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Il dolore silenzioso dell’aborto e la legge 194

L' interruzione volontaria di gravidanza genera nelle donne che devono effettuare una scelta ansie, pensieri ambivalenti e sensi di colpa. 

Di Maria Sansone

Pubblicato il 24 Mag. 2016

Il pronunciamento del Consiglio d’Europa mette in luce le notevoli difficoltà che le donne italiane incontrano nell’accedere ai servizi per l’ interruzione volontaria di gravidanza. La Legge 194 è entrata in vigore il 22 Maggio del 1978 e, da quasi quarant’anni, consente alle donne di praticare legalmente l’aborto.

 

Cosa prevede la Legge 194?

Una donna può effettuare l’ interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni o al massimo entro la 22esima/24esima settimana nel caso in cui si tratti di aborto terapeutico (in caso di pericolo per la salute fisica o psichica della donna e del feto).

In che modo può farlo?

La donna può rivolgersi ad un consultorio, ad una struttura socio-sanitaria riconosciuta oppure ad un medico di fiducia che, a seguito dei dovuti accertamenti, fornirà un certificato che permette di accedere alle sedi autorizzate a praticare l’ interruzione volontaria di gravidanza. Il medico rilascerà un certificato e, come previsto dalla legge, inviterà ad un periodo di riflessione non inferiore ai 7 giorni prima di accedere alle strutture autorizzate all’intervento (sia farmacologico che chirurgico). Ciascuna donna può decidere fino all’ingresso in sala chirurgica o un istante prima di assumere la RU-486, di rivedere la propria scelta.

 

Obiezione di coscienza in Italia

I dati forniti dal Ministero della Salute stimano la percentuale dei medici obiettori di coscienza intorno al 70% (fino al 90% in alcune regioni di Italia). Considerando che all’estero l’obiezione viene definita “Refusal of care”, ovvero, rifiuto di prestare cure mediche, il panorama italiano si presenta in modo diverso. La scelta personale di un medico di non praticare un’ interruzione volontaria di gravidanza per ragioni di coscienza è un diritto che può essere legittimamente esercitato. Il problema non si pone sulla legittimità dell’obiezione di coscienza ma sulla reale possibilità di esercitare un diritto tutelato dalla legge 194, così come sottolineato dalla Dott.ssa Lisa Canitano che aiuta donne provenienti da tutta Italia. Il diritto di obiezione di coscienza di un medico vale quanto quello di una donna che ha il diritto di abortire. Il problema non è chi ha più diritto ma di rendere possibile a tutti, donne e medici, di fare la propria scelta.
Anche quando un aborto è una scelta fatta con “leggerezza” è giusto che una ragazza/donna possa farlo nella totale sicurezza di un ospedale.

 

Psicologia di un’ interruzione volontaria di gravidanza

Il prima

Quando una donna scopre di essere incinta senza averlo programmato può vivere un momento di shock che mette in discussione i propri piani di vita. Ci saranno donne che nonostante un iniziale momento di confusione accoglieranno la gravidanza e ci saranno donne che, invece, non si sentiranno di portarla avanti.
Per quest’ultime, parlare di aborto e dei sentimenti dolorosi che accompagnano questa scelta è spesso difficile. Si evidenzia il timore di essere giudicate, di non essere capite o di essere spinte al ripensamento. Questi timori portano a non confidarsi con nessuno, spesso escludendo anche il compagno, pur di non essere influenzate da ciò che l’altro pensa.

Nonostante ci sia una legge che ne sancisca il diritto, molte donne vivono l’ interruzione volontaria di gravidanza come qualcosa da nascondere, di cui vergognarsi. La gravidanza non desiderata può avere alle spalle diverse storie: può arrivare per il fallimento di un metodo contraccettivo, può arrivare da una violenza, può arrivare da un progetto con un partner che se ne va, può arrivare da rapporti non protetti, ecc. Qualunque sia il motivo e la storia che una donna porta con sé, quel periodo di vita sarà profondamente delicato.

Dopo un primo momento di shock, le donne riferiscono di provare molta ansia coerente all’importanza della posta in gioco: diventare o non diventare madre. Nel periodo che intercorre tra il test positivo e la decisione da prendere si alternano nella mente le due opzioni percorribili (proseguire la gravidanza oppure abortire) accompagnate da un’intensa ansia. Nei panni di quelle donne che si trovano a vivere questo dilemma entrambe le opzioni presentano delle tesi validissime. Il dono della vita da un lato e il desiderio di diventare madri rappresentano una spinta biologica e un’aspettativa socialmente condivisa che fanno da contrappeso alle difficoltà che si prefigurano in quel momento nella testa di una donna. Le criticità legate ad una gravidanza non desiderata possono essere molto personali e legate allo specifico momento di vita. Ci sono quelle ragazze/donne che non si sentono adeguate al ruolo di mamma, alcune si reputano troppo giovani, ci sono quelle che non vogliono far nascere un bambino in un contesto di privazione (sia questa economica o affettiva), ci sono quelle che non si sentono pronte, ci sono quelle che vedono l’idea di cambiare vita come un peso insostenibile, ecc. Ci sono donne che poiché nutrono un dubbio sul loro desiderio di maternità credono che non potranno mai essere delle bravi madri “una donna deve essere felice per una gravidanza”.

Quando una donna sceglie l’ interruzione volontaria di gravidanza spesso vive quella scelta come qualcosa da “lasciarsi dietro le spalle il prima possibile” e l’obiettivo è resistere fino al giorno dell’intervento. La latenza tra la scelta e la data dell’intervento (in genere 2 settimane) costituisce fonte di disagio poiché la decisione mai facile, spesso sofferta, procrastina la realizzazione, “vivendo” una gravidanza che si è deciso di non portare avanti. L’ansia è legata a due aspetti principalmente: da una parte si prefigura l’attesa dell’intervento (“un tempo che non passa mai”) e dall’altra il dubbio di fare la scelta giusta (“e se poi me ne pento?”).

Anche quando la decisione è presa consapevolmente, sapendo che l’aborto è la miglior scelta che possa fare, la donna vive un periodo emotivamente intenso, il senso di responsabilità di non dare la vita è un fardello pesante da sostenere soprattutto se sommato ai sintomi che spesso accompagnano la gravidanza. Chi sceglie l’aborto compie un passo che, tuttavia, per molte donne è il primo passaggio di una elaborazione che può essere molto difficile e dolorosa.

 

Il dopo

In seguito all’ interruzione volontaria di gravidanza le donne vivono un primo momento di sollievo. Tuttavia, per quanto le motivazioni che hanno portato ad interrompere la gravidanza siano percepite come valide e ragionate, emergono sentimenti dolorosi che non sono facili da affrontare. Talvolta assistiamo ad una fase di negazione nella quale la donna vive la propria vita come se quell’evento non fosse accaduto. In certi casi assistiamo alla comparsa di una sintomatologia di vario genere che manifesta la presenza di una sofferenza emotiva. Qualunque sia il modo di affrontare l’ interruzione volontaria di gravidanza occorre accogliere le emozioni ed i sentimenti che emergono perché ciascuna donna ha bisogno di integrare quell’esperienza nella propria storia di vita, nel complesso bagaglio di esperienze che la definiscono. I tempi e i modi per elaborare questa esperienza sono assolutamente diversi, per quanto diverse sono le donne che la vivono, tuttavia un percorso di psicoterapia può favorire questa elaborazione.

Il senso di colpa è un’emozione che viene spesso riferita in seguito all’aborto. Questa emozione può nascere dal non sopportare la responsabilità di una scelta così importante perché ci si sente egoiste, oppure si può provare una profonda tristezza per non essersi date una chance. Il senso di responsabilità relativo alla propria scelta è una variabile in gioco molto importante su cui lavorare per integrare quel pezzetto nella propria storia. Se in quello specifico momento di vita la donna sceglie di interrompere la gravidanza ci saranno stati dei motivi che l’hanno portata a fare quella scelta. In terapia si lavora proprio sul riconoscere, in modo non giudicante, quali sono stati i sentimenti ed i pensieri che hanno contraddistinto quella fase della vita per comprendere il senso della scelta fatta.

Può accadere che dopo l’ interruzione volontaria di gravidanza la donna riconosca che la paura di non sentirsi adeguate al ruolo di madre abbia portato a credere di non aver altra possibilità se non quella di abortire e che, in seguito all’ interruzione volontaria di gravidanza, percepisca come meno catastrofica la possibilità di diventare madre. Questa sensazione può essere molto destabilizzante perché non è possibile tornare a quel momento in cui tutte le strade sono aperte. Tuttavia, riconoscere in un momento successivo, meno attivato dall’ansia, che sarebbe stato possibile prefigurarsi una maternità non modifica l’assunto di base: non esistono scelte giuste in assoluto, ma scelte che si fanno in un momento particolare della propria vita, dettate da quelle che sono le esigenze e le circostanze che definiscono quello specifico momento (Pattis Zoja E., 2013). Se la stessa gravidanza si fosse presentata in un altro periodo, con un altro partner, ecc non possiamo dire con assoluta certezza che la donna avrebbe abortito o, viceversa, portato a termine la gravidanza. Pertanto sarà indispensabile accettare che la decisione presa è stata quella più giusta, quella più accettabile, o la cosa migliore che è riuscita a fare in quello specifico momento.

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