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Perfezionismo – Definizione

Il Perfezionismo indica l’abitudine a domandare a sé stessi o agli altri una performance di qualità maggiore, rispetto a quella richiesta dalla situazione

Di Redazione

Pubblicato il 06 Gen. 2015

Elisabetta Marinucci

 LE DEFINIZIONI DI PSICOPEDIA

Psicopedia - Immagine: © 2011-2014 State of Mind. Riproduzione riservataIl termine “perfezionismo” definisce la consuetudine di esigere da sé stessi o dagli altri una performance di qualità maggiore, rispetto a quella richiesta dalla situazione. Questo  porta il soggetto a  ipercriticare il proprio comportamento (Frost  R. O. e al., 1990 Bastiani A.et al., 1994) e a vivere in un costante stato di ansia causato dal bisogno di fare sempre meglio (Hamacheck 1978).

Paul Hewitt  e Gordon Flett (1991) identificano le seguenti caratteristiche del perfezionismo :

1) Standard irrealistici e sforzi per raggiungerli

2) Attenzione selettiva agli errori

3) Interpretazione degli errori come indicatori di fallimento e credenza che, a causa di essi, verrà persa la stima degli altri

4) Autovalutazioni severe e tendenza ad incorrere in un pensiero tutto o nulla, dove i risultati possono essere solo un totale successo o un totale fallimento

5) Dubbio sulla capacità di portare a conclusione un compito in modo corretto

6) Tendenza a credere che gli altri significativi abbiano aspettative elevate

7) Timore delle critiche.

Quando parliamo di perfezionismo interessante è la distinzione che Hamacheck (1978) propone tra il perfezionismo normale e il perfezionismo nevrotico: mentre nel perfezionismo normale l’errore è visto come una possibilità di crescita e non si teme il giudizio negativo degli altri, nel perfezionismo nevrotico sono costanti la paura di fallire e la svalutazione dei risultati ottenuti; per contro si tende a  sottolineare i propri errori. Questo determina  un abbassamento dell’autostima perché si crede  che per ottenere l’approvazione degli altri sia necessario dimostrare costantemente il raggiungimento di obiettivi sempre più elevati.

In altri termini Burns (1993) proporrà lo stesso concetto differenziando il perfezionismo clinico dalla “salutare ricerca di eccellere”: questa  è promotrice del sano funzionamento psicologico dell’individuo perché lo spinge a misurare le proprie capacità con obiettivi sempre diversi, senza però intaccare la propria autostima o legarla ai soli risultati ottenuti. Il perfezionismo clinico, invece,  ha un ruolo rilevante nell’eziologia di alcuni stati psicopatologici quali: depressione, disturbi d’ansia (ansia sociale, fobia sociale, disturbo ossessivo compulsivo – DOC), disturbo di personalità ossessivo-compulsivo (DPOC), Disturbi dell’Alimentazione (DCA).

La teoria di Skinner (1968) porterà Terry-Short e collaboratori (1995) a considerare il perfezionismo “sano” come la conseguenza di una storia personale caratterizzata da rinforzi positivi, e il perfezionismo maladattivo il frutto di rinforzi negativi. La psicopatologia del perfezionismo  si struttura in una serie di comportamenti disfunzionali così classificati dal DSM-IV- TR:

1. Preoccupazione eccessiva per le liste, i dettagli e l’organizzazione a discapito dell’obiettivo generale

2. Perfezionismo che interferisce con la riuscita di un lavoro in tempi rapidi

3. Eccessiva dedizione al lavoro (non giustificata da necessità economiche) con conseguente riduzione del tempo dedicato ad attività ricreative

4. Incapacità a gettare oggetti vecchi o inutili, anche quando privi di valore affettivo

5. Inflessibilità su posizioni etiche e/o morali (non giustificate dall’appartenenza politica o religiosa)

6. Riluttanza a delegare compiti o a lavorare in gruppo

7. Stile di vita eccessivamente parsimonioso sia verso sé stessi che verso gli altri

8. Rigidità e testardaggine.

Affinchè possa essere fatta diagnosi di perfezionismo devono essere presenti almeno quattro dei sintomi sopra elencati. Per alcune persone perseguire standard perfezionistici porta ad abbandonare il lavoro a metà per paura di fallire (Antony e Swinson 1998, Burns D.D. 1980, Frost et al 1990, Slade e Owens 1995).

Alla fine degli anni sessanta il perfezionismo è stato descritto come un costrutto unidimesionale dando maggior risalto agli aspetti autoriferiti ovvero lo stabilire standard non realistici per se stessi, l’attenzione selettiva verso il fallimento ed il pensiero dicotomico successo pieno o totale fallimento (Hollender M.H., 1965; Hamacheck D. E., 1978; Burns D.D., 1980).

Hamacheck (1978) evidenzia che quando l’amore dei genitori viene manifestato in base alle performance che si hanno, il bambino non si sente soddisfatto perché il suo comportamento non viene mai percepito abbastanza corretto per guadagnare l’approvazione dei genitori. Tutto questo struttura l’eccessiva preoccupazione di compiere errori, la paura del giudizio negativo degli altri e lo sforzo costante da parte del bambino di conquistare l’approvazione dei genitori.

A partire dagli anni ’90 si sviluppano definizioni multidimensionali di perfezionismo che ne evidenziano non solo gli aspetti autoriferiti ma anche quelli interpersonali. Tale approccio riconosce l’importanza sia del piano personale che di quello sociale per avere una comprensione globale del fenomeno (Frost  R. O. et al, 1990; Hewitt P.L. et al, 1991). Vengono proposte quindi due scale: La Multidimensional Perfectionism Scale (MPS; Frost et al.; 1990) è costituita da 6 dimensioni: 

1) Excessive Concern Over Mistakes:  misura le reazioni negative agli errori, lo sbaglio è considerato un insuccesso, in seguito al fallimento gli altri perderanno la stima nei confronti del soggetto.

2) Personal Standard: misura la presenza di standard elevati e la loro influenza sull’autovalutazione.

3) Parental Expectations: misura la tendenza a credere che gli altri significativi abbiano elevate aspettative nei confronti del soggetto.

4) Parental Criticism: misura la percezione che gli altri siano o siano stati eccessivamente critici nei confronti della persona.

5) Doubts About Action: misura la presenza del dubbio sulla propria capacità di portare a termine il compito in modo perfetto.

6) Organization: misura l’importanza attribuita all’ordine ed all’organizzazione.

La Multidimensional Perfectionism Scale (MPS; Hewitt et al., 1991) è invece costituita da tre dimensioni:

1) Self Oriented Perfectionism: esprime la tendenza a porsi obiettivi troppo elevati, a generalizzare i fallimenti e ad incorrere facilmente in pensieri “tutto o nulla”.

2) Other Oriented Perfectionism:  misura la tendenza ad avere aspettative troppo elevate riguardo agli altri e alle persone significative, ad essere eccessivamente critici nel valutare gli altri.

3) Socially Prescribed Perfectionism: valuta la tendenza a credere che gli altri abbiano alte aspettative sulle prestazioni del soggetto; questo porta timore per la valutazione negativa degli altri e a credere che sia necessario raggiungere quegli standards per guadagnare l’altrui approvazione e accettazione.

Il confronto delle due scale proposto da Frost ed i suoi colleghi nel 1993  riconosce nelle preoccupazioni valutative disadattive e nello sforzo per raggiungere risultati positivi, i due principali fattori distintivi del costrutto, mentre l’Excessive Concern Over Mistake e il Socially Prescribed Perfectionism sembrano essere le dimensioni più correlate alla depressione e al disturbo borderline di personalità.

Alcuni sostengono che il perfezionismo sia una caratteristica necessaria per lo sviluppo del DOC (Rhéaume et al. 1995) perché molti pazienti con disturbo ossessivo compulsivo dichiarano di aver bisogno di perfezione (Goodman et al. 1989). Rothenberg (1990) ritiene che l’anoressia sia una variante “moderna” del DOC con cui condivide molte manifestazioni patologiche. Nell’anoressia, infatti, il cibo e la magrezza costituiscono preoccupazioni ossessive,  mentre  l’esercitare il proprio controllo su peso e appetito diventa un bisogno compulsivo.  Rothenberg, inoltre, evidenzia che anche nei DOC le idee ossessive svolgono una funzione di controllo su impulsi, desideri e affetti. Inoltre i disturbi del comportamento alimentare e il DOC sono accomunati da un alto livello di attività fisica e da una alterazione dell’attività serotoninergica.

Brownell (1991) ha evidenziato il ruolo che la società moderna ha nel generare la ricerca del corpo perfetto. Secondo l’autore le persone ricercano l’ideale non solo per avere benefici in termini di salute ma per ciò che l’ideale di controllo che il corpo perfetto simboleggia. Rosenberg (1965) collega il costrutto dell’autostima alla percezione del proprio valore personale e afferma che la bassa autostima è un fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi alimentari. In particolare Il Rosenberg Self-Esteem Scale (RSES, Rosenberg 1965) valuta l’autostima globale e il senso di valore di sé.

Sempre in termini di comorbilità gli studi di Hewitt e Flett (1991-1993) evidenziano come il perfezionismo sia una caratteristica della depressione; Hamilton e Schweitzer (2000) in alcuni studi condotti su studenti e campioni psichiatrici, rilevano l’associazione tra il perfezionismo self oriented e socially prescribed con l’aumento dell’ideazione suicidaria. Il perfezionismo socially prescribed inoltre è associato ai disturbi della personalità schizoide, evitante, schizotipico e borderline; mentre il perfezionismo other oriented è stato rilevato nel disturbo istrionico e narcisistico (Hewitt et al. 1994).

Bastiani (1994) in particolare, ha rilevato che la dimensione “self-oriented” del perfezionismo  e l’impulso alla magrezza  si mantengono stabili nonostante  l’aumento di peso corporeo. Questi risultati portano a supporre che il perfezionismo sia una caratteristica dominante della personalità dei  soggetti affetti da anoressia nervosa e che possa aumentare la suscettibilità a sviluppare questo disturbo (Haimi e coll 2000).

La ricerca di Hewitt e Flett (1995) su un campione studentesco, ha evidenziato che il Socially Prescribed Perfectionism è maggiormente legato ai sintomi dei DCA, al disturbo dell’immagine corporea e all’autostima. Il Self Oriented Perfectionism, invece, sembra essere collegato solo a sintomi anoressici, dieta e impulso alla magrezza. Tutto questo sottolinea l’importanza della dimensione sociale del perfezionismo nei DCA in cui i soggetti sembrano animati dal desiderio di conformarsi ad un modello o ad un ideale di perfezione che è percepito provenire dalle richieste altrui.

Secondo Safran e collaboratori (1999), la definizione multidimensionale associa il perfezionismo ad un range di caratteristiche troppo ampio che non consente la valutazione della sua originaria struttura. Secondo questa prospettiva solo la dimensione Self- Oriented descrive nella sua interezza il costrutto del perfezionismo, mentre le dimensioni Other Oriented e Socially Prescribed sono sì  associati al perfezionismo, ma non ne costituiscono parte integrante.

Safran, Cooper e Fairbun (1999) inoltre, propongono una definizione cognitivo comportamentale del perfezionismo definendolo come: “l’eccessiva dipendenza della valutazione di sé dalla risoluta ricerca di standard personali particolarmente esigenti ed auto-imposti in almeno un dominio altamente saliente, nonostante le conseguenze avverse” (depressione, isolamento sociale, insonnia, ridotta concentrazione etc.). Altri autori sono a favore della multidimensionalità del perfezionismo (Tozzi et al., 2004; Sassaroli et Ruggiero, 2005).

A livello psicopatologico raramente il perfezionismo si manifesta da solo, in genere  si associa a disturbi dell’Asse  I e II.  
Fairfun, Safran e Cooper (1999) a tal proposito hanno suggerito che il soggetto tende a rispondere meno al trattamento quando il dominio in cui il perfezionismo  si manifesta và a sovrapporsi al disturbo psichiatrico. Un esempio: se  pazienti  con fobia sociale, manifestano anche il perfezionismo nel dominio relazioni sociali, quest’ultimo tende a  mantenere stabile il disturbo psichiatrico inficiando un possibile trattamento.

Interessante è l’indagine di Bardone e collaboratori (2000) sulla relazione tra perfezionismo, autostima e insoddisfazione corporea. Lo studio, infatti, rivela che compresenza di queste tre variabili sia predittivo rispetto allo strutturarsi dei  sintomi bulimici. In particolare, percepirsi in sovrappeso, avere alti livelli di perfezionismo e una bassa autostima, espone maggiormente al rischio di manifestare sintomi bulimici.

Grolnick nel 2002 rintraccia nel controllo psicologico in particolare, e nel modello di parenting intrusivo più in generale, quelle modalità educative che il genitore utilizza per spingere il figlio a raggiungere particolari risultati, (Grolnick et al. 2002).  Alcune ricerche hanno evidenziato come il controllo psicologico in tenera età, predica un aumento del perfezionismo maladattivo nella tarda adolescenza, e sia predittivo di un aumento dei sintomi depressivi (Flett et al. 2002).  Inoltre, quando eccessivo, il controllo sembra misconoscere l’indipendenza e la singolarità del bambino (Barbera e Harmon 2002, Kering 2003).

Dal punto di vista terapeutico Burns (1980) propone di fare un’analisi dei costi e dei benefici rispetto alle credenze perfezionistiche disfunzionali per poter valutare i vantaggi e gli svantaggi che si hanno nel mantenerle. Fairbun, Safran e Cooper (1999) sostengono che la terapia debba partire dal riconoscere a livello cognitivo comportamentale il proprio perfezionismo come un problema. Questo per ampliare lo schema di auto-valutazione di sé introducendo domini non disfunzionali. Vanderlinden (2001) propone un approccio terapeutico di tipo comportamentale  suggerendo una serie di esercizi quali:

– individuare le attività che si svolgono in modo compulsivo per poter innescare un cambiamento partendo dalla progressiva diminuzione del tempo dedicato ad esse;

– attuare comportamenti contrari a quelli abituali  definita “sfida al perfezionismo”. Un esempio è essere disordinati volutamente.

 

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