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Graham Davey sul rapporto tra Psicologia Sperimentale e Clinica – Rome Workshop on Experimental Psychopathology

Reportage dal primo Rome Workshop on Experimental Psychopathology, Roma 28 febbraio - 1 marzo 2014 - Un incontro tra Psicologia Sperimentale e Clinica...

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 03 Mar. 2014

Aggiornato il 06 Mar. 2014 13:24

Experimental Psychopathology Rome 2014

Si è tenuto in questi giorni il primo Rome Workshop on Experimental Psychopathology organizzato dall’Associazione di Psicoterapia Cognitiva e Scuola di Psicoterapia Cognitiva in collaborazione con Università Sapienza di Roma e con la Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC).

Si è trattato di un evento scientifico nuovo che aspira ad essere il primo di future opportunità di incontro tra il mondo della psicologia sperimentale e quello della psicologia clinica.

La prima lettura magistrale traccia la linea culturale dell’evento. Graham Davey ci racconta quali sono le ragioni per cui la psicologia clinica ha bisogno della psicologia sperimentale. Si tratta di due mondi che un po’ si parlano è un po’ si ignorano. Davey è dichiaratamente schierato in sostegno della sperimentazione e come conseguenza di questo imposta il suo discorso partendo proprio da alcuni errori, compiuti soprattutto dagli psicologi clinici.

Il primo è la volontà di difendere il proprio territorio. Il secondo, la tendenza dei journal a rifiutare ricerche sperimentali sui meccanismi psicopatologi che sono effettuate su soggetti non clinici. Il terzo la tendenza a credere che la psicologia sperimentale voglia spiegare tutto. Il velo provocatorio è tangibile:

molti clinici dicono che i modelli sperimentali non si applicano alle popolazioni cliniche ma non mi hanno mai spiegato perchè“.

Certo questo taglio appare ingeneroso, forse anche lamentoso. Ci sono molteplici altri misunderstanding che si muovono in direzione opposta, per esempio il rischio di applicare modelli sperimentali senza considerare l’impatto dell’interazione tra processi in mutuo rapporto. Isolarli in terapia non è esattamente come isolarli in laboratorio. Insomma, esistonomi rischi anche sul versante opposto. Tuttavia oltre le provocazioni Davey coglie un punto centrale, se la psicologia clinica e la psicologia sperimentale non si parlano tra loro per sostenere i modelli psicologici con evidenze, corrono il rischio di essere fagocitate dalla psicobiologia e dalle neuroscienze.

 

Nella seconda parte della sua lettura Davey mostra alcuni esempi di contributi della psicologia sperimentale alla psicologia clinica. Questo sia per applicare alla psicopatologia i modelli che riguardano processi cognitivi, affettivi o comportamentali. Ma anche per identificare quali sono esattamente gli agenti attivi che producono un cambiamento nel corso della psicoterapia. Molte cose accadono in terapia, molte sono utili o possono fare stare meglio il paziente, ma solo alcune, non sempre chiare, rappresentano gli ingredienti attivi di un cambiamento stabile. Il grande contributo della sperimentazione hard è proprio questo: individuare evidenze di relazioni causali, sia nell’ambito psicopatologico che in quello psicoterapeutico.

Al di là delle provocazioni, la psicologia sperimentale è un interlocutore se non un governante, cui guardare per non scivolare nel rischio di “stare a reinventare la ruota”.

 

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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