale.

 

La centralità delle motivazioni per la sopravvivenza e l’organizzazione gerarchica

Questo il filo conduttore del seminario tenuto da Gianni Liotti, Psichiatra, Psicoterapeuta e storico socio fondatore della Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC) che fin dall’inizio ha sottolineato come le emozioni debbano essere studiate in rapporto alle motivazioni ovvero alla probabilità, per l’essere umano, di sopravvivenza.

Le emozioni hanno un valore evoluzionistico e perseguono mete adattive. Ecco che l’invidia è un’emozione con valore evoluzionistico perché serve al miglioramento della specie”. Superando la classica visione freudiana della dicotomia istinto di vita-istinto di morte, la lezione si è subito incentrata sulle motivazioni plurime al cambiamento, secondo la teoria multi-motivazionale.

In questa visione i sistemi motivazionali si distinguono in due livelli. A livelli più arcaici troviamo innanzitutto il sistema di difesa, metodo elettivo di sopravvivenza, che determina emozioni di rabbia alla presenza di stimoli minacciosi (sistema di attacco-fuga). A livello superiore alcuni vertebrati, come gli opossum, sono in grado di simulare una falsa morte, una menzogna biologica utile per salvarsi la vita, e si può affermare che ci troviamo di fronte allo stesso meccanismo biologico operante nella depersonalizzazione”.

Sempre a livello arcaico troviamo il sistema predatorio, dove l’aggressività è legata al bisogno di cibo, che spinge all’uccisione. Arriviamo quindi ai sistemi recenti, posseduti dagli esseri umani, in particolare il sistema dell’attaccamento, che si può considerare un secondo sistema di difesa, un suo perfezionamento, poiché il piccolo umano non sa procurarsi il cibo da solo, quindi deve far ricorso alla madre. Ecco perché sosteniamo che il rapporto madre-bambino non è un rapporto d’amore, anche se forse questo potrà deludere qualcuno. Ai livelli recenti appartiene anche il gioco sociale, il sistema della competizione per il rango sociale (aggressività ritualizzata), l’affiliazione al gruppo e la cooperazione tra pari”.

Infine vi sono livelli recenti da un punto di vista evolutivo, in grado di regolare quelli più antichi, eppure più vulnerabili, come ben si osserva nel trauma che fa dissolvere il sistema di regolazione degli impulsi, scatenando tutta una serie di reazioni primitive di difesa e aggressività tipiche degli stati di allarme di fronte a un pericolo minaccioso per la propria incolumità psicofisica.

 

La centralità della relazione terapeutica e del sistema paritario collaborativo

E qui entra direttamente in gioco la relazione terapeutica, nel suo potere di riparazione del trauma e di regolazione dei moduli più bassi (sistema di difesa) attraverso la disciplina della collaborazione tra pari. “La condivisione cooperativa appresa e sperimentata in seduta è la premessa per il potenziamento della capacità di riflettere sulla propria e sull’altrui mente, contrastando il deficit di mentalizzazione tipico degli stati traumatici, permettendo così la regolazione di impulsi ed emozioni” precisa Liotti.

Sulla base dell’analisi dei dialoghi di 267 pazienti e avvalendoci del metodo AIMIT, che consente di inferire le motivazioni interpersonali attive nei parlanti sulla base di quello che dicono, è risultato che solo l’assetto motivazionale di collaborazione paritetica, fondante per un’efficace alleanza di lavoro, è in grado di migliorare la qualità delle relazioni interpersonali in seduta, favorendo il raggiungimento delle mete interpersonali e disattivando il sistema dell’accudimento che determina passività, ostacolando l’autonomia” spiega il Dr. Brasini, Psicologo Psicoterapeuta.

E aggiunge: “Un ulteriore aspetto promosso dalla collaborazione paritetica è costituito dall’organizzazione e coordinazione dei sistemi motivazionali interpersonali. Quando si riconosce l’esistenza di una meta interpersonale dominante è possibile adottare un repertorio comportamentale tipico di un’altra tendenza innata, in maniera intenzionale, al fine di raggiungere più facilmente la meta. Un esempio è quello della madre che deve dar da mangiare a suo figlio (accudimento) e utilizza il gioco dell’aeroplanino (gioco sociale), innescando un circolo virtuoso di interazione tra due sistemi motivazionali”.

Le conclusioni a cui giungono la ricerca e la pratica clinica sembrano confortanti: autonomia, organizzazione, apertura relazionale e autoregolazione emotiva come conquiste possibili, anche a dispetto della stabilità dei modelli operativi interni a partire dalle prime esperienze infantili.

Da Bowlby apprendiamo che i modelli operativi interni, ovvero le rappresentazioni mentali del mondo, di sé, della figura di accudimento e di sé-con-l’altro, non mutano nel tempo. La mancanza di fiducia, la paura, il sospetto, a fronte di un attaccamento insicuro permangono per tutta la vita. Eppure nulla è perso, perché è possibile costruirne di nuovi, attraverso la collaborazione paritetica, e la psicoterapia rappresenta un’occasione privilegiata. Ecco che un paziente borderline non darà il numero di telefono a una ragazza che gli piace perché recupera nel suo modello operativo interno traumatico l’idea di rifiuto e abbandono, e sarà sopraffatto dal conflitto desiderio-paura (disorganizzazione del comportamento per l’attivazione contemporanea di sistemi motivazionali incompatibili, attaccamento e difesa). Al ritorno dalla seduta potrà però visualizzare l’immagine del suo terapeuta di cui si fida e almeno tentare un approccio, sperimentando e incrementando le proprie capacità riflessive. Tentativi faticosi, certamente, perché i modelli infantili vengono attivati in automatico, con una via d’accesso facilitata, mentre ci vuole impegno per attivare quelli nuovi e più adattivi”.

Si riferiamo alla coazione a ripetere di freudiana memoria (come la convinzione di essere sempre rifiutati sulla base delle proprie esperienze precoci infantili) contro la possibilità di sperimentare nuovi modi di sentire e pensare per una vita più appagante, armoniosa e funzionale.

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Angela Ganci
Angela Ganci

Psicologia & Psicoterapeuta, Ricercatrice, Giornalista Pubblicista.

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