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La pentola d’oro interiore: la relazione con i genitori nello sviluppo della personalità del bambino

Più un genitore colmerà con emozioni positive la pentola d’oro interiore del figlio, più lo sviluppo della personalità risulterà rafforzato e resiliente

Di Vanessa Romani

Pubblicato il 06 Giu. 2016

Vari sono i contribuiti allo studio del ruolo dei genitori nello sviluppo della personalità del bambino: tra i più rilevanti vi è la teoria dell’attaccamento di Bowlby e la parafrasi di tale teoria, attraverso il concetto di pentola d’oro interiore, ad opera di Baron-Cohen. Non mancherà il riferimento al pioniere delle neuroscienze relazionali, Daniel J. Siegel.

 

Vari sono i contribuiti allo studio del ruolo dei genitori nello sviluppo della personalità del bambino: tra i più rilevanti vi è la teoria dell’attaccamento di Bowlby. Nell’articolo, oltre a Baron-Cohen, il quale ha offerto una parafrasi della teoria dell’attaccamento di Bowlby attraverso il concetto di pentola d’oro interiore, non mancherà il riferimento al pioniere delle neuroscienze relazionali, Daniel J. Siegel, il cui pensiero principale è che «il cervello del bambino utilizza gli stati della mente del genitore […] per cercare di organizzare le sue attività» (Siegel, 2001). I suoi studi rappresentano un ulteriore conferma dell’importanza delle relazioni (in questo caso genitori-figli), nello sviluppo della personalità ma soprattutto dell’identità personale di ogni individuo. Il fine è quello di comprendere quali esperienze interpersonali favoriscano il benessere emotivo e la resilienza psicologica di ognuno.

 

La mente relazionale e il suo ruolo nello sviluppo della personalità

Le relazioni sono ritenute importanti per la costruzione dell’identità individuale. La nostra mente è definita dal citato Siegel, come «il prodotto delle interazioni fra esperienze interpersonali e strutture e funzioni del cervello» (Siegel, 2001). Fornire una ‘visione scientifica’ delle basi interpersonali e neurobiologiche dello sviluppo della mente può:

aiutare i clinici a curare i loro pazienti, mentre per educatori e insegnanti può essere importante comprendere come emozioni e relazioni interpersonali costituiscano aspetti motivazionali fondamentali dell’apprendimento e della memoria […] questi processi interpersonali plasmano lo sviluppo della mente durante l’intero corso della nostra esistenza […]: le interazioni con l’ambiente, e in particolare i rapporti con gli altri, esercitano un’influenza diretta sullo sviluppo delle strutture e delle funzioni celebrali (Siegel, 2001).

I rapporti interpersonali sono dunque importanti per integrare le rappresentazioni delle varie esperienze; in particolar modo le relazioni durante il periodo critico «possono avere un ruolo fondamentale nel plasmare le strutture di base che ci permettono di avere una visione coerente del mondo […]», pertanto, il rapporto genitori-figli, ha ripercussioni sul modo di vedere il mondo e di porsi in relazione con esso (Siegel, 2001).

Considerando che la mente è una mente relazionale, si comprende come:

le nostre esperienze possono […] influenzare […] le connessioni neuronali e l’organizzazione delle attività del nostro cervello, e in questo senso svolgono un ruolo particolarmente importante quelle che si verificano durante i primi anni di vita […] (Siegel, 2001).

È sulla base di questa ‘neurobiologia interpersonale della mente’ che si può affermare che le esperienze che il bambino si trova a vivere durante i primi anni di vita, gli permettono di «sviluppare la capacità di regalare le emozioni, di mettersi in rapporto con gli altri […] e di affrontare il mondo in maniera positiva» (Siegel, 2001), con resilienza (in psicologia, resilienza è la capacità di un individuo di superare un evento traumatico), grazie alla pentola d’oro interiore che gli viene fornita nei primi anni di vita.

Questo avviene grazie alla capacità dell’essere umano di registrare, attraverso varie forme di memoria, tutte le esperienze interpersonali, che comunque esercitano un peso per tutto il corso della nostra vita (Siegel, 2001).

 

 

La teoria dell’attaccamento: caratteri generali

John Bowlby, psicoanalista inglese, negli anni ’80 elabora la teoria dell’attaccamento per spiegare il legame tra madre-figlio: sostiene che il bambino ha una tendenza naturale a sviluppare un legame con la madre a prescindere dal soddisfacimento della fame da parte della stessa (al contrario di Freud). Per Bowlby, infatti, affinché si formi un legame madre-bambino, sono necessari quei segnali sociali che inducono il bambino stesso a ricercare protezione.

Vari studi hanno inoltre dimostrato che «il legame con la madre è il prototipo di altri legami affettivi che l’individuo formerà nel corso della sua vita […] che derivano dal sistema di attaccamento» (Enciclopedia online, Treccani). Secondo Bowlby, nel corso della filogenesi, si sono costituiti vari sistemi motivazionali innati, che regolano le reazioni a varie situazioni (Meini, 2012). La selezione naturale avrebbe poi favorito lo sviluppo di due sistemi complementari tra loro: attaccamento, che ci induce a cercare protezione presso chi riteniamo più forte di noi e accudimento, l’azione corrispondente nell’adulto che vede il figlio ricercare protezione.

Per natura e in modo istintivo, il genitore è spinto a rispondere alle richieste del figlio vulnerabile (Meini, 2012). I genitori hanno così la capacità di ridurre l’impatto che delle sensazioni spiacevoli (paura, ansia) hanno sul bambino; in questo modo, le esperienze ripetitive sono registrate nella memoria implicita, generando dei ‘modelli mentali di attaccamento’ che sviluppano la base sicura per affrontare il mondo (Siegel, 2001).

Si comprende che le relazioni istaurate «hanno effetti specifici sull’organizzazione dei comportamenti e delle funzioni celebrali del bambino» (Siegel, 2001). Questi rapporti di attaccamento aiutano il bambino a organizzare le proprie esperienze e inoltre «hanno effetti diretti sulla maturazione delle attività celebrali che mediano processi mentali fondamentali: memoria, narrativa autobiografica, emozioni, rappresentazioni e stati della mente» (Siegel, 2001). In età adulta questi comportamenti di attaccamento vengono conservati per l’intera esistenza, in particolar modo quando ci si trova a vivere periodi difficili, e delineano lo sviluppo della personalità.

La figura di attaccamento, permette al bambino di creare dei modelli mentali attraverso cui il cervello «impara dal passato e influenza direttamente i comportamenti futuri» (Siegel, 2001) e tali modelli portano allo sviluppo della citata base sicura.

 

 

Strange situation e Adult Attachment Interview

Per studiare le relazioni di attaccamento, ci si basa sull’analisi dei modelli mentali riferiti proprio a queste relazioni, sia nei bambini sia negli adulti, infatti, i modelli mentali dei genitori influenzano l’atteggiamento adottato nei confronti dei loro figli (Siegel, 2001), definiti da Mary Main come ‘stato della mente rispetto all’attaccamento‘ (Main, 1995).

The Strange Situation. -SLIDER- Di Davide Osenda © State of Mind 2016 www.stateofmind.itPer determinare lo stile di attaccamento che caratterizza una specifica coppia adulto-bambino è stato creato un contesto di osservazione: la Strange Situation (Ainsworth et al., 1978), che viene proposta a bambini tra i dodici e i diciotto mesi. Tale contesto vede un genitore che accompagna un bambino in un locale confortevole in cui sono presenti vari giocattoli. Il genitore e il bambino sono poi raggiunti da una persona sconosciuta che invita il bambino a giocare con lui. Il genitore in un primo momento rimane lì a giocare con loro, poi abbandona la stanza lasciando il figlio a giocare con l’altra persona. Dopo circa tre minuti torna, mostrando un atteggiamento affettuoso nei confronti del figlio. «La sequenza abbandono-ricongiungimento si ripete in un contesto più radicale, con il bambino lasciato solo nella stanza» (Meini, 2012). Il tutto viene filmato così che poi si possano analizzare i comportamenti della coppia al momento della separazione (reazione del bimbo quando il genitore se ne va) e reazione al relativo ricongiungimento.

Mary Main, al fine di comprendere quali fattori influenzassero i comportamenti dei genitori nei confronti del proprio figlio, introdusse nel campo di ricerca sull’attaccamento, degli aspetti che non riguardassero esclusivamente lo studio dei comportamenti dei bambini, ma anche l’analisi delle rappresentazioni mentali degli adulti attraverso la Adult Attachment Interview (AAI). Il modus operandi di quest’ultima, consiste nel chiedere ai genitori esaminati di raccontare le proprie esperienze infantili, utilizzando «un tipo di intervista semistrutturata» (Siegel, 2001) per individuare le modalità con cui il genitore narra la sua storia dei primi anni di vita, correlando poi questa, alla classificazione dei comportamenti del figlio registrati durante la Strange Situation. Ciò che emerge da queste ricerche è che sussistono correlazioni con il tipo di rapporto che l’adulto a sua volta instaura con il figlio.

Tendenzialmente, ad esempio, bambini che manifestano un attaccamento sicuro «tendono ad avere genitori che presentano, in base all’Adult Attachment Interview, uno stato della mente rispetto all’attaccamento classificato come ‘sicuro/autonomo’», quindi durante l’intervista, il genitore è in grado di valutare in modo equilibrato sia aspetti positivi sia negativi della propria infanzia, e riflettere sui propri ricordi tranquillamente (Siegel, 2001).

La differenza tra questo e la Strange Situation, è che l’Adult Attachment Interview, «valuta lo stato della mente dell’individuo relativo all’attaccamento in generale, e non rispetto alla relazione specifica con ciascuno dei genitori» (Siegel, 2001).

Tutti questi dati confermano quanto sono importanti per lo sviluppo della personalità le relazioni interpersonali e in particolare quelle nei primi anni di vita, in quanto «pongono le basi fondamentali delle nostre successive interazioni con il mondo […]» (Siegel, 2001).

 

 

Quattro stili di attaccamento

La classificazione dei vari stili di attaccamento dipende, sia dalle istanze che il genitore ha fornito al proprio figlio, nelle prime settimane di vita, sia alle caratteristiche individuali del bambino stesso, questo per ribadire l’importanza di non cadere in determinismi quando si parla di sviluppo della personalità, secondo cui ad un attaccamento insicuro derivi necessariamente lo sviluppo di disturbi mentali, piuttosto esso aumenta il rischio di disfunzioni psicologiche e sociali (Siegel, 2001).

Per dare un quadro generico, ma esaustivo si specifica che il bambino può avere diversi stili di attaccamento a seconda dell’adulto con cui si trova (Meini, 2012).

  1. Attaccamento evitante, di tipo A: in questo tipo di attaccamento il bambino non si oppone alla partenza del genitore, difatti continua a giocare con l’adulto con cui è stato lasciato. Al ritorno del genitore, il figlio lo accoglie con un certo distacco, evitandone ogni contatto fisico. Ainsworth e i suoi collaboratori hanno osservato che nel corso del primo anno di vita di questi bambini, i genitori (definiti dall’Adult Attachment Interview come ‘distanzianti’) adottarono nei loro confronti dei comportamenti di trascuratezza, non rispondendo in maniera adeguata ai loro bisogni (Siegel, 2001). Il bambino si difende dalla scarsa protezione elaborando varie strategie di difesa, che in futuro creeranno delle narrazioni idealizzanti della propria relazione con la figura di attaccamento, valorizzandone la capacità di insegnargli l’autonomia e mettendo da parte l’aspetto anaffettivo (Meini, 2012).
  2. Attaccamento sicuro, di tipo B: qui il bambino quando è separato dal genitore protesta o è triste, ma si calma non appena vede il genitore tornare, ricambiandone le dimostrazioni di affetto. Questa è una modalità ideale di attaccamento (Meini, 2012). In questo caso il genitore è attento ai bisogni del bambino, ha piacere di averlo con sé, ma al contempo gli concede la giusta autonomia per esplorare il mondo sentendosi protetto, motivo che spinge il bambino alla tristezza, se separato dal genitore, ma a trovare conforto al suo ritorno.
  3. Attaccamento resistente-ambivalente, di tipo C: qui nella Strange Situation è emerso che il bambino, quando il genitore si allontana, protesta, ma al suo ritorno comunque non trova consolazione, manifestando spesso resistenza al ricongiungimento. È un attaccamento resistente poiché il bambino resiste alle manifestazioni di affetto del genitore, ed è un attaccamento ambivalente perché in realtà ricerca il contatto. Ainsworth e i suoi collaboratori anche in questo caso, osservando il primo anno di vita del bambino, hanno riscontrato che i genitori erano sì disponibili, ma in maniera discontinua e incoerente; la conseguenza è che il bambino rimane confuso e non riesce a prevedere se le sue esigenze vengano capite dal genitore (Siegel, 2001). Dall’Adult Attachment Interview questi adulti sono classificati come ‘preoccupati’ e sono caratterizzati da un’intrusione del passato che interferisce significantemente nel modo di rapportarsi al presente.
  4. Attaccamento disorganizzato, di tipo D: è la forma più pericolosa poiché la caratteristica principale di questo attaccamento è la totale assenza di qualsiasi organizzazione coerente (Meini, 2012). In questo caso, alla separazione con l’adulto, il bambino è triste, al suo ritorno non lo guarda nemmeno negli occhi, come se fosse in trance. I bambini caratterizzati da questo attaccamento mancano di una strategia che sia coerente in relazione con il genitore, e questa incoerenza può manifestarsi attraverso momenti di disorganizzazione del comportamento. In questo caso l’adulto a volte riesce a essere accudente, ma spesso rimane intrappolato nei suoi problemi tanto da apparire sofferente, arrivando addirittura a richiedere al figlio di essere accudito (Meini, 2012). In questa categoria rientrano quegli adulti che nell’Adult Attachment Interview manifestano segni di disorganizzazione quando sono spinti a parlare di esperienze traumatiche (Siegel, 2001); «cercare di aiutare questi genitori a riconoscere e ad affrontare la presenza di esperienze traumatiche non risolte diventa quindi cruciale non solo per loro, ma anche per le generazioni future» (Siegel, 2001).

Concludendo la descrizioni degli stili di attaccamento, si ricorda come lo sviluppo, e con esso lo sviluppo della personalità, sia un processo che dura tutta la vita, per questa ragione si può sempre cambiare, nonostante esperienze precoci non ottimali; in tal senso è importante stabilire delle relazioni che promuovano il superamento, ad esempio, di uno stato insicuro rispetto all’attaccamento.

 

 

Marcatura espressiva e sviluppo della personalità

Attraverso l’analisi dei vari stili di attaccamento è stata delineata l’importanza del ruolo dei genitori nello sviluppo della personalità del bambino, affinché cresca protetto da disfunzioni dell’identità. La relazione genitori-figli è la prima che il bambino ha nella sua vita e il loro ruolo è utile, per la costruzione di un’impalcatura affettiva. A tal proposito si descrive ora in cosa consista la cosiddetta marcatura espressiva da parte dei genitori nei primi anni di vita del bambino. La marcatura è «una modalità di interazione tipica della coppia adulto-bambino, onnipresente in diverse modalità espressive e ludiche» (Meini, 2012), e può essere di vari tipi: pertinente, incongrua, assente.

In altri termini: la marcatura è l’espressione che il genitore offre come risposta a una specifica emozione rappresentata dal figlio. Se ad esempio il figlio è triste, il genitore sarà spinto a imitare il bambino in quell’emozione di tristezza, ma attraverso delle espressioni che saranno ‘marcate’. Il bambino, che per natura sa cogliere gli indici di finzione, comprenderà che il genitore non è, nel caso scelto come esempio, realmente triste, ma che semplicemente lo sta imitando. Attraverso il riconoscimento della marcatura espressiva, il bambino può arrivare allo sdoppiamento referenziale: capisce cioè, che l’espressione marcata non si riferisce all’emozione della madre e che il sentimento di tristezza appartiene a lui stesso.

 

 

L’importanza della pentola d’oro interiore nello sviluppo della personalità

Lo psicologo britannico Baron-Cohen nel suo saggio ‘La Scienza del Male. L’empatia e le origini della crudeltà’ (2012) riprende la teoria dell’attaccamento di Bowlby per evidenziare come il bambino faccia utilizzo del suo tutore come una base sicura (Baron-Cohen, 2012) da cui partire alla scoperta del mondo con la consapevolezza di poter tornare per un rifornimento affettivo. Dunque: «[…] l’affetto di chi se ne prende cura aiuta il bambino a gestire la propria ansia e a sviluppare la fiducia in se stesso e nella sicurezza del rapporto» (Baron-Cohen, 2012).

Questo studioso offre una parafrasi della teoria sopracitata. Leggendo direttamente le sue parole:

La mia parafrasi della teoria di Bowlby è questa: ciò che dà al bambino chi se ne prende cura in quei primi anni critici è come ‘una pentola d’oro interiore’. L’idea […] è che ciò che un genitore può dare al figlio colmandolo di emozioni positive è un dono più prezioso di qualsiasi cosa materiale […] è qualcosa che il bambino può portare con sé tutta la vita […] è ciò che conferisce all’individuo la forza di affrontare quelle sfide, la capacità di riprendersi dalle avversità, la capacità di mostrare di soffrire e gioire nell’intimo con gli altri e nelle relazioni con gli altri.

Si comprende facilmente come il discorso precedente circa la teoria dell’attaccamento si colleghi alla pentola d’oro interiore: più un genitore promuoverà un attaccamento sicuro e più colma sarà questa pentola d’oro interiore, che in seguito rafforzerà lo sviluppo della personalità e la resilienza del proprio figlio.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • AA.VV. Enciclopedia online, Treccani, voce “teoria dell’attaccamento”, consultato il 12 aprile 2016.
  • Ainsworth M. D., Patterns of Attachment: A Psychological Study of the Strange Situation, Lawrence Erlbaum Associates, Hillsdale.
  • Baron-Cohen S. La Scienza del Male. L’empatia e le origini della crudeltà, Raffaello Cortina Editore, 2012, pp. 49, 60.
  • Main M. (1995), Attachment: Overview, with implications for clinical work. In: Goldberg S., Muir R., Kerr J., (a cura di) Attachment Theory: Social, Developmental, and Clinical Perspectives. Analytic Press, Hillsdale.
  • Meini C, Fuori di testa. Le basi sociali dell’io. Mondadori, 2012, pp. 70, 73-77, 85, 104, 118, 120.
  • Siegel J. D., La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello Cortina Editore, 2001, p. IX-X, 3, 13, 20-21, 69-74, 79, 83, 86, 92-95, 102-103, 108-112.
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