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Intersoggettività e corpi in relazione: tra psicopatologia e neuroscienze – SOPSI 2014

Sempre più attuale e di validità euristica è l’integrazione tra le evidenze provenienti dalle neuroscienze con i dati emergenti dall’attività clinica.

Di Maria Sansone

Pubblicato il 07 Mar. 2014

Aggiornato il 07 Apr. 2014 12:46

Maria Sansone, Scuola Cognitiva di Firenze

 

 

SOPSI 2014 

Report dal Simposio:

Intersoggettività e corpi in relazione: tra psicopatologia e neuroscienze

G. Northoff, V. Gallese e M. di Giannantonio

 

SOPSI 2014 - Intersoggettivita e corpi in relazioneSempre più attuale e di validità euristica è l’integrazione tra le evidenze provenienti dalle neuroscienze con i dati emergenti dall’attività clinica. Fin dalla nascita della psicanalisi si ipotizzava un’integrazione in tal senso: “…tutte le nostre idee psicologiche un giorno saranno presumibilmente basate su substrati organici…” (“Progetto per una psicologia Scientifica” S. Freud 1898).

Il dialogo tra psicopatologia, psicoterapia, psichiatria e neuroscienze ha degli antenati illustri: Spitz (1946) ha indagato le reazioni dei bambini ospedalizzati, i coniugi Harlow (1958) hanno studiato la deprivazione affettiva dei primati, Kandel (2011) ha indagato, in diverse specie animali, come la mancanza di un “imprinting affettivo” porti ad alterazioni nello sviluppo del sistema infiammatorio. Recenti ricerche neuroscientifche hanno evidenziato una particolare costellazione neurologica e di relazione tra aree del nostro cervello identificata nel Default Mode Network (DMN). Quest’ultimo è definito resting mode cioè “cervello che non funziona”, che non agisce e che, verosimilmente, è un precursore della consapevolezza interna. Il resting mode è uno stato in cui il soggetto è ad occhi chiusi, è vigile ma non dorme e non è sottoposto a performance.

Il Default Mode Network ha due funzioni: mind wandering (mente che vaga e riflette su se stessa) e self-protection (auto protezione). Quando il cervello è attivo su task specifiche l’attivazione del DMN diminuisce e torna a livelli normali quando il task è terminato. Un sottoinsieme di task specifici incrementano l’attività del DMN: introspezione, riflessione soggettiva, attivazione della memoria, recupero della memoria episodica.

Il Default Mode Network è in antitesi a External Control Network (Boly et al., 2007; Uddin et al., 2009) ovvero una costellazione neuronale relativa al controllo esecutivo implicato con la presa di coscienza dell’ambiente esterno. Il Default Mode Network gioca un ruolo importante nei meccanismi specifici della memoria, nell’integrazione delle informazioni, nell’attenzione. Sono emerse evidenze che mettono in relazione il DMN con specifiche patologie psichiatriche. In particolare, nel caso della Schizofrenia troviamo una minore attivazione dei task esterni ed una minore de-attivazione del Default Mode Network durante la ricezione di nuovi stimoli (Sjoerd J. H. et al, 2013).

Una prospettiva neuroscientifica sul rapporto tra corpo e intersoggettività viene introdotta dal Prof. Gallese per far luce sugli aspetti fenomenici di alcune condizioni psicopatologiche, in particolare per ciò che concerne la psicosi schizofrenica. Per studiare l’impatto della psicopatologia sul concetto di sé dobbiamo fare riferimento a vari livelli di complessità. Il concetto di sé è un correlativo ovvero, per essere definito, implica la necessità di confrontarsi con qualcosa che è altro da sé. Questo introduce come elemento fondamentale cioè la relazione come necessaria allo sviluppo fisiologico del sé. Dunque un disturbo della costituzione del sé ha come conseguenza necessaria anche un disturbo della relazione con l’altro. Uno degli interrogativi che guidano le ricerche di Gallese è: come costruiamo l’evidenza naturale del mondo degli altri? Nello studio delle variabili implicate nella costruzione del sé ci si è sempre focalizzati sugli aspetti più sofisticati dell’intersoggettività, quelli legati al mezzo linguistico. L’ipotesi è che uno dei meccanismi di base sia il meccanismo di simulazione volto a mappare il comportamento, le emozioni e le sensazioni dell’altro, direttamente sulle proprie rappresentazioni in formato corporeo (simulazione incarnata).

L’intensità con la quale si attiva il meccanismo di rispecchiamento è significativamente superiore quando avviene durante l’esecuzione dell’azione rispetto a quando l’esecuzione della stessa è osservata. Il meccanismo quindi è sensibile alla soggettività in quanto si attiva diversamente se l’atto è eseguito o osservato. Il sistema mirror non viene ritrovato solo nell’area premotoria frontale o parietale posteriore, ma anche nella corteccia somatosensoriale e nell’insula. Quindi, anche per le emozioni o per le sensazioni, gli stessi siti corticali che si attivano per l’esperienza soggettiva si attivano anche quando assistiamo all’espressione di queste emozioni o sensazioni nel corpo degli altri. La simulazione incarnata è un tentativo di descrivere a livello funzionale tutti questi meccanismi diversificati che caratterizzano circuiti diversi del nostro cervello ma che condividono questa stessa modalità di funzionamento.

L’ipotesi dunque è che questo meccanismo funzionale di base non sia confinato al dominio dell’azione ma comprenda altri aspetti della intersoggettività come emozioni e sensazioni. Il nostro cervello “riusa” risorse per mappare le azioni altrui sulle nostre rappresentazioni motorie così come lo facciamo per mappare le emozioni e sensazioni altrui sulle nostre rappresentazioni viscero-motorie e somatosensoriali.  Il fatto che venga implicato un formato corporeo, non proposizionale, in questa mappatura porta a definire questa operazione: simulazione incarnata. Sé e altro da sé appaiono, dunque, correlati a livello del corpo. Questi meccanismi ci connettono implicitamente nella relazione con l’altro. Come accennato prima, il sé si può studiare a vari livelli e un modo per concepirlo è quello di partire dagli aspetti più germinali, ovvero legati alla corporeità intesa come potenzialità di azione. Noi sappiamo che il sistema motorio del nostro cervello si attiva sia quando mettiamo in atto un’azione ma anche quando pensiamo di mettere in atto un movimento, quando osserviamo gli altri agire, quando osserviamo oggetti manipolabili o quando ascoltiamo la descrizione verbale di un’azione.

Secondo Gallese e collaboratori il sistema motorio svolge, dunque, un ruolo nell’integrazione delle informazioni multimodali relative al sé. Si ipotizza che a livello del sistema motorio corticale avvenga la prima integrazione degli stimoli tattili, acustici e visivi che avvengono a contatto o in prossimità delle parti corporee che quella stessa parte del sistema motorio controlla in termini di movimento. Questa integrazione multimodale operata dal sistema motorio potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel promuovere la formazione di questo primo livello di base del sé (il livello più basso è definito da Parnas come ipseità).

E’ possibile attribuire ai disturbi del sé un ruolo cruciale per comprendere la Schizofrenia. Sappiamo, infatti, che i pazienti schizofrenici mostrano problemi nel discriminare tra la voce propria e altrui, difficoltà nel discriminare tra stimoli tattili autoprodotti o provenienti dall’esterno ed un’alterata percezione del proprio corpo. In un esperimento sono state indagate le rappresentazioni delle proprie parti corporee e, nello specifico, si è andati ad indagare il riconoscimento di foto di parti del proprio corpo (es. mano, piede) e di oggetti personali (telefono, scarpa), in soggetti ad esordio psicotico e in soggetti sani.

I pazienti sani mostrano un vantaggio nel riconoscimento sia delle proprie parti corporee che dei propri oggetti, mentre gli schizofrenici non hanno lo stesso vantaggio a causa di questa anomala esperienza del sé. Gallese sottolinea come il sé sia il risultato di un processo che verosimilmente comprende in maniera funzionale, fisiologica e connessa l’attività della totalità del cervello. Tuttavia sottolinea come non sia un caso che le aree del Default Mode Network siano sistematicamente coinvolte quando qualsiasi attività mentale o la sua assenza abbia una forte connotazione autoriferita. Quindi insieme al Prof. Northoff sono andati a studiare nei pazienti con esordio psicotico le aree dell’insula e della corteccia premotoria. In queste regioni hanno osservato un anomalo incremento della connettività funzionale tra corteccia premotoria e una componente del DMN (corteccia cingolata posteriore).

I confini del sé corporeo appaiono più sfumati nel paziente con esordio psicotico, e un aspetto di questa minore nitidezza del confine corporeo è testimoniata da un’alterata funzionalità a livello dell’insula posteriore e delle cortecce premotorie. 

 

ARGOMENTI CORRELATI:

NEUROSCIENZESCHIZOFRENIA

CONGRESSO SOPSI 2014

 

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