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Lo schermo empatico, la simulazione incarnata al cinema. Cinema e neuroscienze

Nel libro viene descritta la simulazione incarnata, intesa come meccanismo funzionale del cervello che consente di comprendere il senso delle azioni altrui.

Di Giovanni Coppolino Billé

Pubblicato il 01 Mar. 2016

Aggiornato il 04 Ott. 2019 14:16

Lo scopo principale di questo libro, scritto a quattro mani da uno scienziato di fama internazionale e da un teorico del cinema, è di descrivere la simulazione incarnata (embodied simulation), un meccanismo funzionale del nostro cervello che ci consente di comprendere il senso del comportamento motorio altrui riutilizzando i nostri stessi stati o processi mentali.

 

In questo modo riusciamo a giustificare nello stesso tempo una teoria dell’intersoggettività e la capacità di ricezione di un film, in quanto si fondano entrambe sugli stessi meccanismi percettivi e neurofisiologici. Questa tesi si collega strettamente alla scoperta dei neuroni specchio nel cervello del macaco prima e dell’uomo poi, che ha permesso di declinare l’intersoggettività come intercorporeità.

Questo significa che comprendiamo le azioni e le esperienze altrui in quanto ne condividiamo la natura corporea e la rappresentazione neurale corporea sottostante. Pertanto si può parlare di cognizione incarnata (embodied cognition) in quanto stati e processi mentali sono rappresentati in un formato corporeo.

Il corpo è alla base della consapevolezza pre-riflessiva di sé e degli altri e il punto di partenza di ogni forma di cognizione esplicita e linguisticamente mediata degli oggetti stessi. L’utilizzo del brain imaging (tramite tecniche come l’elettroencefalografia ad alta densità, la magnetoencefalografia e la Stimolazione Magnetica Transcranica che si affiancano all’fMRI), gli studi sui deficit conseguenti a lesioni cerebrali studiati dalla neuropsicologia clinica e la registrazione dell’attività di singoli neuroni in modelli animali consentono oggi di rivedere il sistema motorio del lobo frontale del cervello, diviso originariamente in tre aree: l’area motoria primaria (F1), l’area 6 di Brodmann e il lobo prefrontale. Oggi l’area 6 è stata suddivisa in diverse aree distinte e si è scoperto inoltre che il sistema motorio non produce solo movimenti ma soprattutto atti motori, cioè movimenti dotati di uno scopo, come ad esempio afferrare un oggetto.

 

Simulazione incarnata (embodied simulation)

Le ricerche sperimentali sulla simulazione incarnata riguardano innanzitutto lo spazio peripersonale (come si può vedere dall’indagine dei neuroni dell’area premotoria F4), che si basa sull’integrazione di informazioni visive, tattili, uditive e propriocettive, ma è anche di natura motoria e centrato sul corpo. La scoperta dei neuroni canonici nell’area premotoria F5 dei macachi ha dimostrato che il sistema motorio si attiva anche quando non ci muoviamo: vedere l’oggetto significa simulare automaticamente cosa faremmo con quell’oggetto. All’interno di questa stessa area sono stati individuati i neuroni specchio, che si attivano sia quando si esegue un atto motorio come afferrare un oggetto o produrre gesti comunicativi con la bocca, sia quando si osserva un altro individuo compiere lo stesso atto o gesto.

Questo vuol dire che vedere un’azione significa anche simularla nel proprio sistema motorio. Con i neuroni specchio la simulazione incarnata coinvolge la sfera dell’intersoggettività, compresa quella che emerge nell’atto di vedere un film, ma anche nel sentirne i rumori. Lesioni neurologiche nelle aree premotorie, infatti, inibiscono il riconoscimento dell’azione altrui prodotta con la parte corporea lesa.

Pertanto originariamente l’intersoggettività si costituisce come intercorporeità e quindi il sé è innanzitutto fisico e si origina dalla possibilità di interagire con l’altro. Non a caso il meccanismo di simulazione è particolarmente efficace con la mimica facciale, la cui imitazione però non significa condividere necessariamente le emozioni che si stanno imitando.

Secondo l’ipotesi della simulazione incarnata, la stessa simulazione motoria nell’imitare azioni o gesti compiuti da altri nel cervello del macaco e dell’uomo spiega anche l’immedesimazione dello spettatore con quanto visto sullo schermo. In altri termini, l’esperienza filmica si può spiegare a partire da forme di embodiment generate dalle tecniche cinematografiche. Il tema cinestesico del resto era stato già anticipato da importanti teorici del cinema e filosofi citati puntualmente nel libro, da Merleau-Ponty a Deleuze, da Benjamin a Morin, i quali però non si sono limitati a questo solo aspetto, come mi sembra che facciano gli autori nel libro.

 

L’azione cinematografica e la simulazione incarnata

La tesi qui sostenuta è che i diversi tipi di movimento di azioni ripresi dalla macchina da presa sono in stretta relazione fisica con gli spettatori che li osservano grazie ai meccanismi di simulazione incarnata prodotti dall’attivazione dei neuroni specchio. Questi neuroni motori che si trovano tra le aree frontali e parietali posteriori del cervello si attivano indifferentemente durante l’esecuzione oppure l’osservazione di azioni e movimenti, permettendo così la comprensione delle intenzioni motorie del comportamento osservato negli altri. A supporto di ciò sono stati effettuati diversi esperimenti (riportati puntualmente nel libro) mediante lo studio elettroencefalografico (EEG) ad alta densità del cervello degli spettatori.

Il miglior risultato in termini di relazione tra il coinvolgimento motorio dello spettatore e i movimenti di macchina si ottengono utilizzando la Steadicam, come in Shining (1980) di Stanley Kubrick.

(The Shining -1980- S. Kubrick. Sequenza ripresa con la steadycam)

 

Il primo piano invece focalizza l’attenzione dello spettatore sulle sensazioni tattili, cioè volti, mani, paesaggi, oggetti prodotti dalla mano umana. In altri termini, in base alla tesi principale del libro, siamo in grado di simulare le esperienze tattili altrui non soltanto con il sistema visivo, ma anche con quello tattile e motorio. La modalità sensoriale del tatto, che si sviluppa prima degli altri sensi, si trova nell’area somatosensoriale primaria, nota anche come area SI, che è composta a sua volta dalle aree di Brodmann 3a, 3b, 1 e 2, a cui bisogna aggiungere la seconda area somatosensoriale, SII, strettamente collegata alle altre aree sensoriali.

Le neuroscienze cognitive:

[blockquote style=”1″]consentono di formulare un nuovo modello di percezione in cui azione, percezione e cognizione sono strettamente integrate, e in cui l’integrazione multimodale, modellata sull’esperienza corporea che facciamo del mondo, informa il modo in cui il nostro cervello attraverso il corpo mappa il nostro essere nel mondo (p.218).[/blockquote]

Gli studi sul cervello hanno mostrato l’integrazione tra le diverse modalità sensoriali, per cui le aree visive rispondono anche a stimoli tattili e acustici, le aree somatosensoriali e le aree acustiche rispondono nello stesso tempo a stimoli visivi, così come le aree motorie rispondono anche a stimoli sensoriali. A livello neurale è dunque necessaria la multimodalità per conoscere il mondo. Sono soprattutto gli studi fMRI a dimostrare che le stesse aree cerebrali che di solito si attivano quando esperiamo in prima persona delle sensazioni tattili, sono coinvolte allo stesso modo come simulazione incarnata quando vediamo toccare le parti corporee altrui.

A supporto di questa ipotesi gli autori analizzano in modo dettagliato sequenze tratte da film come Notorious (1946) di Alfred Hitchcock (a cui è dedicata la copertina del libro), Una donna nel lago (1947) di Robert Montgomery, La fuga (1947) di Delmer Daves, La scala a chiocciola (1946) di Robert Siodmak e, ancora, La palla n.13 (1924) di Buster Keaton, Una donna sposata (1964) di Jean-Luc Godard, Il silenzio degli innocenti (1991) di Jonathan Demme, Shining (1980) di Stanley Kubrick, l’incipit di Persona (1966) di Ingmar Bergman (altri esempi più recenti sono l’analisi di frammenti tratti da La caduta della casa Usher (1980), Possibilità di dialogo (1982) e Buio-luce-buio (1989) di Jan Švankmajer e Toy Story (1995) di John Lasseter).

L’analisi delle sequenze indubbiamente prova la presenza del meccanismo della simulazione incarnata, ma questo non comporta necessariamente la condivisione della narrazione e dei sentimenti suscitata dai meccanismi di proiezione e identificazione con i personaggi di cui ha parlato il pur citato Morin. Sarebbe stato più coerente dimostrare l’esperienza visiva e tattile delle immagini cinematografiche rifacendosi al cinema muto delle origini (non andavano bene le comiche di Charlot?), in cui era più accentuato il comportamento motorio dei personaggi e quindi la possibilità di dimostrare che noi simuliamo con il nostro corpo le azioni che vediamo in quanto abbiamo soprattutto reazioni emotive.

In realtà lo scopo scientifico del libro mi sembra troppo ambizioso: si vuole prendere sul serio il cinema subordinando le sue tecniche alla simulazione incarnata. Mettendo completamente da parte il linguaggio narrativo del film, la sua capacità di suscitare sentimenti e riflessioni in quanto opera d’arte, sembra che la visione cinematografica sia come giocare alla Playstation. Infatti la domanda cruciale, che gli autori non si pongono, è: noi siamo attratti come spettatori da un film soltanto per il movimento delle azioni che imitiamo corporalmente?

In altri termini, la simulazione incarnata non è soltanto il punto di partenza di una serie di comportamenti che la trascendono e che non sono motori, anche se dipendono da questi? La mancata consapevolezza di ciò è, a mio avviso, il limite della teoria dei neuroni specchio (la cui funzione rimane imprescindibile): l’attivazione di questi determina il meccanismo di simulazione di ciò che appare, non di ciò che si sente. Imitiamo il pianto e il sorriso ma non condividiamo, se non per brevi istanti, il dolore e la gioia di un altro. Per poterlo fare è indispensabile relazionarci con l’altro, conoscerlo, metterci al posto di, così come è necessario, per immedesimarci con i personaggi di un film, conoscerne la storia, il carattere, quello che provano interiormente. I neuroni specchio, in altri termini, dimenticano la psicologia e la filosofia, così come il cinema, se subordinato soltanto alla percezione visiva e tattile delle immagini in movimento, perde la propria anima.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • V. Gallese, M.Guerra. (2015). Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, Raffaello Cortina, Milano.
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