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Disturbi delle condotte alimentari (2014) – Recensione

Le autrici affrontano la complessa tematica dei DCA secondo la prospettiva del cognitivismo sistemico post-razionalista, evoluzione del pensiero di Guidano.

Di Redazione

Pubblicato il 08 Giu. 2015

Loriana Murciano

Nel libro “Disturbi delle Condotte Alimentari” le autrici Adele De Pascale e Paola Cimbolli affrontano la complessa tematica dei DCA seguendo il punto di vista del cognitivismo sistemico post-razionalista, evoluzione del pensiero di V.F.Guidano, e proponendo un raffinato e completo modello di intervento psicoterapico.

Il volume ha una struttura “volutamente didascalica” che permette, sia agli psicoterapeuti in formazione ma anche a tutti coloro che intervengono nella cura di tali disturbi, di comprendere, partendo dalla descrizione degli aspetti sintomatici comportamentali, le idee e le convinzioni che li sottendono fino a poter “cogliere il senso generale delle organizzazioni di significato personale e delle modalità relazionali degli individui che presentano un DCA”.

Partendo dalla considerazione, ormai ampiamente condivisa, che il disturbo alimentare, in qualsiasi forma clinica o subclinica si presenti, esprima sempre un profondo senso di disagio emotivo e di difficoltà di strutturazione della propria identità e del proprio senso di autonomia personale, giocato dal soggetto su un “piano esterno” di rapporto con il cibo e con l’aspetto corporeo, le autrici descrivono nel primo capitolo l’organizzazione di significato personale di tipo D.C.A.:[blockquote style=”1″] la caratteristica distintiva consiste nella percezione vaga ed indistinta di sé che si organizza intorno ai confini antagonisti tra il bisogno assoluto di approvazione da parte delle persone significative e la paura di essere invase, criticate o disconfermate dalle stesse […][/blockquote].

In uno scenario di “reciprocità ambigua e disordinata con le figure di riferimento” durante il periodo evolutivo, il soggetto sviluppa un’incapacità a riconoscere e nominare i propri stati interni, a “gestire e regolare” le emozioni e sensazioni nuove “attraverso un dialogo interno che ne colga il senso ed il significato”, derivandone un profondo senso di vuoto interiore ed una tendenza a “ricercare nell’atteggiamento degli altri significativi una spiegazione di quello che sta succedendo dentro di sé” ed al contempo “una definizione positiva di sé, che sciolga quella terribile sensazione di vuoto esistenziale, col timore di non essere compresi o di essere giudicati negativamente…” (M.A.Reda).

Dal secondo capitolo si entra nel progetto terapeutico: “il compito delle prime sedute è innanzitutto quello di riformulare i temi portati e connessi all’esternalità del giudizio in termini di fenomeni interni al paziente, di attitudini della persona” in un clima terapeutico di relazione empatica e non giudicante; portando così il paziente a stabilire una connessione tra emozioni, cognizioni e significati personali, e “definendo” sin da subito “il contesto terapeutico come un ambito di lavoro, nel quale si dovrà pian piano costruire una diversa comprensione di sé e dei fenomeni significativi della propria vita”.

Il progetto terapeutico è didatticamente proposto dalle autrici, nel corso dei capitoli successivi, muovendoci in una dimensione metaforica mutuata dalla chimica: partendo così dal punto atomico in cui il paziente impara ad individuare le singole unità, si passa poi a cogliere, “con un punto di vista molecolare le connessioni e l’organizzazione degli stati d’animo con i pensieri, le immagini, le aspettative, giungendo alla fine ad apprezzare, ad un livello di astrazione molare, quei nessi che rendono coerenti gli aspetti affettivi, cognitivi e comportamentali di una persona in quell’unicità e stile di vita a cui è attribuibile l’originalità e l’individualità di ogni essere umano”.

Quindi, col procedere delle sedute, il terapeuta insegna al paziente (ed al lettore terapeuta in formazione!) la capacità di autosservazione (applicazione della tecnica della moviola), prendendo poi in considerazione i suoi comportamenti alimentari e di altre aree ad essi correlati (lo stile comunicativo, interpersonale, verbale e non verbale, il comportamento sessuale, etc.), “procedendo verso livelli sempre più astratti ed integrati della loro osservazione mentre apprendono un metodo ed una procedura” di lavoro terapeutico “ordinata e coerente”.

Si arriva così, nella fase ulteriore della terapia, ad approfondire l’analisi delle determinanti interne, personali, dei comportamenti finora descritti fornendo al paziente “quei mezzi e metodi di autosservazione” che lo portano a “rileggere la sua esperienza in termini di maggiore responsabilità ma anche di autonomia”. L’abilità del terapeuta di assumere in seduta l’atteggiamento del “perturbatore strategicamente orientato”, in termini post-razionalisti, consente di “utilizzare indirettamente le emozioni per sviluppare una riorganizzazione di significato” e di muovere nel paziente un diverso modo di vedersi come risultato di “nuove tonalità emotive” inducendo nella persona un processo di cambiamento sicuramente più stabile.

A questo punto della terapia viene affrontato il tema dell’affettività attraverso la ricostruzione dello stile affettivo ossia della “carriera” affettivo/sentimentale della persona a partire dall’adolescenza: “in questa fase avviene la ristrutturazione emotiva di secondo livello” (Guidano). “Le unità emotive principali, distinte sin dall’inizio della terapia, ora vanno messe insieme, fino a riuscire a vedere come queste unità siano sempre state accoppiate in sequenze in un insieme più complesso: si passa così ad un punto di vista molecolare nel quale il reframing (nuovo inquadramento) delle storie affettive rende più chiaro il significato personale del soggetto” ed in cui “gli aspetti fondanti sono e vanno messi sempre in relazione al vissuto emotivo prima ed ai comportamenti alimentari poi”.

L’ultima fase della terapia proposta si focalizza sulla ricostruzione della storia di sviluppo ossia sul comprendere come un soggetto con DCA “abbia imparato a privilegiare il giudizio degli altri e come abbia costruito la sua coerenza organizzativa intorno al tema della inadeguatezza. Con la storia di sviluppo possiamo ottenere una riorganizzazione del range emotivo ancora più intensa (di terzo livello la chiama Guidano)”. Alla fine, quindi, si ripercorre ed analizza il processo dell’alimentazione del paziente, si descrivono e comprendono le dinamiche delle sue relazioni familiari e le caratteristiche dei genitori, dello stile affettivo e sessuale, il momento cruciale del break adolescenziale: tutto questo con l’obiettivo di accompagnare il paziente nel suo progressivo processo di differenziazione e di autonomia.

Nella seconda e terza parte del libro, le autrici descrivono la complessità e criticità di intervento nei soggetti con DCA sia su un piano puramente clinico che su un piano di difficoltà pratico-organizzative confrontandosi con la realtà delle risorse e strutture attualmente disponibili in cui poter intervenire attuando programmi di cura con un’ottica di intervento multidisciplinare integrato, raccomandata dalle linee guida internazionali.
In ultimo Adele De Pascale e Paola Cimbolla propongono una descrizione pratica di cosa ha significato, per loro, lavorare anche nel servizio pubblico secondo una prospettiva cognitivista post-razionalista.

Il libro “Disturbi delle Condotte Alimentari, l’approccio del cognitivismo postrazionalista” rappresenta un originale “manuale post-razionalista” altamente consigliato ai giovani psicoterapeuti, e non solo, vista la capacità, da parte delle autrici, di essere riuscite ad esprimere, con una notevole chiarezza didattica, una metodologia di intervento psicoterapico nell’approccio ai pazienti con DCA, arricchita dalla densità e complessità dei contenuti espressi, dai continui riferimenti alla letteratura internazionale contemporanea e dalla integrazione con le determinanti neurobiologiche nel corso dello sviluppo.

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BIBLIOGRAFIA:

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