Il neurofeedback è una tecnica d’avanguardia che fa interfacciare cervello e computer, usata per il trattamento di vari disordini clinici, come depressione, ansia, dolore cronico, iperattività, schizofrenia ma anche per il potenziamento cognitivo.
Si basa sull’autoregolazione dell’attivazione cerebrale e si ispira ai principi dei sistemi di controllo a feedback, sistemi che trovano applicazione in ambito cibernetico, nell’automazione industriale, nei controlli qualità, nell’ottimizzazione dei processi e via dicendo.
Moses Sokunbi, ricercatore della SISSA di Trieste, ha messo in rassegna la letteratura sui sistemi di controllo a feedback, mostrando come dai “mattoni” rappresentati dai principi di base di questi sistemi si costruisce il neurofeedback.
Questo articolo potrà essere particolarmente utile per tutti quelli che si avvicinano a questa tecnica e ne vogliono comprendere gli aspetti basilari.
Chi lavora nel campo delle neuroscienze e si avvicina al neurofeedback, spesso non ha modo di approfondire la tecnica nel quadro più ampio dei sistemi a feedback e dei suoi fondamenti teorici – spiega Moses Sokunbi, ricercatore della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste – Il rischio è quello di lasciarsi sfuggire potenzialità e applicazioni innovative.
Il neurofeedback
Prima di comprendere come utilizzare i tracciati (fMRI, EEG, ecc) nel neurofeedback è infatti utile comprendere la logica dietro a questi sistemi di controllo, che sono applicati negli ambiti più vari, dalla cibernetica all’elettronica.
L’idea di base è che l’output del sistema diventa parte dell’input – precisa il ricercatore.
Immaginiamo per esempio un sistema che nel cervello controlli i movimenti delle gambe per camminare. Oltre a mandare segnali motori, per rendere davvero efficace la camminata il sistema ha bisogno anche delle informazioni propriocettive sulla posizione delle gambe, informazioni che cambiano durante il movimento. Queste informazioni sono a loro volta un prodotto del segnale motorio, l’output del sistema stesso. In questo modo si forma un flusso continuo di informazione.
Nel caso del neurofeedback tipicamente i pazienti ricevono informazioni sull’attivazione delle proprie aree cerebrali, che possono per esempio essere collegate a un disturbo clinico, come ansia o depressione. Nella versione più innovativa oggi si usa una combinazione di elettroencefalografia, EEG, e risonanza magnetica funzionale, fMRI, in tempo reale, ma la forma più tradizionale di neurofeedback si basa unicamente sui tracciati elettroencefalografici. Grazie al neurofeedback il soggetto pian piano riesce a controllare i propri segnali cerebrali, alleviando così la condizione patologica.
Nel suo lavoro, Sokunbi prende in esame un gran numero di lavori svolti in ambiti diversi (neurofeedback basato sull’EEG o sulla fMRI), esplorando dei sottosistemi di base (feedbck open-loop e closed-loop) del neurofeedback, la cui comprensione è fondamentale per chi inizia a cimentarsi con questa tecnica.
Quando ho iniziato a studiare il neurofeedback ho pensato che mi sarebbe stato utile avere una visione complessiva sull’argomento in special modo sui principi fondanti, per cui mi auguro che il mio lavoro che diventare uno strumento utile anche per altri.
La rassegna è stata pubblicata sulla rivista Magnetic Resonance Imaging.