Non è facile paragonare il digiuno delle sante del medioevo e le anoressiche della modernità. L’astinenza dal cibo della santa aveva un valore di rinuncia, di autodisciplina. A queste pratiche non si può attribuire un obiettivo di autoaffermazione, come si fa per la moderna anoressia.
MAGREZZA NON E’ BELLEZZA – I DISTURBI ALIMENTARI: Le sante digiunatrici (Nr. 3)
Non è facile paragonare il digiuno delle sante del medioevo e le anoressiche della modernità. Allo stesso modo la depressione non è riducibile all’umore melanconico o flemmatico dell’antichità. Nel corso del tempo significati e comportamenti evolvono, modificando profondamente i criteri d’interpretazione. Lo stile di pensiero magico delle età precedenti il secolo dei Lumi portava spesso a intendere gli stati interiori in termini di forze demoniache o angeliche. Sicché non sempre è facile operare un confronto con le età passate.
Questa difficoltà si riscontra anche per i disturbi psicologici. Per quanto riguarda il digiuno, in passato non si trattava di astinenza da un bene abbondante e onnipresente come è diventato oggi il cibo. In un’economica di sussistenza come quella che ha dominato per secoli, il cibo era scarso per tutti, salvo che per le classi privilegiate.
Pochi avevano accesso a quell’abbondanza che permette il lusso dell’astinenza volontaria. Quando ciò avveniva, essa assumeva spesso un carattere religioso, come nel ben noto caso di santa Caterina da Siena.
Il digiuno tra storia e misticismo: Santa Caterina da Siena
Il digiuno della santa aveva un valore di rinuncia, di mortificazione e di autodisciplina. Tuttavia, è difficile attribuire a queste pratiche un obiettivo di autoaffermazione e di incremento dell’autostima, come si fa per la moderna anoressia. In Caterina manca, almeno a livello cosciente, il carattere individualistico della moderna anoressia.
Al contrario, la santa conferiva a quelle pratiche di digiuno un valore di autonegazione, sebbene sia innegabile che nelle sante medievali l’astensione dal cibo si iscrivesse in una più ampia condotta di vita che consentiva alle donne di svolgere una funzione sociale ben più incisiva di quella loro riservata tradizionalmente.
Caterina poté, grazie alla rinuncia al mondo, non solo sottrarsi al matrimonio ma anche acquisire una formazione culturale che altrimenti le sarebbe stata preclusa. Imparò a leggere e a scrivere ed ebbe un ruolo politico e sociale di primo piano nella società del tempo. Partecipò a missioni diplomatiche presso la sede papale, contribuendo al ritorno del pontefice da Avignone a Roma.
Dalle sante digiunatrici alle anoressiche: analogie e differenze
La condotta di Caterina può essere interpretata, in termini moderni, come segno di affermazione personale. Il digiuno era il segnale di una volontà di fuga da un ruolo sociale predeterminato: quello di moglie e di madre.
Era questa l’opinione di Rudolph M. Bell, professore di storia alla Rutgers University (1985). Sia le sante digiunatrici che le ragazze anoressiche parteciperebbero di un medesimo meccanismo psicologico, che però per Bell è fortemente legato a un ambiente sociale oppressivo per la condizione femminile – ambiente che spinge la giovane donna di ieri e di oggi a liberarsi di un mondo intollerabilmente soffocante attraverso il rifiuto della società, della vita e del proprio corpo.
Il digiuno come scelta consapevole
Generalizzare, però, comporta sempre dei rischi. Per la storica Caroline W. Bynum (1987), i comportamenti di digiuno delle sante medievali contengono elementi che possono essere riferibili a una patologia anoressica moderna. Secondo la Bynum, tuttavia, prevale l’effetto di una scelta intenzionale, perfettamente consapevole e riconducibile alla cultura della mortificazione e dell’astinenza del cristianesimo medievale.
Va inoltre sottolineato che in Caterina, come in altre sante, il digiuno rimase sempre e soltanto uno strumento. Si può discutere se l’obiettivo finale fosse la santità o l’affermazione sociale, ma in ogni caso si trattava di un percorso felice ed efficace, che effettivamente portò le sante ascetiche medievali a diventare delle personalità di primo piano.
Digiuno: il passaggio da mezzo a fine. La magrezza come valore in sé
Nelle anoressiche di oggi il desiderio di autonomia e di affermazione è molto più problematico. L’anoressica è contemporaneamente attratta e intimorita dal mondo adulto delle relazioni sociali e dell’affermazione di sé.
Incapace di accettare e gestire la precarietà e la mobilità della competizione pubblica, va alla ricerca di un parametro quantificabile e controllabile e al tempo stesso carico di valore simbolico. Il peso è un numero, un parametro quantificabile. Il peso, poi, rimanda all’aspetto corporeo.
E non si tratta affatto di un rimando soltanto simbolico. Il corpo è uno strumento pratico di relazione sociale tra i più incisivi. Con il nostro corpo, con la sua bellezza, ci presentiamo e ci facciamo accogliere e/o respingere, accettare e giudicare dal mondo. Un bell’aspetto è un buon biglietto da visita. Tuttavia, con l’aspetto corporeo si ricade nell’ambiguo, nel giudizio soggettivo qualitativo e non quantificabile. Cosa definisce una bella presenza, un corpo attraente? È una difficile negoziazione continua con l’altro, che può gradirci o meno e che soprattutto assai raramente esprime giudizi privi di margini di ambiguità. La sensazione di mancanza di controllo è quindi massima, ed è proprio ciò che teme l’anoressica.
Di qui la sua scelta paradossale: il controllo del corpo diventa fine a se stesso, in una corsa autodistruttiva in cui l’obiettivo iniziale, la conquista di uno strumento infallibile per poter essere accettati e piacere agli altri, è presto dimenticato a favore della magrezza, che diventa un valore in sé.