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I sensi e l’inconscio di Giuseppe Civitarese – Recensione

Nel suo libro Civitarese offre una concezione della teoria psicoanalitica che si richiama a Bion e alla sua concezione dell'inconscio - Psicoanalisi

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 22 Set. 2014

 

 

Il libro di Civitarese “I sensi e l’inconscio” (2014) pubblicato quest’anno ha –tra i suoi meriti- quello di chiarire cosa potrebbe esserci in Bion che tanto affascina i colleghi psicoanalisti italiani. Civitarese offre una concezione della teoria analitica che consapevolmente si richiama a Bion e alla concezione che Bion aveva dell’inconscio.

Gli psicoanalisti italiani nutrono una passione per Wilfred Bion. Citato spesso nei seminari e nei libri, evocato con trasporto intellettuale ed emotivo. Lo aveva notato già Davide Lopez, quando si trasferì in Italia negli anni ‘60 dopo il suo soggiorno londinese (Lopez, 2011), quasi meravigliandosi del prestigio che Bion godeva tra noi, probabilmente maggiore che nel mondo anglo-sassone. In Italia Bion sembra essere concepito come autore di una vera svolta paradigmatica, di pari peso rispetto alla teoria delle relazioni oggettuali o della teoria delle difese dell’Io.

Perché? Non è facile rispondere, soprattutto per chi è estraneo all’ambiente psicoanalitico, come sono io. Il libro di Civitarese “I sensi e l’inconscio” (2014) pubblicato quest’anno ha –tra i suoi meriti- quello di chiarire cosa potrebbe esserci in Bion che tanto affascina i colleghi psicoanalisti italiani. Civitarese offre una concezione della teoria analitica che consapevolmente si richiama a Bion e alla concezione che Bion aveva dell’inconscio.

Una visione dell’inconscio diversa da quella freudiana e che forse si apparenta con un modo di vedere le cose che fa parte della tradizione di pensiero italiana, della nostra visione della realtà, dell’uomo e quindi della sua mente.

In Bion l’inconscio riceve una nuova centralità. Sembrerebbe un ritorno a Freud, e lo è. Non del tutto, però. In Bion l’inconscio non è solo un calderone di pulsioni cieche da soddisfare. Al contrario, esso è il vero centro di elaborazione della mente, è il luogo dove davvero si pensa un pensiero vivente, al tempo stesso vissuto e anche razionale (ma non razionalistico).

Il pensiero inconscio di Bion si contrappone sia alle elaborazioni astratte e razionalistiche del pensiero puramente consapevole (che sono in realtà difese) sia alle pulsioni istintive non elaborate.

È un’ipotesi che somiglia in parte alla teoria delle difese, ma che se ne discosta laddove pone al centro del processo curativo l’inconscio. La teoria delle difese vedeva la terapia come un progressivo rinunciare alle difese. Più positivamente, Bion vede la terapia come un vero a proprio abbandonarsi all’inconscio senza difese, fiduciosi che proprio in quest’abbandono si crea la condizione che permette all’inconscio di fare il proprio lavoro di elaborazione sentita, vivente e non difensiva e astratta.

Civitarese spiega tutto questo e usa un termine evocativo, “inconsciare”. Anche il sogno ritorna centrale in Bion, come in Freud. E anche in questo caso con una differenza: il sogno non è solo possibilità di decifrare i desideri inconsci, ma di elaborarli. Solo sognando diventiamo in grado di pensare i nostri desideri e di portarli alla luce del sole.

E infine il corpo e la relazione di gruppo ricevono da Bion attenzione. Il corpo e la relazione sono altri luoghi di questo pensiero vivente, emotivo e razionale al tempo stesso e mai astratto e razionalistico, difensivo e morto.

Sebbene le distanze di questo mondo analitico dal mio mondo cognitivista siano grandi, la lettura di Civitarese suscita risonanze evocative e stravaganti nella mia mente. La visione bioniana di un inconscio pensante e non solo bestialmente desiderante non è lontana da una visione cognitiva della mente. L’idea di Bion e di Civitarese che l’elaborazione mentale sia per lo più un processo inconscio si avvicina agli ultimi sviluppi del cognitivismo, con il loro interesse per i processi inconsapevoli.

Il suggerimento di lasciarsi andare all’attività spontanea della mente, fino a considerare ogni buon pensiero come un sogno da svegli e, nelle parole di Civitarese, il considerare la stessa seduta analitica un sogno mi richiama alla mente il modello metacognitivo, in cui la coscienza, piuttosto che sostituire le emozioni, le utilizza per mettersi in contatto con il mondo esterno. E così via.

Ci sono dei parallelismi tra questa visione bioniana dell’inconscio come sede di un pensiero vivente, vero pensiero storicamente incarnato nell’individuo reale e distinto sia dalle formule astratte del razionalismo che dal cieco istinto. Il pensiero filosofico italiano ha sempre concepito l’attività mentale come un misto tra razionalità ed emozioni, in cui l’elaborazione è più frutto di un abbandono emotivo che di uno sforzo consapevole. Secondo il filosofo Roberto Esposito (2010), autore di una descrizione della filosofia italiana che è già un classico tradotto in molte lingue, troviamo questa concezione via via in Machiavelli, Giordano Bruno, Giambattista Vico, Vincenzo Cuoco, Giacomo Leopardi, Croce e Gentile fino a Gianni Vattimo.

La somiglianza tra questa concezione italiana, emotivista ma non istintualista, razionale ma non astratta, e infine profondamente relazionale della mente umana e la concezione di Bion potrebbe anche spiegare la spontanea predilezione degli psicoanalisti italiani per questo psicoanalista.

Per chi si fosse incuriosito per Bion e per la concezione italiana di Bion, raccomando la lettura del libro di Civitarese. Lettura sia consapevole che inconscia. Naturalmente.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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